lunedì 28 febbraio 2011

E' lunedì, rassegnati

E' lunedì, ore 9.15 più o meno, e la metro è affollata di personaggi improponibili.
Qualcuno però merita la mia curiosità.
C'è un ragazzo ben vestito che legge diligentemente un libro con la copertina scura, m'incuriosisco, lui è carino e ha qualcosa di perverso nello sguardo. Non si lascia distrarre, io faccio finta di essere scomoda e cambio posizione, devo vedere cosa legge, se è tipo da fantasy (e sta leggendo l'ultimo di Matheson) oppure da bestseller (e ha in mano un qualche noir scontato dell'ultimo minuto).
Mentre cerco di capirlo lui interrompe la lettura e s'aggiusta il colletto della camicia, e nell'istante in cui vengo rapita dalla sessuosità del gesto i miei occhi mettono a fuoco il titolo del misterioso volume.
Preghiere per la sera e per il mattino.
Penso "ossignore". Lui mi guarda come a dire "appunto, proprio quello".
Rassegnati, signore sconosciuto che leggi le Preghiere per la sera e per il mattino.
Io prego solo che come te non ce ne siano troppi, in giro.

Per la cronaca, l'aitante e devoto lettore ha una spilletta sulla giacca che lo identifica come appartenente all'ADI (Assemblee di Dio in Italia).
Amen.

venerdì 18 febbraio 2011

una premessa

Facciamo una premessa: buoni non si nasce. La bontà è un mestiere che s’impara col tempo e con molta fatica.

Quando ero piccolo ho compiuto ogni genere di meschinità. Rubavo piccoli oggetti ai parenti in visita, nascondevo i giocattoli dei miei fratelli e poi fingevo la più totale e convincente estraneità alla sparizione, sputavo nel piatto di spaghetti di mio padre prima che lui entrasse in cucina per poi compiacermi di nascosto quando li addentava e diceva che buoni che sono.

Ho ucciso la mia famiglia perché volevo avere un motivo per essere disperato. Volevo piangere e farmi compiangere. Volevo a tutti i costi essere solo al mondo. Perché è così che mi sono sentito fin da quando sono nato: solo. E disperato. E triste, desolatamente triste. Ma avevo una famiglia. Una famiglia per bene, cazzo.

Una famiglia precisa, di quelle che ti danno tutto quello che sono in grado di darti e non ti fanno mancare niente, di quelle che ti amano, che ti supportano, che cercano di facilitarti l’esistenza. Una famiglia veramente irritante. E infatti è così che sono cresciuto: irritato. Perché io non la volevo una famiglia così, fanculo, non volevo proprio una famiglia. Una famiglia che mi impediva di essere disperato come volevo io. Allora ho cercato lo scontro, ma niente, peggio che trasferirsi in un monastero birmano. Ho provato ad allontanarmi, ma mi hanno rincorso. A far perdere le mie tracce, ma mi hanno trovato. A insultarli, ma mi hanno perdonato.

Non mi rimanevano molte possibilità. Li ho uccisi. Ne andava della mia infelicità.