mercoledì 11 dicembre 2013

A qualcuno piace verde

Tanto tempo fa, quando io e l'Interista vivevamo in un confortante ménage childfree privo di orari, vincoli, responsabilità, stagioni e quant'altro ti ricordi ogni giorno che "tempus fugit - la vita è breve - moriremo tutti", in quel tempo dicevo, il Natale era un po' diverso da com'è adesso.
Di fare l'albero con le luci e le palline non me lo sognavo neanche, tantomeno di cucinare per il pranzo: però il Natale ci piaceva, tanto che l'Interista passava la notte del 24 vestito da Babbo portando regali ai bambini più sfortunati per un ente benefico (secondo me gli piaceva perchè era l'unico giorno dell'anno in cui poteva dire di essere dotato di barba).
Il Natale ci piaceva, tanto che comprammo, a un mercatino, come unico addobbo da famiglie senza figli, uno splendido Babbo Natale di pezza da appendere fuori dalla porta. Verde.

Poi è arrivato il Bruco, quest'anno più conscio che mai dei riti natalizi: ha voluto un calendario dell'avvento (...), l'albero, le luci, le palline, e tutto il resto.
In uno scatolone ho ritrovato anche il nostro Babbo Natale verde, e l'ho appeso fuori dalla porta.
Sconcerto e disappunto sul volto del biondo quattrenne.

"Mamma, questo non è Babbo Natale"
"Come no? Ha la barba, il cappello a punta, il nasone arrossato dal freddo..."
"Ma perchè è verde?"
(vabbè, ho pensato, gli racconto la vulgata: poi quando crescerà potrà fare le sue ricerche ad hoc")
"Perchè in principio, quando abitava al Polo Nord, Babbo Natale era vestito di verde. Poi un anno la Coca Cola lo ha assoldato per fare la pubblicità, e lo ha vestito di rosso. E da quel momento è rosso"
"E perchè il nostro allora è verde?"
"Amore, ma non ti piace? E' bellissimo!"
Non risponde.

Stamattina, a scuola.

"Buongiorno, signora! Tutto bene?"
"Sì, grazie..."
"Senta ma che addobbi mirabolanti avete voi a casa?"
"Oddio, perchè?"
"Orlando ha detto che avete un Babbo Natale verde che quando beve la Coca Cola diventa rosso"
"Ha detto così? Ah. Ok. No, è che... sa, è un bambino molto fantasioso"

Che poi pare che non sia neanche del tutto vera, questa storia della Coca Cola.
E comunque spiegatelo voi, a uno di quattro anni, cos'è il marketing.
Soprattutto, trovatela voi una buona motivazione per fargli accettare il fatto che il suo Babbo Natale è verde, mentre gli altri ce l'hanno tutti rosso.


giovedì 21 novembre 2013

10 motivi semiseri per non far vedere Pinocchio ai vostri figli

Premesso che il Bruco guarda cartoni animati e film solo a determinati orari, entro certi limiti e seguendo una programmazione cinematografica approvata dal Gran Consiglio Ristretto dei Genitori (ovvero I, me and myself).
Questa è una di quelle cose che sono molto soggettive: ho conosciuto madri che guardano Breaking Bad mentre il figlio costruisce cristalli di Lego... ops, torri di Lego sul tappeto davanti alla stessa tv, e madri che non concepiscono neanche la visione di Peppa Pig (peraltro uno dei cartoni animati su cui ultimamente si sprecano più analisi socio-televisive di sempre).

Io recentemente mi son sentita dire "ma gli fai vedere Monsters & Co?".
E' ancora piccolo. Si spaventa. Non è in grado di elaborarne i contenuti emotivi.
Il fatto è che il ragazzino esprime anche i suoi desideri, in fatto di cosa guardare.
Ed è capitato qualche giorno fa che il Bruco volesse vedere Pinocchio.
Vabbè, Pinocchio, mi son detta, un grande classico, perchè no.
Così l'ho fatto partire, e sinceramente mi son spaventata un sacco.
Altro che Monsters & Co
Senza contare che il Bruco mi ha fatto un sacco di domande a cui non sapevo dare risposta, tipo: "Perchè Lucignolo che fuma il sigaro è cattivo e Geppetto che fuma la pipa a letto no?"
Ecco dunque, qui di seguito, una lista semiseria del mio "perchè no" a Pinocchio.
1- Geppetto fuma la pipa a letto (istigazione al fumo)
2- Geppetto sfrutta il gatto Figaro facendogli fare le cose che non ha voglia di fare al posto suo (maltrattamento animali)
3- Geppetto dorme con un fucile sotto il cuscino (istigazione all'uso delle armi)
4- Geppetto non accompagna Pinocchio a scuola manco il primo giorno, e infatti il Gatto e la Volpe se lo intortano (abbandono di minore)
5- Il grillo parlante è un senzatetto parassita che ammorba Pinocchio con canzoncine coreografate manco fossimo sul set di Glee (circonvenzione di incapace)
6- Il teatro è rappresentato come un'attività di infima categoria ai limiti del lecito e realizzata da idioti (cit. del Grillo: "cosa può farsene un attore della coscienza")
7- Mangiafuoco tiene Pinocchio chiuso in una gabbia tra uno spettacolo e l'altro (sfruttamento e maltrattamento di minore)
8- Geppetto che cerca Pinocchio sotto la pioggia battente di notte invocando il suo nome è una delle scene più deprimenti di sempre (istigazione alla depressione)
9- Dolci, pizza, caramelle e il gioco del biliardo sono equiparati al tabacco e all'alcool (pubblicità ingannevole)
10- La metamorfosi dei ragazzi svogliati in somari è più paurosa di quella dei metamorfi in True Blood (esposizione precoce dei minori al concetto di horror)

Stamattina, a casa di Orlando, ore 8.52.

"Bruco, hai fatto la pipì? Dobbiamo uscire, è tardi"
"Sì, mamma"
"Bruco, non l'hai fatta. La mia era una domanda retorica. Guarda che non si dicono le bugie!"
"Però il naso non mi è cresciuto, mamma"
"..."

Post scriptum
A margine di tutto ciò, e soprattutto a prescindere dalla sua trasposizione animata, il Pinocchio di Collodi resta un grande libro (e pensare che qualcuno si ostina ad accostarlo al libro Cuore...)


venerdì 25 ottobre 2013

Bello de casa

Stamattina, ore 8.05, a casa di Orlando.

Il Bruco si presenta in camera nostra, noi ancora moribondi dopo 6 ore di sonno filato.
"Bruco, vieni qui dal Papà"
"No, vieni dalla mamma"
"No, dal Papà!"
"Dalla mamma, Bruco!"

Il ragazzino, conteso,  "da tutti e due" risponde.
"Ma certo, amore, la mamma e il papà scherzano. Dai, io mi alzo a preparare la colazione"

Torno in camera dopo dieci minuti.
"Guarda, mamma... sono dal papà che è bello!"
"Cosa vuol dire?! Anche la mamma è bella!"
"..."
"Bruco? Anche la mamma è bella, vero?"
"Mamma... tu sei intelligente"

A parte che la mia autostima è improvvisamente andata in vacanza e secondo me non tornerà neanche tanto presto.
A parte che mi sconvolge il fatto che un bambino di quattro anni possa esprimere un pensiero così elaborato.
A parte che se non gli spiego due o tre cose con le donne non andrà molto lontano.
A parte che l'Interista da sotto le coperte ha osato sussurrare un "è vero, Bruco, hai ragione".

A parte tutto. Domani col cazzo che mi alzo a prepararvi la colazione, ingrati!

(e comunque, come diceva George Bernard Shaw, "la bellezza dopo tre giorni è tanto noiosa come la virtù").


venerdì 18 ottobre 2013

Le conseguenze dell'amore

No, non è un post serio, e neanche uno sdolcinato, è un post cazzone ma alla fine è di quello che si vive no? Di cosa? Di momenti cazzoni. Mica di ricorrenze e feste comandate,

Lo scorso weekend sono fuggita per un paio di giorni con delle amiche che sopportano i miei momenti "Touring Club" e anche quelli "Gambero Rosso", ovvero non fanno un piega se tutti sono svaccati per la pennica pomeridiana e io rompo le balle perchè bisogna andare a visitare la cupola ellittica più grande d'Europa (già, per fortuna al mondo c'è gente che ti apprezza per come sei).

E niente, ho lasciato i due uomini da soli. Non proprio soli, in realtà li ho lasciati in compagnia di mille raccomandazioni: "non fare questo, fai quello, non dargli quello, non vestirlo così, non portarlo lì".

Sabato mattina, ore 11.43, al telefono.

"Ciao Interista, allora che avtee fatto ieri sera?"
"Abbiamo mangiato la pizza da mia sorella"
"Ma il Bruco? Vabbè passamelo"
"..."
"Ciao, Bruco! Come stai? Cosa hai fatto ieri sera?"
"Ho visto un film dalla zia"
"Un film? Di cosa parlava?"
"C'era una bambina"
"Ah, bene. E cosa faceva questa bambina?"
"Era triste perchè non c'era la sua mamma"
"E perchè non c'era?"
"Perchè l'avevano bruciata viva gli umani"
"Bene. Passami tuo padre. Subito!"

Domenica, ore 13.32, conversazione su whatsup.

"Ciao, dove siete?"
"Al pub"
"Al pub? A fare cosa?"
"A mangiare. Alla caserma dei pompieri c'era coda e torniamo dopo pranzo"
"Cosa sta mangiando il Bruco?"
Arriva una foto.
Il Bruco è vestito con un maglioncino di cotone senza maglietta sotto e ha di fronte un piatto gigante pieno di fagioli, bacon e uova. Una Guinness campeggia al suo fianco.
Mantengo la calma.
"Ha mangiato della frutta?"
"Oggi no"
"E ieri?"
"uhm... no, ha mangiato la pizza"
"Guarda che se non gli dai la frutta non fa la cacca"
"Ah. Infatti sono due giorni che non la fa"

Domenica, a casa di Orlando, ore 19.18.

"Bruco! Sono tornata! Che hai fatto oggi amore?"
"Ho spento il fuoco... ho salvato un gattino... il papà mi ha comprato la maglietta di Andanovich"
"..."

Lunedì mattina, a casa di Orlando,  ore 8.50.

"Bruco, sbrigati che arriviamo tardi a scuola"
"Voglio portare un gioco"
"Ok, prendi quello che vuoi e andiamo, veloce!"
Torna con in mano un gagliardetto nerazzurro.
"Porto questo"
"No. Quello non è un gioco, non puoi portarlo a scuola"
"Sì lo porto! Tutti devono sapere che bisogna tenere l'Inter"
"Bisogna???!!!???"

Tutto ha delle conseguenze. Andare via per un weekend ha delle conseguenze.
L'amore paterno ha delle conseguenze.
L'amore dell'Interista per la birra e per la sua squadra.
Intendevo quello, per "amore paterno". Che avevate capito?


lunedì 7 ottobre 2013

Buon compleanno, mister Bruco

Stamattina quando è suonata la sveglia volevo morire. Le palpebre sembravano piombo, la schiena mi faceva male, nessuna energia residua, e tutto dopo otto ore di sonno filato.
Esattamente quattro anni fa, di mattina, mi svegliavo e volevo alzarmi. Le palpebre sembravano piombo, la schiena mi faceva male, nessuna energia residua, e tutto dopo 40 ore tra induzione, travaglio, parto.
Volevo andare alla nursery e guardarti perchè ti avevo visto solo di sfuggita tra l'1.36 e l'1.46: improvvisamente avevo un figlio e non sapevo neanche che faccia avesse. Eri senza capelli, e a parte quello mi sei sembrato subito bellissimo, il più bello. E' stato lì che ho capito davvero quella cosa dell'"occhio della madre" che avevo studiato a storia e critica del cinema.

Stamattina mi sono trascinata in camera tua con le mie palpebre di piombo e ti ho guardato, come faccio ogni mattina da quattro anni a questa parte.
Hai un sacco di capelli, lunghi e spettinati, un po' biondi e un po' rossi.
Hai quattro anni, e ti metti le scarpe da solo.
Hai quattro anni e giri per casa con una maschera da uomo-pesce, i guantoni da portiere e lo scudo di Capitan America.
Fai discorsi che neanche molti adulti sanno fare, e quando hai finito di mangiare mi dici "sono sazio".
Inciampi nei tuoi stessi lunghissimi piedi ma vai come un fulmine in bici senza rotelle, salutando ogni singolo ciclista che ti passa a fianco.
La ex maestra del nido ci chiede ancora oggi se può tenerti ogni tanto il pomeriggio.
La bidella della materna ti regala giochi e giochini ogni giorno perchè "lo so signora che non è educativo ma è il mio bambino preferito", e quando penso a me e all'interista (ma soprattutto a me) mi chiedo da dove tu l'abbia preso questo potere ipnotico di piacere alle persone.
E' un dono, il tuo dono.
Usalo bene, usalo a fin di bene, è il mio augurio per il futuro.
Auguri, Bruco mio. Tanti auguri da una che ogni mattina si sveglia, ti guarda, e si meraviglia.
(sei una durissima concorrenza per colui che verrà, ma ci attrezzeremo)

martedì 1 ottobre 2013

La prova del tofu

Ieri sera, ore 19.04, a casa di Orlando.

"Bruco, cosa vuoi mangiare stasera?" (di solito non glielo chiedo, ma quando non ho idee mi faccio ispirare da lui)
"Di primo carne, di secondo tacchino"
"..."

Come dire, piccoli vegetariani crescono.
A casa di Orlando siamo onnivori, nel senso che mangiamo (quasi) tutto, anche se i miei principi slow food un'impronta al nostro regime alimentare la danno inevitabilmente.
Con qualche "no" imprescindibile, ma senza esagerazioni.
E il Bruco è esattamente come i suoi genitori, una buona forchetta: il suo pasto preferito è pasta al pesto, fagiolini ripassati e uovo alla coque. Se poi ci sono pure i cannoli con la crema...

Oggi, secondo un'iniziativa per me lodevole che ha lo scopo di far conoscere altri regimi alimentari ai bambini, a scuola servivano un menù vegano (creato da Pietro Leeman, mica pizza e fichi), anche se a mio parere potevano giocarsela un po' meglio: servire un'insalata di tofu condita con salsa di soia al quattrenne medio equivale a un suicidio di massa (dei piatti di tofu, s'intende).

Stamattina ho preparato il ragazzo all'evento, cercando di rendere la cosa più semplice possibile da capire.
"Bruco, oggi a scuola c'è il pranzo vegano. Lo sai chi sono i vegani?"
"No"
"I vegani sono delle persone che non mangiano la carne, il pesce, il formaggio e le uova"
"Perchè?"
"Perchè ad esempio credono che non sia giusto uccidere gli animali per mangiarli"

Non risponde. Lo vedo pensieroso, bene, sta elaborando la cosa.

"Mamma"
"Sì, Bruco?"
"Io non voglio essere uno di quelli"
"Non vuoi essere un vegano?"
"No. Stasera posso mangiare il formaggio pannerone?"

Chissà che invece non torni a casa e mi chieda del tofu saltato in padella.
In fondo nella vita non si sa mai.

venerdì 27 settembre 2013

Camminare, aprire strade

Che poi una ci mette una vita a decidersi a fare una cosa, inizia a farla, si entusiasma pure, e sul più bello interviene qualche causa di forza maggiore e tocca rivedere i programmi.
Però, c'è sempre un però.
Ad esempio questo: se non puoi correre, però puoi camminare.
Come forse ricordate, avevo iniziato a correre.
Poi alcuni annessi e connessi della gravidanza mi hanno imposto uno stop, e io ogni tanto mi chiedo se e quando ce la farò a rimettermi in pista, conscia del fatto che la cosa più difficile è cominciare, è quella prima volta in cui ti manca il fiato, i muscoli a riposo da troppo s'irrigidiscono, le articolazioni arrugginite scricchiolano e sai che la mattina dopo ti sveglierai con in testa il mantra "sto una chiavica".
Però intanto si può camminare, e ci sono anche alcune occasioni speciali in cui farlo con un motivo in più. Domenica 29, ad esempio, qui a Milano ci sarà la tappa conclusiva della Walk of Life, un evento organizzato da Telethon in tutta Italia, per raccogliere fondi da destinare alla ricerca scientifica sulle malattie genetiche. Per chi corre c'è la competitiva da 10 km, per chi cammina una passeggiata non competitiva di 3 km, perfetta da fare con i bambini.
Si parte dall'Arena Civica alle 10.30, sul sito trovate tutte le informazioni per l'iscrizione a entrambe le tipologie di corsa e il dettaglio dei percorsi.
Io e il Bruco ci siamo iscritti alla passeggiata, l'Interista purtroppo non sarà dei nostri perchè in periodo di campionato (quindi praticamente sempre) appartiene anima e corpo esclusivamente alla sua fede nerazzurra.

Come diceva qualcuno, "Se continuerai a camminare, le strade si apriranno".
E quindi continuiamo (o cominciamo) a camminare!

La corsa di Milano è simbolicamente dedicata a Samuel, Mohammad, Giovanni, Jacob, Canalp e Kamal, sei bambini affetti da due gravi malattie genetiche che, grazie alla terapia genica sviluppata dai ricercatori del Tiget di Milano, oggi possono vivere una vita normale. 

martedì 17 settembre 2013

Magari

Che poi nella vita è sempre così, più ti prepari a certi momenti e più le cose succedono esattamente come non le avevi previste (e per fortuna siamo sbrindellati e non è che facciamo grandi pianificazioni).

Ieri sera, a casa di Orlando, ore 20.20.
(dopo una giornata campale in cui la caduta in moto dell'Interista sul viale che porta alla Pinetina è stato solo uno degli accadimenti)

"Senti Interista, ma che facciamo, glielo diciamo o aspettiamo ancora?"
"Boh. Non sono in grado di intendere e di volere"
"Neanche io. Ok, diciamoglielo"

"Bruco, la mamma e il papà devono dirti una cosa..."
"Che c'è?"
"Niente, volevamo solo dirti che tra un po' di tempo arriva un fratellino"
"Lo sapevo, mamma"
"Come lo sapevi???!!?"
"Sì, lo sapevo"
"E chi te l'ha detto?"
"Me lo sono immaginato"
(ok, è ufficiale, appartengo alla categoria del genitore rincoglionito e mio figlio è già avanti anni luce)
"E' un maschio come te, sai?"
"Menomale!"
"..."
"E dov'è adesso?"
"Dentro la pancia?"
Mi guarda incredulo.
"Lì dentro? E com'è?"
"Chi lo sa... magari ti somiglia!"
"Magari è nero, mamma"

E niente, nei secondi successivi dovevo scegliere se praticare una manovra antisoffoco all'Interista che aveva mandato di traverso l'insalata o spiegare al Bruco che sarà piuttosto improbabile per lui avere un fratellino nero.
Invece son rimasta lì a ridere come una scema, chiedendomi se il prossimo abitante della casa sarà simpatico come il Bruco.
Magari.

(Informazione di servizio: l'Interista sta bene, vive e lotta insieme a noi).

venerdì 13 settembre 2013

Fuga, ritorno e rigetto

Succede che si parta per delle vacanze un po' sgangherate.
Succede che quando hai un figlio quasi grande riesci perfino a concepire di fare il giro dello stivale on the road (o per dirla alla latina, ad minchiam).
Succede che rincontri persone che non vedi da due anni e sei molto contento di rivederle.
Succede che il giorno della partenza la macchina non parta e devi spendere 1200 euro per rimetterla in strada.
Succede che in raptus di follia decidi di visitare gli scavi di Pompei il 9 agosto a mezzogiorno e quando arrivi al cave canem ti guardi intorno e le frotte di turisti 'ammericani' ti sembrano zombie da cui fuggire.
Succede che vai a Sorrento e vien giù il diluvio e le strade si allagano e l'unica cosa da fare è rifugiarsi da Giggino all'Università della Pizza e ordinare 60 centimetri di prosciutto e funghi.
Succede che alle undici del giorno dopo ti metti in macchina e percorri 500 km tra Salerno-Reggio Calabria e Basentana, in mezzo a paesaggi lunari senza uno straccio di autogrill, e che quando poi arrivi in Salento giuri che non salirai mai più su una macchina per i prossimi 10 anni.
Succede che t'invitano a una grigliata di Ferragosto in campagna e, dopo quintali di pittule, bombette, maritati e melanzane alla parmigiana, dopo l'anguria e prima del dolce, arriva l'impepata di cozze, come fosse un sorbetto al limone.
Succede anche che ti alzi alle sei per andare a pesca, che il Bruco balli la pizzica con la sua amichetta e poi voglia portarla in scooter, che la macchina si fermi di nuovo, dopo una settimana che l'hai messa a posto.
Succede poi di andare a trovare amici nelle Marche e vivere per due giorni in una sorta di comune, e scoprire che tuo figlio adora vivere così, in una casa con 10 cristiani, e che in realtà non vuole un fratellino ma solo delle alternative ai suoi genitori.

Ma soprattutto succede che torni a Milano, passi un pomeriggio nel parchetto d'appartenenza e capisci che no, non ce la puoi fare.
Capisci che ti sei rotta il cazzo del parchetto, perchè il parchetto è come il liceo, e le mamme si dividono in gruppetti: ci sono le mammine pie, quelle che vanno a messa, ti sorridono sempre, e  un po' ti compatiscono perchè hai perso la retta via (ammesso di averla mai percorsa); ci sono le mamme fricchettone, col pantalone largo e il figlio a piedi scalzi, che magari je mena ad altri bambini e loro manco lo sgridano in nome di non si sa quale teoria pedagogica postmoderna; poi ci sono quelle precisine, di solito con femmine lagnose rosavestite al seguito, quelle fashion a tutti i costi "perchè a me la maternità non mi ha mica tolto lo stile", quelle che hanno tre o quattro figli e non potendo considerarli tutti si siedono sulla panchina e non ne considerano neanche uno.
Tutte sorridono. No, davvero. Ma che cazzo ti ridi?
Io, se devo immaginarmi l'inferno, me lo immagino così: un'area giochi con mammine sorridenti e bambini urlanti. Orribile. Roba da crearci un girone ad hoc nella Divina Commedia.

E comunque tutto questo era per dire che siamo tornati.
Con tutto il nostro ottimismo. Belli carichi per un nuovo anno scolastico/lavorativo.
Mica siam gente cinica.

"Bruco, son già le cinque e venti. Andiamo a casa?"
"Sì, mamma, oggi non ho voglia di stare ai giochi"
"Bello di mamma. Allora ce l'hai un po' del mio DNA"

lunedì 22 luglio 2013

Là, sui monti con... "Andavonich"

Ogni anno, a luglio, a casa di Orlando c'è un pezzo mancante. Lo mandiamo in prestito a Pinzolo, al ritiro nerazzurro: a malincuore, ma puntualmente l'Interista fa le valigie e se ne va' là dove batte il cuore. Intanto io, il Bruco e la Minuzza ce ne stiamo in città a "goderci" la calda estate milanese, i weekend solitari, l'asilo estivo e le serate senza respiro, mentre quasi tutti i bambini del mondo sono in vacanza coi nonni e quasi tutti i genitori del mondo si godono le loro settimane child-free.
(ma a noi che ci frega di certi lussi, siamo gente che gli piace vivere pericolosamente, e pure senza grammatica, qualche volta)

Comunque, per farla breve, ogni anno tentiamo di raggiungere il pater familias lassù tra i monti per il fine settimana, e ogni anno forze oscure fanno sì che ciò non accada (tra queste, la principale forza oscura è il fatto che io non guido e che Pinzolo è in culo ai lupi, ma proprio in senso letterale).
Abbiamo ritentato quest'anno. Avremmo dovuto andare lo scorso fine settimana, ma uno dei nostri accompagnatori si è fatto male la sera prima di partire (e se non sono forze oscure queste...), quindi niente. Eravamo quasi rassegnati.
Ma poi l'Interista ha invocato la forza (ancora più potente di quelle oscure) dell'allegra famiglia di Bauscia Cafè, che l'altro ieri si è presentata a casa di Orlando a prelevare coattamente me e il Bruco.

Ore 9.07, pronti alla partenza, valige caricate, vettovaglie e armi di resistenza al viaggio pure (leggi: patatine e chupa chups a volontà). Due macchine, un cane, un Bruco, cinque interisti.
E le forze oscure, naturalmente.
Driiiiin, driiiiiiin.
"Pronto, Interista? La nostra auto non parte"
"Certo, è ferma da giorni, dovevi metterla in moto ogni tanto"
"Ti passo il valente uomo qui alla guida"
"Ciao Interista, la batteria è defunta. Hai i cavi?"

Secondo voi potevamo avere i cavi? Certo che no.
Pochi minuti dopo, quattro donne di cui una incinta, spingevano l'auto nel vialetto di ghiaia, mentre l'unico maschio rideva sotto i baffi e le fotografava a tradimento da dietro il volante nel momento dello sforzo supremo.
E' partita al secondo tentativo.

Poi c'è stato il traffico infernale, le soste anti-vomito, i cartoni a singhiozzo sul telefono e i chupa chups: ma i nostri eroi ce l'hanno fatta, dopo quattro ore sono giunti a destinazione, e le forze oscure sono state definitivamente sconfitte.
E' stato breve, ma bello: il Bruco ha scorrazzato in giro per i verdi campi di Pinzolo, ha giocato coi cani, è salito sui pony, si è fatto bagnare dalle cascate, si è innamorato dei Bauscia, a tratti ha tentato pure di farsi adottare da loro, ha tracannato litri di "bevanda" (questa la capiranno in pochi ma tant'è), ma soprattutto è finalmente riuscito a incontrare il suo mito calcistico, Handanovich detto "Andavonich" o anche "Andandovich".
E come si nota dalla foto qui sotto, per qualche minuto, quando il gigante si è abbassato al suo metro e nove, il cuore del Bruco ha battuto più forte che mai.




(e ancora grazie infinite a chi lo ha reso possibile...)

ps: caro Interista, bella Pinzolo ma preferiremmo che tu tornassi a casa in tempi brevi. Puoi portare anche Andavonich. Grazie.


martedì 16 luglio 2013

Magliette e filosofia

Il guardaroba di un piccolo maschio è piuttosto monotono e si compone essenzialmente di pantaloni e magliette, di varie lunghezze, colori e tessuti, ma sempre di quella roba lì si tratta.
L'unico sfizio è poter collezionare t-shirt, e infatti il Bruco possiede l'intera serie dei supereroi, quelle dei cartoni animati preferiti, quelle dei gruppi rock più fichi con qualche incursione nel metal, e infine c'è tutta la parte cinefila, a cui pian piano lo stiamo introducendo.
L'altro giorno aveva indosso la maglietta di Star Wars, di cui conosce i principali personaggi e di cui ha visto a ripetizione la scena della battaglia tra Yoda e Darth Fener.

A casa della nonna, ieri, ore 20.10.

"Zio, hai visto la mia maglietta?"
"Bellissima"
"Ti dico i personaggi?"
"Sentiamo"
"Allora: Yoda, Darth Fener, Ciubecca, C3PO, C1P8..."
"Ma li sai davvero!"
"Sì. Ho anche visto la battaglia con le spade laser. Però alla fine vince Darth Fener"
"Ma sei sicuro che alla fine vince lui?"
"Eh sì, perchè lo sai, zio, alla fine i cattivi vincono sempre"
"Vabbè ma tu sei troppo avanti. Non ho più niente da insegnarti"

Questo è il tipo di conversazione a cui si può assistere invitando a cena il Bruco.
Astenersi ottimisti, maestri di vita e amanti dei cinepanettoni.

lunedì 8 luglio 2013

Saltare un precipizio

Dopo la nascita del Bruco, non è che me la passassi molto bene.
Vagavo per ore con questo infante indemoniato nel passeggino che dormiva solo col moto perpetuo e quando qualcuno mi fermava al grido di "che bello! E' il primo?", io rispondevo "no, è l'ultimo".
In barba a tutti i luoghi comuni che continuano a circolare sulla maternità, io posso dire con tutta onestà che ho passato mesi orribili, giornate (e nottate) di merda, momenti di disperazione.
Posso anche dire che non è vero che si dimentica, no: io mi ricordo tutto nei dettagli, il parto, il post-parto, l'insonnia coatta, i pianti, la reclusione, e l'innumerevole quantità di volte che ho pronunciato le parole "ma che rottura di coglioni".
E poi niente, alla fine è passato, perchè è vero che tutto passa, lasciando cicatrici visibili e non, lasciandomi un mini-uomo che ha quasi 4 anni e che è attualmente l'unico essere umano che proprio non mi delude mai (lo so, ci sarà tempo anche per quello ma adesso mi godo il momento).

(Nel frattempo sono successe molte altre cose, e come sempre ho preso troppe strade per ricordarmi qual è l'unica che davvero mi chiama: qualcuno si è lamentato che scrivo sempre meno sul blog, ma il fatto è che non scrivo qui perchè scrivo altro e altrove).

"Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un'impresa. Bisogna avere un'energia, una generosità, un accecamento… C'è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa" scriveva Sartre ne “La nausea” concludendo con "io so che non salterò mai più".
Io, invece, ho saltato quel precipizio un'altra volta, e a febbraio, a casa di Orlando, arriverà un +1.




ps: se pensate che io sia matta, potete dirmelo, l'hanno già fatto in diversi.
ps2: se pensate che io sia matta, potete dirmelo, lo penso anch'io.
ps3: se pensate che io non sia matta, siete matti voi.



venerdì 21 giugno 2013

Del nascondersi all'ombra e del combattere

O si vive o si scrive, disse qualcuno. 
In effetti, nelle ultime due settimane abbiamo colorato i muri di una scuola, portato il Bruco al cinema per la prima volta, passato una giornata in cinque (ospitando i cuginetti, loro bravissimi - io ancora traumatizzata), andati a un concerto, tornati a piedi dal concerto perchè l'Interista ha chiuso le chiavi dello scooter nel bauletto, prenotato vacanze, mangiato gelato alla birra, compiuto trentacinque anni, scoperto cose che preferivamo non scoprire e altre che ci hanno sorpreso (tipo che il Bruco sa fare la rabona - che per inciso io non sapevo manco cosa fosse ma lui sì e forse mi devo rassegnare al fatto che i calciofili in casa mia si moltiplicano mio malgrado).
E non è che non abbia avuto qualche minuto per scrivere un post, è che a volte uno ha solo voglia di starsene all'ombra, e aspettare che il tempo passi, che i frutti maturino, le pagine si scrivano.

E mentre il tempo passa e le pagine si scrivono (con lentezza, fosse mai che mi perdo qualche dettaglio del panorama), anche quest'anno c'è uno scampolo di vacanza imminente. 

"Bruco, tra qualche giorno prendiamo l'aereo e andiamo un po' al mare, sei contento?"
"Non lo so, mamma"
"Come non lo sai? Perchè?"
"Nel mare dove andiamo ci sono le alghe?"
"Oddio, no, non credo"
"Non mi piace il mare con le alghe, mi fanno pizzicare i piedi"
"Allora cerchiamo di trovare un mare senza alghe, ok?"
"Se non lo troviamo mi posso togliere i piedi?"
"Ma che idee ti vengono, Bruco? Senza piedi come fai poi a camminare?"
"Ma i Barbapapà non ce li hanno i piedi, però camminano"

Come sempre ha vinto lui, che vive in un mondo in cui le creature dell'immaginazione hanno lo stesso valore di quelle reali.
E insomma andiamo via per qualche giorno: il Bruco alla ricerca di un mare senza alghe, io alla ricerca di alberi che facciano ombra sufficiente a nascondermi un po', l'Interista alla ricerca di un temporaneo oblio dalle sue preoccupazioni calcistico-lavorative.
Una fuga a tre, su un'isola greca come sempre perchè ci piace così, prima della lunga estate calda e cittadina e delle lotte che verranno. A questo proposito, mi è capitato tra le mani un pezzetto del "mestiere di vivere" di Pavese che recita così e che mi sembra quanto mai calzante con il nostro personale hic et nunc: "Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, un antico se stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte".
(e noi siamo gente che combatte sempre, non a caso abbiamo dato al Bruco il nome di un paladino).


venerdì 7 giugno 2013

Un ghiacciolo al limon

Ci sono giorni difficili, quando si è madri.
Pure quando si è figli.
In assoluto, nella vita, ci sono giorni difficili. Difficilissimi.

Tipo lunedì scorso, quando mi sono svegliata alle 1, alle 2.30, alle 3.17 e alle 4.25, trascinandomi in camera del Bruco che prima aveva perso il ciuccio, poi la coperta, poi era caduto dal letto e alla fine ha chiesto "è mattino, mamma?"
No. E' notte fonda e questo ritorno alle sveglie ripetute dei primi mesi non è uno scherzo divertente.

Tipo lunedì scorso quando, dopo quattro risvegli notturni, mi è suonata la sveglia della 6 per andare a correre e non ce l'ho fatta perchè avevo un sonno devastante, e son rimasta a letto e mi sono sentita in colpa.

Tipo lunedì scorso quando sono salita sul treno che mi porta a lavoro, e mentre stavo sprofondata immobile su una poltrona, una signora mi ha fanculizzato perchè era inciampata nel mio piede.

"Ma insomma! Non vede che il suo piede arriva troppo in là?"
"E cosa faccio, me lo taglio?"
"Eh bè, lo sposti, almeno!"
"Signora guardi che io ero ferma, è lei che deve guardare davanti quando cammina!"
"Ma vada a cagare!"
"Scusi, vada a cagare lei!"

Già perchè c'è un bon ton anche nel fanculizzarsi reciprocamente, a volte.

Tipo lunedì scorso quando sono andata a prendere il Bruco a scuola, l'ho portato al parco, gli ho comprato un ghiacciolo che desiderava come se non ci fosse un domani e lui ha fatto una scenata da pazzo perchè il ghiacciolo, mentre lui lo leccava, si consumava.

L'intero parco ci fissava. Fissava il bambino pazzo e viziato e la madre incapace di educarlo.
Ho tentato la carta della simpatia per sdrammatizzare la situazione, e ho detto: "Amore qui non siamo mica nella fabbrica di Willy Wonka, non esiste il succhia-succhia che mai si consuma!"
Ma nessuno ha colto la citazione, e io mi sono sentita ancora più sola.

E niente, poi son tornata a casa col Bruco singhiozzante per mano, senza dire una parola per tutto il tragitto.
E ho pensato che forse è così che si cresce, tra un vaffanculo gratis e la rabbia per i propri sogni infranti, qualunque forma abbiano. Compresa quella di un ghiacciolo al limone.



venerdì 31 maggio 2013

Pigri si corre

Sono nata pigra. Sono, pigra. Da bambina volevo sempre fare un sacco di attività sportive: la ballerina, la pattinatrice su ghiaccio, la ginnasta. Però i miei avevano pochissimo tempo, ancor meno soldi e tre figli da gestire; in più, non è che io avessi proprio il physique du rôle: somigliavo più a un sacco di patate che a una promessa del corpo di ballo della Scala.
Così ho fatto i miei anni di piscina (che le madri su questa cosa della piscina spesso sono intransigenti e sembra che se da bambino non vai in piscina si ferma il mondo), e poi più niente.
Durante gli anni del liceo passavo i pomeriggi sul letto, a studiare, a scrivere, a leggere e chissà cos'altro, ma non mi ha mai sfiorato di andare, chessò, a fare una passeggiata fuori. Tantomeno in palestra. Tanto più che da ragazzina ero un'acciuga.
Poi, nel corso degli anni, ci ho provato più volte, a fare qualche attività sportiva, non ultimo qualche mese fa: ma niente, era proprio una tortura cinese.

Di solito siamo circondati di gente che ci tiene a farci sapere che "mi vai bene così come sei" e "ti vogliamo bene comunque". Io no. Io sono circondata di gente che mi rompe proprio i coglioni e che non me ne lascia passare una. Persone che mi hanno parlato con parole dure, a volte.
Inutile dire che in cuor mio non ho reagito benissimo. A nessuno piace sentir sottolineare da altri quanto o come mangia. Certo che io non è che ci stessi benissimo con quei dieci chili in più.
Poi sono successe delle cose.

Tipo che a San Valentino l'Interista mi ha regalato un paio di scarpe da running (da vero interista, è abituato a non mollare mai).

Tipo che ho iniziato a leggere, qua e là, su twitter, di questo gruppo virtuale di mamme sparse in tutta Italia, che andavano a correre, ognuna dove e come poteva, le #runningformommies.

Tipo che mio cognato durante il pranzo di Pasqua mi ha estorto la promessa di andare a correre con lui la mattina dopo. (e ci sono andata, perchè sono un'orgogliosa e piuttosto entro in crisi respiratoria ma tu non te ne devi accorgere).

Non so cosa sia successo, ma qualcosa è successo.
Sono due mesi che mi alzo la mattina alle 6 e vado a correre, tre volte a settimana.
Quasi sempre ascolto Johnny Cash, a volte devo rallentare, a volte prendo la pioggia, a volte passo in mezzo agli orti del parco e vorrei fermarmi a guardare gli iris che crescono tutt'intorno.
Ho capito che per me correre è una specie di training verso altro. Che se riesco ad alzarmi alle 6 per correre, posso farlo anche per scrivere.
Torno dopo un'ora e devo lavarmi, vestirmi, preparare la colazione, svegliare il Bruco, portarlo a scuola e poi andare a lavoro. Ma sono felice, quei giorni lì.

In un momento di follia mi sono anche iscritta a una corsa, la We own the night, solo 10 chilometri, solo donne, non competitiva.
10 chilometri. E' stasera. Non lo so se ce la faccio a farli tutti, ma non importa.
In qualche modo ho già vinto.

ps: a oggi non ho perso un etto, ma il motivo per cui mi alzo alle 6 e infilo le scarpe non è più solo quello.
 
ps2: il gruppo virtuale delle #runningformommies stasera sarà reale perchè alcune di loro le incontrerò alla partenza ;)

ps3: se qualcuno vuole venire all'arrivo con una bombola di ossigeno è ben accetto!

martedì 28 maggio 2013

Giovani, carini e disadattati

Qualche giorno fa sono andata alla riunione di fine anno della classe del Bruco.
Perchè sì, insomma, andiamo ancora in giro col cappotto però ormai è giugno, l'anno è finito, il pensiero vola alla spiaggia, è tempo di bilanci, tempo di "fare il punto sul programma didattico dell'anno in corso e relazionare i genitori sulla risposta dei bambini".
A quanto pare, è come col vino: ogni annata ha le sue caratteristiche, solo che coi bambini non sai esattamente da quali fattori dipendano, non puoi chiamare in causa la troppa pioggia (anche se quest'anno ne han presa parecchia, in effetti) o la troppa siccità.
Escono fuori in un certo modo, ed è curioso che tutti abbiano caratteristiche simili.


Poca propensione all'ascolto.
Difficoltà nel seguire lo svolgersi delle narrazioni.
Scarse abilità manuali.
Zero rispetto delle regole.
Attrazione esclusiva per il gioco fisico.
Inquietante difficoltà di relazionarsi gli uni con gli altri.

"I vostri figli, soprattutto i maschi, vivono completamente in una realtà a parte. Arrivano ogni giorno con la maglietta di un supereroe e non rispondono all'appello se non li si chiama col nome di quel supereroe" (questo a cosa lo ascriviamo, sdoppiamento di personalità o nerditudine incipiente?)

Esempi citati:

"Orlando, vai a lavarti le mani"
"Io non sono Orlando, sono Iron Man"

"Alessandra, di che colore devi disegnare la faccia di Orlando?"
"Verde"
"No, è rosa"
"Ma io la faccio verde"

"Giorgio, allora, che fine fa il lupo?"
"Muore"
"Ma no, Pierino lo porta allo zoo"
"E muore anche lui?"

In poche parole: giovani, carini e disadattati.

(Anche se a me piace pensare che crescendo muteranno i presunti difetti in pregi, mi piace pensare a una generazione futura capace di liberarsi, di ritrovare il senso del contatto fisico, di vivere le storie e la Storia senza farsene scudo, mi piace pensare a uomini e donne guidati dai sogni ma non nei sogni imprigionati: che quella realtà a parte in cui sembrano vivere adesso sia solo un mondo migliore che stanno preparando per se stessi e per gli altri)



lunedì 20 maggio 2013

Solo una fase

Scena tipo numero 1.

"Mamma, vorrei un gelato"
"Ma sono le 18.45!"
"Me l'hai promesso"
"Ma erano le due del pomeriggio! Vabbè. Che gusti vuoi?"
"Fiordilatte e panna montata"
"Mi viene l'intolleranza al lattosio solo a sentirtelo dire"

Il Bruco finisce il suo gelato.
"Mamma"
"Sì?"
"Ne voglio un altro"
"Cosa???!! No, zero"

Segue pianto isterico al grido di "sei brutta! sei cattiva!" protratto fino a casa.

Scena tipo numero 2.

"Mamma, ho sete"
"Siamo quasi a casa, aspetta, è questione di due minuti"
"No, io ho sete adesso!!!"
"Fai come vuoi"

Il Bruco si appende a un drago verde e si bagna interamente le felpa.
Scatta il "te l'avevo detto di aspettare a casa".

Segue pianto isterico al grido di "sei brutta! sei cattiva!".
Un agglomerato di ottantenni ci guarda passare e fissa con compassione il povero bimbo maltrattato.
"C'è qualche problema?"
Alzano le mani impauriti
"Allora giratevi dall'altra parte!"


Scena tipo numero 3.

"Mamma, guarda cosa mi ha regalato Simone per il suo compleanno?"
Nell'armadietto trovo ben 3 chupa chups (mi astengo dal commentare l'usanza di regalare porcate ai bambini degli altri quando il tuo compie gli anni).
"Bruco, lo sai che i dolcetti si mangiano solo nelle occasioni speciali"
"Ma oggi è un'occasione speciale, è il compleanno di Simone"
"Va bene (gli dico, e in cuor mio maledico il buon Simone e tutta la sua famiglia), ma solo uno"
"Mamma, ma perchè non posso mangiare sempre i chupa chups?"
"Perchè ti fanno cadere i denti"
"Ma guarda che poi a sei anni ti ricrescono, mamma"

Stamattina, alla scuola materna.

"Senta, ma qui a scuola tutto bene? No perchè a casa ci sta facendo impazzire, fa capricci assurdi, è sempre arrabbiato, ogni cosa che faccio mi dice che sono brutta e cattiva e a volte mi lancia dietro i giochi"
"E' tutto normale, signora: verso i 4 anni vivono una specie di adolescenza, giusto un assaggio di quello che sarà"

Dunque: il primo anno non si dorme, ci sono le coliche il reflusso e il mal di schiena da apprendisti camminatori, il secondo anno arrivano i terrible two, il terzo esplode la fase edipica, il quarto una sorta di adolescenza... no ma comunque "è solo una fase, signora".
E la fase del "genitore felice e privo di sbattimenti" quando arriva? Già arrivata? Ah, quando non ero genitore, dice? Ah. Ok.

"Pronto, interista? Stasera esco. Sì, anche stasera. Non so se torno. Ma tu non preoccuparti. E' solo una fase"


giovedì 9 maggio 2013

Sì, lo voglio(no)

"Il matrimonio è l'arte di risolvere in due i problemi che non hai quando sei solo", diceva la bisnonna Poupette nel Tempo delle mele. Che per inciso ho visto quando avevo circa 15 anni, quindi il fatto che questa citazione mi sia rimasta in mente da allora è piuttosto preoccupante.
Non ho mai pensato di dovermi sposare, e infatti non mi sono sposata.
Non ho mai pensato al principe azzurro, e infatti mi è capitato in sorte un non-principe nerazzurro.
Negli ultimi 10 anni, ovvero da quando stiamo insieme, io e l'Interista siamo stati invitati a 22 matrimoni, abbiamo partecipato a 16 di questi, di cui 13 insieme e 3 in separata sede.
Se ripenso a tutti questi matrimoni (oltre a pensare a quanto ammonterebbe oggi il mio conto in banca se non ci fossi andata), di ciascuno ricordo un dettaglio in particolare: ricordo quello in cui ho mangiato la cosa più buona, quello in cui faceva più caldo, quello coi centrotavola più belli, quello con la band migliore.
Alcuni sono stati lontano, ad altri non conoscevo praticamente nessuno tranne gli sposi, certi sono stati faticosi perchè il Bruco era piccolo e stare a tavola 5 ore di fila non era semplicissimo.
Onestamente sono davvero pochi i matrimoni per cui mi sono emozionata, perchè in pochi casi avevo condiviso davvero qualcosa con la sposa o lo sposo.
I matrimoni a cui mi piacerebbe tanto andare sono:
- quello della mia migliore amica, che sto ancora aspettando, e per il quale ho già pronto un discorso imbarazzante stile Four weddings and a funeral (nota per la diretta interessata: muoviti cazzo che non ci voglio venire coi capelli bianchi e le rughe!)
- quello di due persone che in qualche modo si sono conosciute grazie a me (e questo già sembra più palpabile del precedente)
- quello di due amici che ritengo impossibile si sposino
- quello di un qualche parente (esatto, 22 matrimoni e neanche uno di un parente), ma contando che i miei parenti sono quasi tutti stronzi e quelli dell'Interista sono quasi tutti sposati, la vedo male.
- quello a cui andrò sabato

Il matrimonio numero 23 sarà il primo a cui non porteremo il Bruco, il primo per cui ho provato una dozzina di vestiti senza averne trovato uno che mi stesse bene, il primo di cui ho la certezza che se ci andassi in ciabatte la sposa non strabuzzerebbe gli occhi ma si farebbe una risata (o forse entrambe le cose!), il primo prima del quale sono stata a un addio al nubilato in cui mi sono divertita come una matta.
Il primo, solo il primo, del 2013.
Quello tra noi e i matrimoni è un feeling costante e inesauribile: pensiamo di aver finito e invece arriva l'invito.
E nonostante il senso del romanticismo sia assente dal mio Dna, i matrimoni mi piacciono un sacco: tutta quella gente bella e sorridente, tutte quelle posate sui tavoli, il mal di piedi, il vestito che alla decima portata non ci stai più dentro, la fila per salutare la sposa, l'ansia perchè non si sa come l'Interista alle cerimonie arriva sempre in ritardo manco dovesse sposarsi lui...
Non so cosa direbbe la bisnonna Poupette del matrimonio numero 23, so solo che io sarò felice di esserci, perchè gli sposi sono due persone fantastiche, diversissimi tra loro e soprattutto innamorati come se si fossero conosciuti ieri.
Come direbbe Snoopy, li ho amati dal primo giorno che li ho visti. Qualunque sia stato.
Auguri, ragazzi.

ps: Silvia non ti preoccupare, mi son fatta prestare un paio di decolletè col tacco.


venerdì 3 maggio 2013

Vincere non è tutto (è l'unica cosa che conta)

L'animo preferisce la vittoria alla pace, scriveva Tito Livio di Annibale.
E di sicuro la preferisce l'animo del Bruco, togliendola a me, la pace.

Finchè era più piccolino pensavo che fosse una tappa della crescita, ora che va verso i quattro anni comincio a pensare che sia un tratto del suo carattere e, come dire, la situazione non è buona.
Lo so, lo so che a nessun bambino piace perdere, però lui va un po' oltre.
La sua reazione tipo è:
- mi gonfio e divento verde come l'incredibile Hulk
- urlo come se dentro il mio corpo stesse per verificarsi un big bang
- tiro calci e pugni a qualsiasi essere inanimato (almeno questo, per ora!) si trovi di fronte a me
- scoppio in un pianto disperato a bocca aperta e toni acuti prolungati che neanche la Callas
- dico no a qualunque tentativo di mia madre di consolarmi
- rinforzo il pianto se mi dicono cose tipo "non si può vincere sempre"

Il tutto non avviene se, ad esempio, perde una partita.
Avviene al primo tiro in porta che non para.

Al parco, ieri pomeriggio.

- Mamma, io vado in porta come "Andavonich", guardami!
- (oh no, cazzo, ha trovato una palla e degli amichetti, me tapina, me misera) Ok, amore, ti guardo!

Non faccio in tempo a finire la frase che la palla ovviamente è entrata.
Lui è già a terra che piange e si flagella.
"Anche suo padre fa così quando prende un goal?" chiedo a un compagno di calcetto dell'Interista (che per la cronaca gioca in porta in una squadra di calcetto per ex-giovani molto motivati, spesso contro avversari nati pochi anni prima di suo figlio).
"A parte le lacrime, sì" risponde lui ridendo.
"Beh, è sempre bello sapere che dopo 10 anni insieme a una persona puoi ancora scoprire cose nuove"

Quello che segue è un copione già recitato: lacrime, disperazione, pianti in braccio a me che cerco invano di trasmettergli il concetto "l'importante è partecipare", mentre le mamme del parco mi guardano con aria di disapprovazione (a proposito, lo rimando da troppo tempo questo post sulle mamme stronze, dovrò decidermi a scriverlo).

- Dai, Bruco, adesso andiamo a casa che è tardi, vedrai che la prossima volta andrà meglio.
- Mamma puoi mettermi la maglia?
(nb, io vado in giro con una maglietta dell'Inter numero 3 col suo nome stampato sopra, che è praticamente la sua copertina di Linus - nessun commento grazie)
- Ok, Bruco, eccola qua. Poi a casa la togli però.

- Ciao! - sbuca fuori un cinquenne riccioluto - Perchè hai la maglietta dell'Inter?
- Perchè io sono Andavonich.
- No, Bruco, hai la maglietta dell'Inter perchè tieni l'Inter.
- Ma guarda che l'Inter perde sempre.
- Senti, come ti chiami?
- Giovanni
- Secondo me la tua mamma ti sta cercando, Giovanni. Ciao, eh. Alla prossima.

- Mamma.
- Dimmi, Bruco.
- E' vero che l'Inter perde sempre?
- No, amore. Non sempre.

Prevedo anni duri. Anzi durissimi, senza vittoria, nè pace. 



venerdì 19 aprile 2013

Nondum maturo est...

La new entry sugli scaffali della Bruco-library sono le favole di Esopo, benchè il concetto di "morale della favola" sia complicato da spiegare a un treenne.

"Mamma mi racconti quella della volpe?"

"Allora. C'era una volpe molto affamata... cerca che ti cerca, a un certo punto vede dei fantastici grappoli d'uva bianca e rossa che pendevano da un tralcio di vite. Mangerò quell'uva, si disse la volpe... e iniziò a saltare per prenderla. Ma salta che ti salta... non c'era verso di arrivarci, perchè i grappoli non erano alla sua portata. La volpe era troppo bassa per arrivare all'uva..."

"E allora la volpe cosa mangia?"
"Niente, rimane a pancia vuota, e fa anche finta di non averla mai voluta davvero"
"Che scema, 'sta volpe. Se andava al supermercato poteva comprarla, l'uva"

OVVERO

Come distruggere in 2 secondi secoli di inossidabile fascino delle favole greche e tre anni di educazione alimentare a km zero.

giovedì 11 aprile 2013

Questione di genere

In biblioteca, sezione bambini.

Il Bruco sceglie libri, io glieli leggo, un po' ascolta, un po' si distrae, complice una pedana rialzata su cui troneggiano una giraffa e un coccodrillo a dimensione (quasi) naturale.
Durante una delle sue distrazioni arriva una bambina, poco più grande di lui, assai socievole.

"Ciao, come ti chiami?"
"..."
"Come ti chiami?"
"Bruco, rispondi, non fare l'orso"
"Orlando"
"Ciao io mi chiamo Elena, posso salire sulla giraffa con te?"

Lui mi guarda. Non è che gli vada tanto di dividere la giraffa con la fanciullina sconosciuta.
Ma lei è già salita a bordo.
Giocano per un po'.
Poi lui viene da me, fruga nella borsa, tira fuori Saetta e Cricchetto e va diretto verso di lei.

"Giochiamo con le mie macchinine?"
"No"
"Perchè?"
"Io sono una femmina, non gioco con le macchinine"
"E cosa fai?"
"Se vuoi possiamo sposarci"
"No, non voglio"

Un'ora più tardi, tornando a casa.

"Mamma quella bambina a detto che voleva sposarci"
"Sposarti, ha detto che voleva sposarti"
"Ma perchè le femmine vogliono sposarti?"
"Ma và là, mica tutte. Io sono una femmina e non ho voluto sposare nessuno"
"Perchè preferivi giocare a macchinine? Povero papà"
"..."





martedì 2 aprile 2013

Maratona pasquale

Alle ore 8.00 della domenica di Pasqua l'Interista è sgattaiolato fuori da casa per recarsi a lavoro, perchè l'unico vero modo di santificare le feste, a volte, è lavorare.

Alle ore 10.34 l'Interista ha chiamato e si è sentito rispondere che io e il Bruco stavamo ancora dormendo, al che si è chiesto perchè questo non avvenga mai quando è a casa anche lui.

Alle ore 11.15 il Bruco reclamava le sue uova di Pasqua, che contenevano un T-Rex gigante da cui non si vuole più separare, e un biliardino da tavola interamente da montare.

Alle ore 12.23 la sottoscritta, con una brugola nella destra e un cacciavite nella sinistra imprecava nel tentativo di portare a termine il montaggio del suddetto. La sottoscritta, dopo molto travaglio, è riuscita a posizionare entrambi i portieri in attacco, esclamando, quando le è stato fatto notare "ah ecco perchè avevano la maglia di colore diverso!" (e guadagnandosi occhiate di scherno da parte di tutti i presenti)

Alle ore 13 la sottoscritta e il Bruco sono sbarcati a casa della famiglia paterna, portandosi appresso il biliardino, il T-Rex e un carico di stress già bastante per l'intera giornata. Ad attenderli c'erano delle lasagne fatte a mano con la zia il giorno prima, ottime ma totalmente prive di sale, due macchinine regalate dagli zii al Bruco il quale le ha rifiutate in quanto "non hanno gli occhi", e una minacciosa proposta dello zio Walter di iniziare la sottoscritta alla carriera di runner, il giorno dopo.

Alle ore 14 l'Interista si è presentato a tavola e lì è rimasto per le tre ore successive.

Alle ore 17 abbiamo portato il Bruco al "Parco Palestro" (così lo chiama lui) dove ha fatto innumerevoli giri di giostra e dove ha assistito (e noi con lui) a uno spettacolo sullo spreco delle risorse idriche che aveva per protagonisti una cicala e un grillo che parlavano in un generico accento del Sud e facevano battute del livello di un film dei Vanzina.

Alle ore 19 ci siamo presentati dalla famiglia materna, dove il Bruco ha scartato ben 3 uova di cioccolato, obbligato la zia Elena a giocare con lui per ore nonostante la poverina fosse infortunata da un incidente d'auto, pianto a non finire quando gli è stato comunicato che era ora di tornare a casa.

Alle ore 21.20, prima di salutarci e dopo varie discussioni sulle sorti di The Walking Dead, la serie tv zombie più amata dall'intera famiglia, ci siamo tutti zombizzati con l'applicazione Dead yourself. A richiesta possiamo pubblicare i risultati.

Alle ore 23, dopo che avevo messo il Bruco a letto da un'ora, sono entrata in camera sua per spegnere la luce e l'ho trovato che giocava col T-Rex e con un triceratopo.

"Bruco ma sei impazzito??? Ancora non dormi?!"
"Non mi piace dormire, mamma"
"Bè a me invece piace un sacco, quindi adeguati!"
"..."

A proposito di morti che camminano, la mattina dopo, come promesso, la sottoscritta si è svegliata presto ed è andata a correre tipo per la seconda volta in vita sua. Ha tenuto botta per più di quattro chilometri.
A metà percorso, lo zio Walter le ha chiesto se respirava ancora.
Lei ha risposto, con la massima motivazione possibile: "Mi sento come in quel programma... Obesi, un anno per rinascere".

Poi, ore dopo, è andata a festeggiare la pasquetta da amici recando in dono una cofana da tre chili di pasta al forno napoletana. Con le polpette, la ricotta, e tutto il resto.
Ripetendo a se stessa che, almeno stavolta, se l'era guadagnata.


mercoledì 27 marzo 2013

Metti un weekend a Napoli

Alla fine no, non siamo rimasti a Posillipo. Nonostante il sole totale e 24 gradi, nonostante le sfogliatelle calde a ogni ora del giorno e della notte, nonostante il mare, nonostante quella vita da turisti senza pensieri che ormai è proprio cosa rara, siamo tornati.

Al terzo giorno senza Bruco, mi sembrava che mi mancasse qualcosa. Tipo una mano, o un piede.
E' la condanna dei figli, che poi il mondo non è più lo stesso, anche se sei in vacanza in un posto fichissimo. Comunque, fino a quel momento, è stato uno spasso.

Ecco i miei 5 best of Napoli:

1. Gli arancini della "Nonna" del mercato alla Torretta, personaggio mitologico ormai ultraottantenne che prepara da mangiare per tutti i napoletani della zona. Il posto è di quelli trucidi e lontani dalle rotte turistiche, ma i "cibi cotti" della Nonna valgono da soli la visita in città. Per un attimo ho temuto che l'Interista volesse terminare la sua vita lì, ingozzandosi di salsiccia e friarielli.

2. Le "capuzzelle" al cimitero delle Fontanelle. A parte il fatto che il Rione Sanità è obbligatorio da vedere molto più del Maschio Angioino, questo posto è un concentrato di follia umana, religione e superstizione che la dice lunga sui tempi oscuri in cui viviamo. E comunque io, per non saper nè leggere nè scrivere, ho lasciato il mio bel centesimino a Concettuzza. Cioè, al teschio di Concettuzza. (siete autorizzati ad avere i brividi, sì)

3. La visita alla città sotterranea. Sarà che ho visto troppi film horror e che mi si è spenta la candela nel mezzo di un tunnel di 100 metri largo 50 centimetri e alto 150, ma ho creduto di morire lì dentro. Il fatto di esserne uscita viva mi ha rincuorato sulla bontà della mia vocazione. In ogni caso, avevo appena mangiato la migliore pizza della mia vita e sarei morta contenta.

4. I dialoghi tra napoletani nei bar. E' come essere a teatro dalla mattina alla sera: li guardi, e non ci puoi credere che parlano davvero con tale animosità, gestualità, impostazione vocale e senso del ritmo. So che molti non apprezzano: io sinceramente mi sono goduta lo spettacolo.

5. Le sfogliatelle, ricce o frolle, calde. Qualcuno lo chiama "comfort food". Per me è parecchio di più. E non parliamo del caffè, delle zeppole di San Giuseppe, della pastiera e via dicendo. Se io vivessi a Napoli avrei dei problemi seri di dipendenza. E anche di obesità, ma tanto non ci vivo quindi siamo tutti tranquilli compreso l'Interista su cui invece i dolci non esercitano alcun fascino.

Poi c'è anche l'altro lato della medaglia. Le strade sono sporche, gli abitanti vanno in giro in auto o motorino come se non ci fosse un domani, i ragazzi che affollano di sera la splendida piazza Bellini dovrebbero capire che buttare le bottiglie di birra vuote dentro un cestino non è una cosa complicata.
Però questa non è la sede per analisi sociologiche sulla città.

Domenica sera, a casa di Orlando.

"Bruco, mi spiace che questo weekend non ci siamo stati, però adesso la mamma è tornata ed è tutto normale"
"Domani cosa facciamo?"
"Ehm... domani è lunedì. C'è scuola..."
"Mamma, secondo me domani non è lunedì. E' Pasqua"
"Hai ragione, Bruco. Anche secondo me sono ancora in vacanza"

Quando si dice accettare la realtà.













giovedì 21 marzo 2013

Varia milanesità

A volte coi figli si commettono errori ingenui e inconsapevoli.
Parole buttate lì che a te sembrano niente e per loro sono porte che spalancano mondi, anzi vortici dai quali - tu ancora non lo sai - faticherai a riemergere.

Qualche sera fa, a casa di Orlando.

"Mamma, ho fame!"
"Eh, hai ragione Bruco, sono le otto... scusami ma la mamma oggi è in super ritardo sulla tabella di marcia (come se poi ne avessi una... vabbè ma tanto lui non lo sa... o sì?)"
"Ma io ho fame!" (ma perchè i maschi di questa casa quando sentono lo stomaco leggermente vuoto diventano delle presse viventi?)
"Adesso ti porto qualcosa mentre cuoce la pasta, ok?"

E mentre guardo l'acqua della pasta sperando che inizi a bollire più in fretta, gli metto tre cose a casaccio in una ciotolina: pomodori, olive, un pezzetto di formaggio...

"Ecco, Bruco, guarda: mentre aspetti fai l'aperitivo, ok?"

Il giorno dopo, a casa di Orlando, ore 19.15.

"Mamma"
"Sì, Bruco?"
"E' ora dell'aperitivo. Me lo prepari?"
"Scusa???!!!??"

Me tapina. Che ho fatto.
Il Bruco adesso si presenta tutte le sere intorno alle 19 e vuole l'aperitivo.
"Sei proprio milanese" gli dico io, che a Milano sono nata e ci vivo da 34 anni, ma tengo di più alla percentuale di sangue toscano che mi scorre nelle vene.

A proposito di milanesità.
Domani io e l'Interista partiamo per un weekend pseudoromantico in quel di... Napoli.
Già perchè tra una partita, un figlio, due traslochi e facezie varie sono dieci anni che ci sopportiamo vicendevolmente (non ci avevate mica creduto davvero alla cosa del romanticismo???!!?), e quindi ce ne andiamo via due giorni, Bruco-free.
E siccome a Napoli non ci sono mai stata e son parecchio curiosa, domani si parte.
(forse, perchè è chiaro che l'unico we dell'anno in cui vai via c'è lo sciopero generale dei trasporti di 'sta ceppa).

Preso il volo, preso l'albergo, ieri chiamo per prenotare un'osteria chiocciolata dove vorrei cenare.

"Pronto, buongiorno, vorrei prenotare un tavolo per sabato sera"
"Quanti siete?"
"Due"
"Mi chiami sabato dopo le quattro"
"Come sabato dopo le quattro??? E se poi non c'è posto?"
"Mi spiace, signò"
"Ma io vengo da Milano"
"Mi spiace, signò. A Napoli non si prenota. Ci si mette in coda"
Clic.

"Pronto, Interista? Il prossimo anniversario andiamo a Oslo, ok?"

Buon weekend a tutti. Se non torniamo, cercateci a Posillipo.


giovedì 14 marzo 2013

Post papale

Ieri sera, ore 19.37.

"Pronto, Interista? Ma dove sei, guarda che io butto la pasta!"
"Sono in macchina, sto tornando"
"Ma chi c'è in macchina con te? Sento delle voci..."
"Sto ascoltando Radio Maria, hanno fatto il Papa, fumata bianca! Ma tu non stai guardando la diretta?"
"Figurati, a quest'ora l'unico "papa" in casa nostra è Papà Pig... Aspetta un attimo: stai ascoltando Radio Maria????!!!? Io chiedo il divorzio. Ah già che non siamo sposati. Chissà che ne penserà il nuova Papa..."

Mezzora dopo.

Il Bruco continua imperterrito a guardare i suoi cartoni animati, io metto insieme una cena sconclusionata, l'Interista è incollato al suo tablet e guarda la finestra papale in attesa dell'habemus papam perchè, dice lui "bisogna sempre essere sul pezzo".

"Orlando posso cambiare canale un attimo?"
"Ma non lo vedi lì? Lascia in pace il ragazzino"
"Ma Sky Go è in differita, se lo annunciano mi brucio la sorpresa..."
"Oddio ma non è mica una partita, che senti in anticipo il boato del goal!"

Poi, nel giro di pochi secondi succede di tutto: al Bruco scappa la cacca, io corro in bagno con lui lasciando incustodite delle ottime piadine artigianali sul fornello, l'Interista approfitta per girare canale e urla "Sta uscendooooo!!!! C'è l'ombra dietro la finestra!", io abbandono mio figlio con le brache calate in mezzo al bagno, arrivo alla tv appena in tempo per sentire un tizio che non sembra stare tanto bene che recita la formula di rito, e mentre tutta piazza San Pietro e noi con lei ci chiediamo chi sia questo Bergoglio, il Bruco fa capolino e chiede: "Ma cos'è il Papa?"

L'Interista la prende larga e comincia: "Hai presente le chiese? Quelle case speciali che ci sono in giro..."
"E' il capo dei preti" taglio corto io nel tentativo di semplificare la cosa.

Lui ci guarda con sguardo vacuo. E' ovvio che non ha capito una mazza, anche perchè non sa nè cosa siano le chiese nè cosa siano i preti.

"Mamma ma cos'è questo odore?"
"Noooooooo le piadine!!!"
"Io le mangio lo stesso" dice l'Interista
"E vorrei anche vedere, è colpa tua e di questa storia del Papa. Manco fossimo una famiglia di ferventi cattolici"
"Vabbè ma era un momento storico"
"Anche la mia piadina poteva esserlo"




lunedì 11 marzo 2013

Antidepressivi naturali

Ci sono giorni in cui apri gli occhi e preferiresti non averlo fatto.
Giorni in cui ti piomba addosso l'insostenibile pesantezza dell'essere, in cui ti ricordi che la sera prima la tua squadra del cuore ha perso in maniera imbarazzante, in cui la prima cosa che vedi sono i Mav di esorbitanti spese di condominio da pagare, in cui rammenti che hai una riunione di lavoro a cui proprio non vorresti prender parte.
Giorni in cui dovrebbe piovere e invece c'è il sole, e niente sta più sul cazzo del sole quando hai l'umore nero. Giorni in cui non è successo niente di particolarmente brutto ma neanche niente di bello, ed è lunedì e non hai alcuna prospettiva esaltante neanche per il weekend venturo.

Avessi il dono della sintesi (che in effetti ho ma oggi non mi va di impegnarmi) direi semplicemente "ci sono giorni di merda".

Ecco, in giorni così, come oggi, ho voglia di una cosa sola: cazzeggiare in compagnia del Bruco.
Perchè lui è l'unico, davvero l'unico, in grado di cambiarmi l'umore.

Perchè lui è uno che mentre lo accompagni a scuola, malmostosa e taciturna, ti chiede:

"Mamma, stai bene?"
"Sì, amore. E' che stamattina dovevo fare un sacco di cose e me le son dimenticate tutte"
"Cosa ti sei dimenticata?"
"Caricare la lavatrice, mandare una mail, prendere la busta gialla sul tavolo, tagliarmi le unghie..."
"Eh sì, mamma, te le devi tagliare, le unghie" mi dice tutto serio.
"Altrimenti diventi come la mamma di Wolverine"

Ma uno così, come si fa a non amarlo? E' un antidepressivo naturale.

mercoledì 6 marzo 2013

B(r)uchi pedagogici

"Mamma, oggi a scuola abbiamo fatto gli stomp"
"In che senso, Bruco?"

Che domande faccio. Ma che domande faccio.
Lunedì abbiamo dovuto portare a scuola coperchi di pentole e posatame vario, tutto rigorosamente di acciaio o alluminio. Che pensavo, che dovessero cucinare le erbette dell'orto?
Il fatto è che, in quanto madre lavoratrice e degenere, quando all'asilo mi chiedono di portare delle cose io le porto e basta, come un automa, mica sto lì a pensare alla funzione pedagogica.
Cioè, insomma, mica sempre.
Ok, quasi mai.

SDOOONG, SBAAAAM, BADADUUUM, TIIING!!!

"Brucoooooooo!!!! Ma sei impazzito???? Ma cosa fai?"
"Faccio gli stomp"
"Ah, quegli Stomp... certo... il fatto è che qui viviamo in condominio, Bruco, non è proprio..."

SDADOOOONGGG TUUUM!

"Oddio aspetta un attimo, fermati: raccontami bene. Cosa... come li hai visti questi Stomp all'asilo?"
"C'era un uomo nero nudo"
"Un uomo nero... un uomo nero nudo??? Sei sicuro, Bruco?"
"Sì, guarda, faceva così"

E niente, si è lanciato dal divano in un triplo carpiato infrangendo la schiumarola contro la scatola dei Lego, ma soprattutto infrangendo la barriera del suono.
La Minuzza ha perso un paio delle sue sette vite, io una decina d'anni della mia.

"Bruco, guarda che puoi farti male" gli dico io mantenendo una certa compostezza.
"Ma io sono allenato, mamma. Il papà mi allena tutte le sere. Mi allena come Andandovich".

Cos'è che dicevo, sulla funzione pedagogica? Forse devo parlare con le maestre.
E anche un po' con l'Interista.

giovedì 28 febbraio 2013

A casa di Ronaldo

Ve lo dico subito così da non rubarvi tempo prezioso: questo post non c'entra una ceppa con Ronaldo.
Ok, adesso che siete rimasti in pochi e interessati posso cominciare.

Alla fermata dell'autobus, mercoledì, ore 17.44.

"Mamma quando arriva l'abutus?"
"Autobus, si dice autobus. Ma perchè questa parola non riesci a impararla? Sai usare i congiuntivi e il passato remoto e non sai dire autobus, è folle!"
"... e quindi mamma? Quando arriva l'abutus?"
"Ok, hai vinto. Non lo so, tra poco, spero"

Tra poco non sarà abbastanza.
La vedo avvicinarsi. Quelle così le riconosci al volo: sono le VRMA, le Vecchie Rincoglionite Moleste Attaccabottone. Quelle che se sei da sola ti tirano pezze infinite sul Sindaco di turno e sul fatto che i mezzi non passano mai e "l'hanno votato e visto, che schifo?", incuranti del fatto che dicono questa cosa da 50 anni e nel frattempo si sono succedute decine di differenti amministrazioni.

Ma quando non sei da sola, quando hai un bambino, lì è peggio. Molto peggio.
Lui diventa il bersaglio delle loro molestie.

"Ciao, bella gioia! Quanti anni hai?" (e già una che ti dice "bella gioia" ti fa perdere interesse nei confronti dell'umanità).
Il Bruco, con una spocchia che solo un treenne, si limita ad alzare tre dita della manina (compreso un dito medio già dotato di eloquenza propria) senza aprire bocca.
"Ma che carino! Bravo, sa anche contare! Come ti chiami, bella gioia?"

Il Bruco mi guarda con aria interrogativa.

"Rispondi alla VRMA, amore"
"Mi chiamo Orlando"
"Rolando, ma che bel nome! Stai attento, Roldano, vieni più vicino perchè vedi che in strada passano le macchine e c'è pericolo. Come quel quel bambino di Brescia, l'ha sentito, Signora? Era per mano alla mamma, è scappato d'improvviso per guardare in strada e l'han tirato sotto ed è morto. Capito, Ronaldo? E' un attimo che muori"

E mentre io medito se sia più grave raccontare un episodio simile a un bambino di tre anni, non saper parlare in italiano decoroso, sbagliare tre volte il nome di mio figlio o vivere in un paese in cui un terzo dell'elettorato ha la stessa manciata di neuroni di questa tizia che ho di fronte, il Bruco la guarda e le chiede "Ma quando arriva l'abutus?".

Ancora una volta hai ragione tu, figlio mio: perseguire il proprio obiettivo, fosse anche sapere a che ora arriva un cazzo di autobus, a prescindere dalle fregnacce che ti propinano gli altri, è l'unica cosa sensata da fare nella vita.

Oltre a cambiare il nome di questo blog in "A casa di Ronaldo", ovvio.



venerdì 22 febbraio 2013

Tutta colpa della pizza

Mi hanno chiamato alle 11.37.
Il Bruco è mogio, agonizza sul divano, ha qualche linea di febbre.

Mi hanno richiamato alle 13.
Il Bruco non ha mangiato niente, dice che non vede bene, "faccia un po' lei, signora".

Io, che ancora non ho imparato a diffidare quando mi chiamano "signora", sono uscita da lavoro subito per andarlo a prendere, sacrificando il mio prezioso pomeriggio del venerdì.

Non aveva l'occhio vitreo, e  neanche la frohte calda.
Mi è saltato in braccio e mi ha chiesto dove fosse la sua racchetta (stamattina è voluto andare a scuola con una racchetta da tennis).

L'ho portato a casa e mentre camminavamo mi ha stordita di parole.
Poi siamo arrivati,e mentre mi toglievo il cappotto ho sentito una musica tamarra provenire dalla pianola che abbiamo resuscitato ieri sera e che lui usa in versione "demo".

"Bruco! Cos'è questo casino?"
"Finalmente posso suonare la mia musica, mamma" dice tutto arzillo.
"Tu non stai male per niente, Bruco. Si può sapere perchè non hai mangiato, a scuola?
"C'era la pizza. La pizza della scuola non mi piace. Cosa posso mangiare adesso?"

"Adesso" sono le 15.22, e sono in casa con un non malato che mi tirerà scema fino alle 20.
Mi sono improvvisamente ricordata cosa vuol dire non lavorare e passare le giornate con un infante.
Aiuto.

Ps: se ci sono refusi qua e là, è perchè lui è qui attaccato come una cozza e schiaccia i tasti del pc mentre io tento di scrivere un SOS post con lo stesso spirito degli orchestrali del Titanic mente suonavano l'ultima polka.




venerdì 15 febbraio 2013

Tacchi o punte?

No, non sono diventata una fashion blogger (mi sarebbe più facile scrivere su Cavalli e segugi, temo), sto solo cercando di affrontare un dilemma casalingo che in questi ultimi giorni ci attanaglia: oltre al fatto di essere travestito da Batman 24 ore al giorno ormai da 7 giorni a questa parte, il Bruco sta vivendo una sorta di schizofrenia sportiva.

Lunedì, ore 8.45, a colazione.

"Mamma, devo chiederti una cosa"
"Va bene, Bruco, basta che non si tratti ancora del fratellino"
"No, mamma. Vorrei le scarpe con i tacchini perchè sono un calciatore"
"Con i tacchetti, si dice con i tacchetti. E poi cosa te ne fai? Mica ci puoi andare in giro con quelle"
"Sì, invece. Me le compri?"

Martedì, ore 17.31, a casa di Orlando.

"Mammaaaa! Guardaaaa!"
"Oddio, aiuto! Ma Bruco... ma... ma sei matto????"
"Hai visto? So fare la spaccata"
 Ha fatto un salto terminato in spaccata sul pavimento. Giuro. E non si è fatto male.
Amore ma chi te le insegna queste cose?
"A scuola nel salone. So anche camminare sui talloni"
A scuola nel salone, certo. La chiamano l'ora di psicomotricità, mi sembra.
No, dico: un salto con spaccata finale a pavimento.
Qui ci vogliono le punte di gesso, altro che i tacchini.

Mercoledì, ore 19.10, a casa di Orlando.

"Mamma, ma se io tengo l'Inter perchè il mio amico Victor tiene la Juve?"
"Bruco, perchè al mondo ci sono tante cose diverse e tanti gusti diversi"
(questo è lo strascico di una serata - di cui non ho ancora scritto perchè l'Interista non ha ancora superato lo shock - in cui il Bruco sosteneva di essere juventino, avverando per poche ore la profezia di sventura che agita le notti di suo padre: l'amichetto del cuore juventino, in grado potenzialmente di prevalere sui diritti del DNA nerazzurro)
"Ma io tengo l'Inter perchè l'Inter vince sempre, vero?"
"Bruco, secondo me è meglio che ne parli col papà, di queste cose, perchè la mamma è più competente su altri versanti. Vuoi che ti racconti la storia del Lago dei cigni?"
"No"
"Ok"

Giovedì, ore 17.40, tornando a casa da scuola.

"Mamma, guardami!"
E si pianta in mezzo alla strada, peraltro con le ali da pipistrello e la faccia truccata da "gatto verde" ("l'ha chiesto lui, signora, oggi per carnevale li abbiamo truccati a piacimento"), e inizia a fare dei movimenti assurdi con quelle sue gambette magroline e lunghissime.
"Hai visto?"
"Ho visto, Bruco, che gioco è?"
"E' il tip-tap, mamma!"
"Oddio, è vero! Sembravi quasi Fred Astaire!"
"Chi è Fresastèr?"
"Uno che ballava bene come te"

Poi ieri sera, a casa, mentre l'Interista era allo stadio e probabilmente cristonava in cuor suo per le sorti della sua squadra del cuore, io pensavo che secondo me il Bruco sarebbe proprio un bravo ballerino, perchè ha il collo del piede arrotondato e come dice la zia Franci quella è una dotazione di natura che ti indica la strada. Ho pensato che anche suo padre ha lo stesso collo del piede, eppure gli unici balletti che fa sono quelli davanti alla porta quando cerca di arraffare una palla sui campetti di calcio a 7. Ho pensato che mi vedo bene, a cinquant'anni, come abbonata alla Scala che va a vedere suo figlio in tutù. Ma soprattutto ho pensato che l'Interista, per quanto di ampie vedute, combatterebbe fino alla morte se volessi mai iscriverlo a danza, perchè fondamentalmente è un maschio italico e per lui il balletto (insieme al musical) è come la kriptonite per Superman.

Poi ho pensato che lui farà quello che gli piacerà fare, senza condizionamenti da parte di nessuno, e se ha ceduto il padre di Billy Elliot nel caso cederà anche lui.

Stamattina, ore 9.10, a colazione.

"Mamma"
"Dimmi, Bruco"
"Ma cos'è successo a Milito?"
"Oddio, anche tu a parlare di Milito?! Vai subito in camera da tuo padre e lasciami bere il mio tè in santa pace!"

Tacchi(ni) o punte, ci si divertirà parecchio.


venerdì 8 febbraio 2013

Ricchi o poveri (ma coi denti verdi)

E così è successo. Ora scrivo da una stanza al quinto piano di una delle vie più ricche di Milano: se mi affaccio vedo una della case di Silvio (sì, quel Silvio), la doppia fila di alberi che decorano palazzi onestamente splendidi, i tram arancioni che sferragliano avanti e indietro.
Ho cambiato tragitto, slittato gli orari, trovato un nuovo bar in cui prendere il caffè.
Quando c'è il sole, non nego che passeggiare verso il palazzo che ospita la redazione abbia un certo fascino: poi guardi meglio i negozi, le insegne sui portoni, le persone nei caffè.
Ok, fine della parte poetica.
Sciure impellicciate che Romero le scritturerebbe all'istante, avvocati avvolti in cappotti su misura che gli manca solo lo schiavetto appresso a spolverargli il collo, tate che accompagnano a scuola bambini probabilmente appena usciti da un catalogo di Armani: biondi e bellissimi, con la pelle candida e lo sguardo già (troppo) consapevole.
Li guardo ormai da cinque giorni, li incontro alla pasticceria qua sotto dove prendo il caffè la mattina: puzzano di soldi (o dovrei dire profumano?).
Il tizio che fa i caffè li chiama ciascuno col proprio "titolo": avvocato, dottore, signora.
A me la prima mattina ha detto: "Ciao, che ti faccio?".
"Un caffè" ho risposto io, pensando "ammazza, vabbè che sono tutta sgarrupata e un titolo, se mai ce l'ho, lo tengo nascosto, ma neanche "buongiorno"??!
Il fatto è che il tizio del bar, che sotto la camicia nasconde tatuaggi che neanche ne L'educazione siberiana, avrà capito al volo che sono una sua pari. Sì, una del popolo, insomma.
Sarà che la sera prima ero stata al cinema a vedere Les Miseràbles (gran bel film, astenersi non appassionati di musical), ma mi son detta: non c'è niente da fare, millenni di storia e di rivoluzioni, ma il mondo è ancora diviso in ricchi e poveri.
E sempre lo sarà, perchè siamo realisti, l'utopia comunista ha fallito miseramente e urge trovare altre soluzioni un po' più smart.
Quindi mi dico: ok i ricchi e i poveri, il problema è che questi qui sono spudoratamente ricchi. Fossero meno ricchi, sarebbero comunque abbastanza ricchi da mantenere lo status quo.
Tutto questo per dire che Dio è morto, Marx è morto, e anche io mi sento poco bene (cit.), in questi caffè che pullulano di ricconi.
No, scherzo, dai.
Però quando Jean Valjean sale sulle barricate coi giovani rivoluzionari, vabbè, che vi devo dire: provo sempre una certa commozione.

Mentre macinavo questi pensieri e meditavo di scrivere un post sgarrupato in proposito, il Bruco faceva colazione.

"Mamma, è vero che i bambini perdono i denti?"
"Sì" dico io riemergendo dal mio stream of consciousness "Quando avrai 6 anni ti cadranno i denti e ne arriveranno di nuovi"
"Beeeeeeeeello, mamma! Posso averli verdi?"
"Bruco, tu sì che sei un vero rivoluzionario"
"Cosa vuol dire rivozulionario?"
"Te lo spiegherò quando avrai i denti nuovi"
"Quando avrò i denti verdi, mamma"
"Certo, amore" 


giovedì 31 gennaio 2013

Il colloquio

E così domani è Febbraio, e il mese più deprimente dell'anno è andato.
Ciao ciao Gennaio, è stato bello, a parte che oggi è l'ultimo giorno delle mie vecchie abitudini e io ancora non mi ci sono abituata, grazie, sei stato clemente e non mi hai fatto ammalare (sarà che lavorare in una redazione a 11° ammazza qualunque germe?).

Ieri è stato il giorno del colloquio alla scuola materna del Bruco.
A 5 mesi dal suo ingresso nel nuovo mondo dei piccoli-grandi è emerso che:

1. Il Bruco è un bambino entusiasta e sereno (mio figlio? è sicura? ah. bene! no, perchè io e suo padre saremmo due pessimisti cinici cronici malmostosi...)

2. Il Bruco ogni tanto impazzisce e diventa sordo, gli parli e non ascolta, si fa proprio i fatti suoi (ah ecco. adesso sì che lo riconosco. no perchè la mela mica cade lontano dall'albero, dicono...)

3. Gioca tutto il giorno con gli animali e con le macchinine (ma contemporaneamente o in fasi separate? da solo o con gli altri bambini?)

4. E' un bambino che non rifiuta nessuno, ma non è un mostro di socialità (ah ecco, è proprio figlio mio, bbello de mamma)

5. Non gli frega niente di disegnare (parole testuali. oddio il figlio ingegnere non l'avevo considerato...), ma soprattutto se gli dici di riprodurre un gatto lui disegna una medusa (ok, no, dai un po' di creatività gliel'abbiamo passata)

6. Adora leggere (vabbè qui ho pianto) e impazzisce per la musica (e qui piangerà lo zio Davide)

Analisi finale (mia): da grande sarà un sognatore antropofobico ma utopista che scrive trattati teoretici sull'influenza della musica sugli animali in via di estinzione.
Vabbè dai. Hanno anche detto che gli piace muoversi, e che è molto preciso nei percorsi (questo o riporto solo per accontentare l'Interista).

Nota a parte

101. Rinvenire una cassa di rosso barricato del 2003 tra i rottami della tua ormai ex-redazione. Stapparne una bottiglia e brindare coi colleghi in un loft ormai totalmente smantellato l'ultimo giorno prima che arrivino le ruspe.
Andare al primo colloquio con le maestre della materna con l'alito che puzza di alcool.

Non era nella lista delle mie cento cose, ma lo inserisco adesso. Fatto.

lunedì 28 gennaio 2013

Leggiamoci sopra

Quando siamo costretti a un cambiamento, anche solo quando lo intravediamo come possibile, nella maggior parte dei casi tendiamo a rifiutarlo. Non so dire se sia la tanto decantata "forza dell'abitudine", ma sembra proprio che sia il nostro corpo stesso a rifiutarlo, e questo è in parte giustificato col fatto che quello che conosciamo, proprio perchè lo conosciamo, non può farci troppo male. Mentre del nuovo non si può dire lo stesso.

Tra pochi giorni avrò una nuova sede di lavoro, perderò le mie abitudini, le mie tempistiche e le mie colleghe. E questo mi spezza il cuore, ancor prima che avvenga. Sarà che ho il trauma della separazione, ma il risultato non cambia: ho il groppo in gola, e chissà quando passerà.

Poi ci sono tutti quei cambiamenti che non ci riguardano direttamente, ma in realtà ci riguardano assai: molti sono lenti e li recepiamo una volta che sono già avvenuti, altri sono veloci e più che altro ci travolgono. In entrambi i casi, funziona come sopra: tendiamo a respingerli.

Sto parlando dei libri digitali: com'è avvenuta la mia "conversione" (ma forse dovrei dire accettazione) l'ho già raccontato qui, ma ho tanti amici e conoscenti che ripudiano anche solo l'idea di abbandonare il caro vecchio libro di carta, quello che ha un peso, un formato, un odore, una fisica visibile, ecco.

Del resto l'oggetto "libro" è qualcosa che esiste da talmente tanto tempo che non sappiamo più neanche immaginarla, quell'era in cui il libro non esisteva se non nelle parole e nei canti tramandati degli uomini. Si capisce che il passaggio alla sua versione digitale non sia una cosa semplicissima da accettare.
E tanto meno lo è quando si parla di libri per bambini: io stessa al Bruco (che per la cronaca appartiene alla generazione dei "nativi digitali") non l'ho mai messo in mano, un libro digitale.
E' ancora per lo più territorio inesplorato, e comprende nella riflessione che lo riguarda anche tutto il discorso dell'accesso dei bambini a determinati dispositivi tecnologici.

Ora, intorno a tutti questi discorsi, affrontati come avevamo segnalato in occasione del convegno L'editoria per l'infanzia volta pagina organizzato lo scorso novembre nell'ambito di Bookcity Milano,  si è sviluppata una rete di soggetti che hanno creato un questionario allo scopo di raccogliere dati significativi e capire lo stato dell'arte sui libri digitali per bambini.

Io l'ho compilato stamattina: è proprio una cosa da cinque minuti, ed è rivolto ai genitori ma anche ai bibliotecari o ai librai, a chiunque possa dare un contributo in materia.

Lo trovate qui, mentre per ulteriori approfondimenti vi rimando al post dedicato di Happi Ideas, che è uno dei promotori dell'iniziativa insieme a Nati per Leggere e AIB (Associazione Italiana Biblioteche), tanto per dirne due ma sono molti di più.

Insomma, il cambiamento lo vivremo che lo vogliamo o no.
E mentre cerchiamo anche di capirlo, leggiamoci sopra.
 



mercoledì 23 gennaio 2013

Affetti personali

La premessa al post che segue è che di questi tempi la grande fortuna è quella di avere un lavoro, e che la sottoscritta ne è consapevole. Un lavoro che ti piace, poi, è quasi una rarità.

Però. (sì, c'è un però, si intuiva?)

Come molti della mia generazione, credo, ho cambiato circa una trentina di lavori in pochi anni.
Dall'Università alla mia attuale occupazione ho fatto parecchi lavori, anche molto diversi tra loro, anche molto fantasiosi. Del resto quando ti laurei in Lettere, vuoi scrivere e vivi in Italia, ti candidi automaticamente all'Annuario delle Occupazioni di Fantasia.
Ragion per cui sono passata dalla traduzione di incunaboli in latino al preparare buffet in un chiringuito insieme a una ragazza rumena che poteva lavorare solo nel seminterrato perchè a quell'epoca i rumeni non erano ancora comunitari, dall'assistere un regista teatrale full day al compilare fatture in una multinazionale giapponese in cui ho provato l'ebbrezza ansiogena del timbrare il cartellino, dallo scrivere una sceneggiatura per un mistico cattolico in Venezuela al reparto account di una odiosa agenzia di pubblicità (impiego che a tutt'oggi resta il peggiore della mia vita perchè raramente ho trovato tanti stronzi radunati in un edificio solo).
E ancora e ancora.
Tanto che per me cambiare lavoro (e quindi sede) era come respirare: neanche me ne accorgevo.
Ora lavoro da sei anni e mezzo nello stesso posto.
Roba di un'altra epoca, eh? Eppure è accaduto.

Un posto che dopo tutto questo tempo è praticamente una filiale di casa mia, tanto che nella mia cassettiera ci sono un paio di ciabatte, diverse stoviglie, le bustine del thè, lo spazzolino col dentifricio, libri, insomma quelli che comunemente vengono chiamati "effetti personali".

Poi venerdì entra il capo, e mi dice: "Inizia a fare pulizia perchè il 31...".
E fa quel gesto, con le mani. Il gesto che equivale alle parole "fuori dai coglioni".
Guardo il calendario. E' il 18... 31... 13 giorni? Cioè ho solo 13 giorni della mia vecchia comoda poltronissima vita? Ok. E dove andiamo?
"Ancora non si sa"
"Ok. Mi sembra un posto fantastico"

Il fatto è che io ho qualche difficoltà con i cambiamenti. Il fatto è che da tre giorni sto svuotando gli armadi, i faldoni, i cassetti. Trovando tracce di tutto quello che è accaduto, qua e là, in questi anni.
Piccole memorie sepolte dall'abitudine. E dalla polvere. Se vi concentrate un po' potete sentirmi starnutire.
Articoli che non ricordavo di aver scritto, libri che non ricordavo di aver letto, numeri di persone che mi affiorano nella mente tra nebbie di montaliana memoria, lasciti casuali della mia ex-collega (tra cui una scatoletta di filetti di sgombro che spero venga a riprendersi a breve).

Li chiamano effetti personali, io voglio chiamarli affetti personali.
E siccome, proprio come la mia nonna centocinquenne mancata un paio d'anni fa, non riesco a buttare via niente, ho preso una scatola e ce li ho messi dentro tutti per riportarli a casa.

E adesso sono lì, in attesa di destinazione.
Io, per parte mia, spero solo che la nuova sede sia vicina a un posto pulito e illuminato bene, che faccia delle brioches decenti e con qualcuno, dietro al bancone, che abbia qualche storia da raccontare.
Beh se poi è anche vicino alla metro gialla è anche meglio.
(no dai scherzo. l'importante sono le brioches)




martedì 15 gennaio 2013

Arriva un giorno

Arriva un giorno, nella vita di ogni madre, in cui tuo figlio va in bagno da solo, e torna trotterellando e dice tutto fiero "Mamma, sono andato in bagno da solo e non mi sono pulito!".

Arriva un giorno in cui quel figlio vuole sapere che lavoro fanno tutti quelli intorno a lui, in cui ti chiede cosa fa un falegname e tu glielo spieghi e lui ti dice che vuole fare il dottore, e tu gli rispondi che sarebbe meglio il falegname, perchè tutti i tuoi amici medici - che nel tuo immaginario deviato dopo 9 serie di Grey's Anatomy salvano vite - ti hanno assicurato che no, abitualmente non salvano vite e che no, non trombano tra colleghi in lavanderia camici a ogni pausa.

Arriva un giorno in cui quel figlio non vuole più che tu lo prenda in braccio per portarlo a nanna perchè "so andarci da solo, mamma".

Arriva un giorno in cui, dopo 3 anni e passa di strenua educazione pacifista e antimilitarista (e soli 3 mesi di scuola materna), tuo figlio va in giro con le manine posizionate a pistola fingendo di sparare a chiunque, e tu ti dici che alla fine viviamo nel mondo in cui viviamo e che nei film di Tarantino non fanno che sparare e a te piacciono, i film di Tarantino, e quindi prima o poi bisogna che gliela spieghi, questa cosa delle armi, perchè fingere che non esistano non funziona.

Arriva un giorno in cui tuo figlio vuole sapere perchè non può mangiare le caramelle, uno in cui ti chiede quali altre squadre esistano al mondo oltre all'Inter, uno in cui ti dice che vuole mettersi solo le calze che arrivano al ginocchio, uno in cui ti racconta che un suo compagno d'asilo gli ha lanciato un gioco in faccia sbregandogliela ma che gli ha chiesto scusa, e quindi non è successo niente.

Ma soprattutto, arriva un giorno in cui tuo figlio ti chiede a bruciapelo i nomi dei 7 nani: e tu balbetti, arranchi, abbozzi, dissimuli, ma alla fine, cazzo, non li sai.
E lui ha imparato a contare fino a 7.
Ti sforzi, riprovi, e te ne manca sempre uno.
E tu pensi, citando tra te e te Pretty Woman, "stronzi nanetti!".

Ps: Eolo. Era Eolo. Per colpa di Eolo il Bruco non crede più che io sia quella rassicurante figura materna che ha sempre una risposta a tutto. Grazie Eolo. Fanculo, Eolo.

(Si possono insultare i 7 nani su un mommyblog? E' troppo tardi? Ok.)

mercoledì 9 gennaio 2013

Creepy little things

 Creepy little thing number 1.

Martedì, ore 8.27, a casa di Orlando, a colazione.

"Mamma"
"Dimmi, Bruco"
"Vojo andare a scuola"
"Davvero???? Cioè... evviva, bene, sono contenta... oddio cosa si dice in questi casi???"

Niente, l'ha detto ed era vero. E' entrato tutto saltellante in classe verde e manco m'ha salutata.
Poi quando l'ho ritirato alle 17 mi ha detto "Mamma scusa ma devo fare un gioco veloce".
Siamo usciti dall'asilo alle 17.40.
Vabbè domani vado dal parrucchiere e lo ritiro alle 18.

Creepy little thing number 2.

Martedì, ore 18.00, sulla via di casa.

"Mamma, guarda!"
"Cosa, Bruco?"
"Non hanno ancora distrutto l'albero di Natale!" (quello in piazza della chiesa, ndr)
"Si dice disfatto, non distrutto. Si vede che non hanno avuto tempo..."
"Oh, mamma guarda!"
"Oddio, cosa?"
"E' arrivato il bambino Gesù nella caverna! Possiamo vederlo da vicino? Mamma vojo vedere il bambino Gesù nella caverna"

Mio figlio ha ripetuto le parole "bambino Gesù" per ben 3 volte nella stessa frase nonostante in casa non le abbia mai sentite nominare negli ultimi 3 anni. Ho ingoiato il chewingum.

"Va bene... se ci tieni"
"Eccolo... guarda, mamma, ha solo le mutande! Come Batman. Lui che poteri ha?"
"Ehm... cammina sull'acqua" (è stata la prima cosa che mi è venuta in mente, siate magnanimi, su)
"Come me quando vado nelle pozzanghere?"
"Una specie"

Creepy little thing number 3.

La zia Lidia, che lavora in un posto in cui fabbricano manichini, ci ha portato in dono un sacchetto di mani. Erano per lo zio Davide, per i suoi esperimenti cinematografici. Ma non so se le avrà mai.

"Beeeeelle, mamma, posso prenderle?"
"E poi cosa ci fai, Bruco?"
"Ci gioco"
"Ok"
"Posso portarle a nanna con me?"

Ieri sera il Bruco è andato a letto con 3 mani di un manichino. Oltre agli abituali compagni di nanna ovvero la pecora Pepi, l'orsetto Teddy, Batman e la moto Ducati da 30 cm. E ha dormito sereno fino a stamattina.

Benvenuta in famiglia, Mano.



lunedì 7 gennaio 2013

Di lunedì

La prima settimana dell'anno è quasi andata, e con lei anche il primo tragico lunedì, quello in cui devi puntare una vera sveglia, alzarti, constatare allo specchio i danni di due settimane di gozzovigli, preparare la colazione, e soprattutto convincere tuo figlio che la festa è finita e gli amici sono tutti all'asilo che lo aspettano.
Mettetevi nei panni di un treenne (non dovrebbe essere difficile visto che tutti lo siamo stati): per oltre due settimane ha vissuto senza orari, sommerso di regali, rimpinzato di dolci e in costante presenza di amici, amichetti e parentame vario.

Nel dettaglio, il Bruco ha vissuto per ben tre giorni in casa con la sua amichetta Viola sviluppando un'immediata dipendenza dalle donne, ha riabbracciato la fidanzatina del nido Vittoria, ha soggiornato a momenti nella camera dei suoi cuginetti preferiti (praticamente una ludoteca), ha giocato con l'amico milanista Leo (eddai, tutti abbiamo un amico milanista prima o poi - e il Bruco l'ha accolto al grido di "ancora quella maglietta????!!!), ha esultato stracciando lo zio Ale a uno strano gioco da lui chiamato "mazz'e' golf", ha provato la vertigine di lanciarsi ripetute volte a mo' di kamikaze su un futon col suo compagno di merende unenne Giorgino, ha chiesto e ottenuto dalla Befana tre cannoncini ripieni di crema assicurandosi che "a te mamma ha portato il carbone?".
"Avrebbe dovuto?"
"No perchè io ti adoro"
"Grazie, Bruco, sei molto caro"
"Prego"

E così stamattina alle ore 8.10 è scattata la domanda: "Mamma, dove andiamo?"
"..." (attimo di suspence)
"A scuola"

Ha protestato. Parecchio.
Ma la parola d'ordine in questi casi è "distrazione".
Bisogna distrarli, per sopravvivere. Colpirli nei loro punti deboli, ammansire la furia accendendo l'interesse.
"Guarda, Bruco, hai ragione, oggi è proprio una giornata difficile. Secondo me ci serve l'aiuto dei Supereroi"

Lui si è placato.
Poi siamo andati a scuola con la canotta di Spiderman, la maglietta di Capitan America, le mutande dell'Incredibile Hulk, il pupazzo di Batman e pure un generico robot anni '80 che come scorta un robot armato di razzi fotonici fa sempre comodo.

C'è chi beve quattro caffè e chi si circonda di Supereroi.
Qualunque sia la vostra droga, buon primo lunedì dell'anno.