giovedì 28 febbraio 2013

A casa di Ronaldo

Ve lo dico subito così da non rubarvi tempo prezioso: questo post non c'entra una ceppa con Ronaldo.
Ok, adesso che siete rimasti in pochi e interessati posso cominciare.

Alla fermata dell'autobus, mercoledì, ore 17.44.

"Mamma quando arriva l'abutus?"
"Autobus, si dice autobus. Ma perchè questa parola non riesci a impararla? Sai usare i congiuntivi e il passato remoto e non sai dire autobus, è folle!"
"... e quindi mamma? Quando arriva l'abutus?"
"Ok, hai vinto. Non lo so, tra poco, spero"

Tra poco non sarà abbastanza.
La vedo avvicinarsi. Quelle così le riconosci al volo: sono le VRMA, le Vecchie Rincoglionite Moleste Attaccabottone. Quelle che se sei da sola ti tirano pezze infinite sul Sindaco di turno e sul fatto che i mezzi non passano mai e "l'hanno votato e visto, che schifo?", incuranti del fatto che dicono questa cosa da 50 anni e nel frattempo si sono succedute decine di differenti amministrazioni.

Ma quando non sei da sola, quando hai un bambino, lì è peggio. Molto peggio.
Lui diventa il bersaglio delle loro molestie.

"Ciao, bella gioia! Quanti anni hai?" (e già una che ti dice "bella gioia" ti fa perdere interesse nei confronti dell'umanità).
Il Bruco, con una spocchia che solo un treenne, si limita ad alzare tre dita della manina (compreso un dito medio già dotato di eloquenza propria) senza aprire bocca.
"Ma che carino! Bravo, sa anche contare! Come ti chiami, bella gioia?"

Il Bruco mi guarda con aria interrogativa.

"Rispondi alla VRMA, amore"
"Mi chiamo Orlando"
"Rolando, ma che bel nome! Stai attento, Roldano, vieni più vicino perchè vedi che in strada passano le macchine e c'è pericolo. Come quel quel bambino di Brescia, l'ha sentito, Signora? Era per mano alla mamma, è scappato d'improvviso per guardare in strada e l'han tirato sotto ed è morto. Capito, Ronaldo? E' un attimo che muori"

E mentre io medito se sia più grave raccontare un episodio simile a un bambino di tre anni, non saper parlare in italiano decoroso, sbagliare tre volte il nome di mio figlio o vivere in un paese in cui un terzo dell'elettorato ha la stessa manciata di neuroni di questa tizia che ho di fronte, il Bruco la guarda e le chiede "Ma quando arriva l'abutus?".

Ancora una volta hai ragione tu, figlio mio: perseguire il proprio obiettivo, fosse anche sapere a che ora arriva un cazzo di autobus, a prescindere dalle fregnacce che ti propinano gli altri, è l'unica cosa sensata da fare nella vita.

Oltre a cambiare il nome di questo blog in "A casa di Ronaldo", ovvio.



venerdì 22 febbraio 2013

Tutta colpa della pizza

Mi hanno chiamato alle 11.37.
Il Bruco è mogio, agonizza sul divano, ha qualche linea di febbre.

Mi hanno richiamato alle 13.
Il Bruco non ha mangiato niente, dice che non vede bene, "faccia un po' lei, signora".

Io, che ancora non ho imparato a diffidare quando mi chiamano "signora", sono uscita da lavoro subito per andarlo a prendere, sacrificando il mio prezioso pomeriggio del venerdì.

Non aveva l'occhio vitreo, e  neanche la frohte calda.
Mi è saltato in braccio e mi ha chiesto dove fosse la sua racchetta (stamattina è voluto andare a scuola con una racchetta da tennis).

L'ho portato a casa e mentre camminavamo mi ha stordita di parole.
Poi siamo arrivati,e mentre mi toglievo il cappotto ho sentito una musica tamarra provenire dalla pianola che abbiamo resuscitato ieri sera e che lui usa in versione "demo".

"Bruco! Cos'è questo casino?"
"Finalmente posso suonare la mia musica, mamma" dice tutto arzillo.
"Tu non stai male per niente, Bruco. Si può sapere perchè non hai mangiato, a scuola?
"C'era la pizza. La pizza della scuola non mi piace. Cosa posso mangiare adesso?"

"Adesso" sono le 15.22, e sono in casa con un non malato che mi tirerà scema fino alle 20.
Mi sono improvvisamente ricordata cosa vuol dire non lavorare e passare le giornate con un infante.
Aiuto.

Ps: se ci sono refusi qua e là, è perchè lui è qui attaccato come una cozza e schiaccia i tasti del pc mentre io tento di scrivere un SOS post con lo stesso spirito degli orchestrali del Titanic mente suonavano l'ultima polka.




venerdì 15 febbraio 2013

Tacchi o punte?

No, non sono diventata una fashion blogger (mi sarebbe più facile scrivere su Cavalli e segugi, temo), sto solo cercando di affrontare un dilemma casalingo che in questi ultimi giorni ci attanaglia: oltre al fatto di essere travestito da Batman 24 ore al giorno ormai da 7 giorni a questa parte, il Bruco sta vivendo una sorta di schizofrenia sportiva.

Lunedì, ore 8.45, a colazione.

"Mamma, devo chiederti una cosa"
"Va bene, Bruco, basta che non si tratti ancora del fratellino"
"No, mamma. Vorrei le scarpe con i tacchini perchè sono un calciatore"
"Con i tacchetti, si dice con i tacchetti. E poi cosa te ne fai? Mica ci puoi andare in giro con quelle"
"Sì, invece. Me le compri?"

Martedì, ore 17.31, a casa di Orlando.

"Mammaaaa! Guardaaaa!"
"Oddio, aiuto! Ma Bruco... ma... ma sei matto????"
"Hai visto? So fare la spaccata"
 Ha fatto un salto terminato in spaccata sul pavimento. Giuro. E non si è fatto male.
Amore ma chi te le insegna queste cose?
"A scuola nel salone. So anche camminare sui talloni"
A scuola nel salone, certo. La chiamano l'ora di psicomotricità, mi sembra.
No, dico: un salto con spaccata finale a pavimento.
Qui ci vogliono le punte di gesso, altro che i tacchini.

Mercoledì, ore 19.10, a casa di Orlando.

"Mamma, ma se io tengo l'Inter perchè il mio amico Victor tiene la Juve?"
"Bruco, perchè al mondo ci sono tante cose diverse e tanti gusti diversi"
(questo è lo strascico di una serata - di cui non ho ancora scritto perchè l'Interista non ha ancora superato lo shock - in cui il Bruco sosteneva di essere juventino, avverando per poche ore la profezia di sventura che agita le notti di suo padre: l'amichetto del cuore juventino, in grado potenzialmente di prevalere sui diritti del DNA nerazzurro)
"Ma io tengo l'Inter perchè l'Inter vince sempre, vero?"
"Bruco, secondo me è meglio che ne parli col papà, di queste cose, perchè la mamma è più competente su altri versanti. Vuoi che ti racconti la storia del Lago dei cigni?"
"No"
"Ok"

Giovedì, ore 17.40, tornando a casa da scuola.

"Mamma, guardami!"
E si pianta in mezzo alla strada, peraltro con le ali da pipistrello e la faccia truccata da "gatto verde" ("l'ha chiesto lui, signora, oggi per carnevale li abbiamo truccati a piacimento"), e inizia a fare dei movimenti assurdi con quelle sue gambette magroline e lunghissime.
"Hai visto?"
"Ho visto, Bruco, che gioco è?"
"E' il tip-tap, mamma!"
"Oddio, è vero! Sembravi quasi Fred Astaire!"
"Chi è Fresastèr?"
"Uno che ballava bene come te"

Poi ieri sera, a casa, mentre l'Interista era allo stadio e probabilmente cristonava in cuor suo per le sorti della sua squadra del cuore, io pensavo che secondo me il Bruco sarebbe proprio un bravo ballerino, perchè ha il collo del piede arrotondato e come dice la zia Franci quella è una dotazione di natura che ti indica la strada. Ho pensato che anche suo padre ha lo stesso collo del piede, eppure gli unici balletti che fa sono quelli davanti alla porta quando cerca di arraffare una palla sui campetti di calcio a 7. Ho pensato che mi vedo bene, a cinquant'anni, come abbonata alla Scala che va a vedere suo figlio in tutù. Ma soprattutto ho pensato che l'Interista, per quanto di ampie vedute, combatterebbe fino alla morte se volessi mai iscriverlo a danza, perchè fondamentalmente è un maschio italico e per lui il balletto (insieme al musical) è come la kriptonite per Superman.

Poi ho pensato che lui farà quello che gli piacerà fare, senza condizionamenti da parte di nessuno, e se ha ceduto il padre di Billy Elliot nel caso cederà anche lui.

Stamattina, ore 9.10, a colazione.

"Mamma"
"Dimmi, Bruco"
"Ma cos'è successo a Milito?"
"Oddio, anche tu a parlare di Milito?! Vai subito in camera da tuo padre e lasciami bere il mio tè in santa pace!"

Tacchi(ni) o punte, ci si divertirà parecchio.


venerdì 8 febbraio 2013

Ricchi o poveri (ma coi denti verdi)

E così è successo. Ora scrivo da una stanza al quinto piano di una delle vie più ricche di Milano: se mi affaccio vedo una della case di Silvio (sì, quel Silvio), la doppia fila di alberi che decorano palazzi onestamente splendidi, i tram arancioni che sferragliano avanti e indietro.
Ho cambiato tragitto, slittato gli orari, trovato un nuovo bar in cui prendere il caffè.
Quando c'è il sole, non nego che passeggiare verso il palazzo che ospita la redazione abbia un certo fascino: poi guardi meglio i negozi, le insegne sui portoni, le persone nei caffè.
Ok, fine della parte poetica.
Sciure impellicciate che Romero le scritturerebbe all'istante, avvocati avvolti in cappotti su misura che gli manca solo lo schiavetto appresso a spolverargli il collo, tate che accompagnano a scuola bambini probabilmente appena usciti da un catalogo di Armani: biondi e bellissimi, con la pelle candida e lo sguardo già (troppo) consapevole.
Li guardo ormai da cinque giorni, li incontro alla pasticceria qua sotto dove prendo il caffè la mattina: puzzano di soldi (o dovrei dire profumano?).
Il tizio che fa i caffè li chiama ciascuno col proprio "titolo": avvocato, dottore, signora.
A me la prima mattina ha detto: "Ciao, che ti faccio?".
"Un caffè" ho risposto io, pensando "ammazza, vabbè che sono tutta sgarrupata e un titolo, se mai ce l'ho, lo tengo nascosto, ma neanche "buongiorno"??!
Il fatto è che il tizio del bar, che sotto la camicia nasconde tatuaggi che neanche ne L'educazione siberiana, avrà capito al volo che sono una sua pari. Sì, una del popolo, insomma.
Sarà che la sera prima ero stata al cinema a vedere Les Miseràbles (gran bel film, astenersi non appassionati di musical), ma mi son detta: non c'è niente da fare, millenni di storia e di rivoluzioni, ma il mondo è ancora diviso in ricchi e poveri.
E sempre lo sarà, perchè siamo realisti, l'utopia comunista ha fallito miseramente e urge trovare altre soluzioni un po' più smart.
Quindi mi dico: ok i ricchi e i poveri, il problema è che questi qui sono spudoratamente ricchi. Fossero meno ricchi, sarebbero comunque abbastanza ricchi da mantenere lo status quo.
Tutto questo per dire che Dio è morto, Marx è morto, e anche io mi sento poco bene (cit.), in questi caffè che pullulano di ricconi.
No, scherzo, dai.
Però quando Jean Valjean sale sulle barricate coi giovani rivoluzionari, vabbè, che vi devo dire: provo sempre una certa commozione.

Mentre macinavo questi pensieri e meditavo di scrivere un post sgarrupato in proposito, il Bruco faceva colazione.

"Mamma, è vero che i bambini perdono i denti?"
"Sì" dico io riemergendo dal mio stream of consciousness "Quando avrai 6 anni ti cadranno i denti e ne arriveranno di nuovi"
"Beeeeeeeeello, mamma! Posso averli verdi?"
"Bruco, tu sì che sei un vero rivoluzionario"
"Cosa vuol dire rivozulionario?"
"Te lo spiegherò quando avrai i denti nuovi"
"Quando avrò i denti verdi, mamma"
"Certo, amore"