venerdì 19 dicembre 2014

Questione di carattere

Quando aspetti un bambino, è inevitabile avere delle immaginazioni a riguardo. In qualche modo te lo figuri nella mente, io ad esempio ero convinta che Orlando sarebbe stato moro, ricciolo e occhialuto, con l'aria un po' sfigata. Invece è un bellone biondo occhi azzurri con dei capelli che più dritti non si può.
Poi quel bambino cresce, e tu inizi a cercare di scorgere in lui delle inclinazioni, delle potenzialità, a cercare di inquadrarne il carattere, e anche lì inevitabilmente hai delle immaginazioni in testa, chiamiamole così. Ti dici che lui sarà come vuole essere, e farà quello che vuole fare, perchè anche tu a suo tempo sei passato sotto il peso delle immaginazioni genitoriali (mia madre mi voleva medico, io ho studiato Lettere). Però un po' ti piacerebbe che diventasse, chessò, un pianista. O un calciatore. No ma tanto per dirne due. Ma sono pensieri fugaci e en passant, perchè la verità, nella gran parte dei casi, è che vuoi solo che sia felice. Sì, insomma, che non si droghi, che non vada a rubare, che abbia degli amici e che si goda l'esistenza.
Poi il carattere di quel bambino inizia a manifestarsi in maniera sempre più evidente, e lì inizi a chiederti se e quanto tu abbia influito, in che modo "accompagnarlo", senza forzature ma senza abdicare alle tue specifiche di genitore.

(e qui aprirei una grande parentesi, perchè lo so che molti di voi stanno pensando "trent'anni fa la gggente non si faceva queste menate, la pedagogia moderna ha rovinato le famiglie, quando il problema era avere o non avere il piatto in tavola non si stava a fare filosofia sulle questioni dei bambini, eccetera: ma io qui vi dico "signori, i tempi sono cambiati, nel bene o nel male. Non rompete le balle e continuate a leggere, se vi va. Oppure andate sereni e con la mia benedizione alla recita di Natale di vostro figlio)

Insomma, poi un giorno succede che tuo figlio scoppi a piangere disperato perchè "io odio la musica, mamma. Non voglio andare alla recita di Natale, non voglio cantare le canzoni d'amore, non mi ricordo le parole", insomma un fiume in piena di disperazione che diventa poi mutismo e rassegnazione il giorno della suddetta recita mentre tutti saltellano allegri al ritmo di Jingle bells.
"Oggi è il giorno più brutto della mia vita", detto da un cinquenne, è una cosa che ti strazia l'anima.
Pianista, dicevamo? Naaaaaaaa... E poi era solo un esempio.

Lo stesso figlio poi, magari, dopo essersi fatto iscrivere a scuola calcio con sbattimenti annessi e connessi di una povera madre che fino a quel momento ignorava l'esistenza delle magliette termiche e dei calzettoni chilometrici, del fango tra i tacchetti e della puzza orrenda di certi spogliatoi, dicevo, quel figlio si draia in campo ogni due per tre nel mezzo degli allenamenti mandando in crisi il suo calciofilo padre che non pensava certo di avere un campione in casa ma uno a cui piaceva giocare a calcio magari sì. Il fatto poi che la prima partita della bruco-squadra finisca 10 a 0 e quel tuo figlio sia in porta non aiuta.

Ebbene.
L'Interista è propenso a credere che il ragazzino sia malato di perfezionismo, e pertanto rifiuti di fare qualunque cosa non gli riesca a perfezione, cioè tutto, essendo che lui ha 5 anni e standard evidentemente troppo elevati. A ciò vanno aggiunte una buona dose di pigrizia e di nerditudine, che non aiutano, no.
La mamma è propensa a credere nella teoria della ghianda di Hillmann, illustrata in questo blog in tempi non sospetti, e ciononostante è un po' disorientata dal fatto che il ragazzino sia uno di quegli esemplari tormentati che affollano i tempi moderni (Dio ti prego, fa' che non diventi un'emo, o come si chiameranno tra dieci anni).

Ieri pomeriggio, ore 18.05, a casa di Orlando.

"Mamma, io da grande voglio fare il camionista, oppure il cuoco e avere un ristorante"
"Ecco, il cuoco mi sembra una bella idea..."
"E tu cosa vuoi fare da grande?"
"Io sono già grande, amore"
"E cosa fai?"
"Scrivo su un giornale"
"No ma io dico un lavoro vero mamma, come il cuoco o il camionista"
"..."
"Forse hai ragione, Bruco. Magari cambio lavoro. Cosa potrei fare secondo te?"
"Il cavaliere di spade. Di spade laser, però, come quella di Yoda"

Perciò niente, se nei prossimi mesi dovessi chiudere il blog sappiate che sarò in giro per qualche strada della suburbia milanese con una spada fluorescente. Alla faccia delle immaginazioni genitoriali, e anche della teoria della ghianda.






mercoledì 3 dicembre 2014

11 cose che ho imparato in 11 giorni di ospedale

La vita, si sa, è così: quando pensi di essere al sicuro, quando tutto va bene e quasi ti assopisci col sottofondo del treno sui binari, ecco che ti strattona per ricordarti che non esistono "zone di conforto".
E quindi un giorno di novembre finisci in pronto soccorso e ti ricoverano, tu e il tuo figlio novemesenne, preda di febbre alta, vomito e diarrea incoercibili e tutti iniziano a fare le ipotesi più assurde mentre tu sei lì e ti cachi addosso dalla paura.
Ecco quindi una lista semiseria di cose che ho imparato durante i giorni del ricovero.

1. La medicina non solo non è una scienza esatta, ma è più che altro supportata da attività quali la divinazione, la stregoneria, l'azzardo e la speculazione filosofica.

2. Gli anestesisti si credono divinità in terra (e probabilmente in certe circostanze lo sono), non hanno alcuna paura (ne ho visti due infilare aghi nel collo di mio figlio e ravanare cercando la giugulare) e soprattutto fanno paura. Archetipicamente, morfologicamente, esteticamente paura.

3. Una brava infermiera fa la differenza.
(Nel nostro cuore ne sono rimaste tre: Regina, una cinquantenne che fisicamente pareva uscita da un film di Ozpetek ma con la personalità di un personaggio dei Legnanesi; Filomena, detta Filo, una siciliana che ha azzeccato la diagnosi dopo un'ora che stavamo dentro, e i medici ci hanno messo 7 giorni; e Natalya, una bionda di un qualche paese dell'Est Europa che come usava la siringa lei nessuna mai, e secondo me la scritturerebbe Tarantino)

4. In ogni ospedale, in ogni reparto c'è un vecchio medico in pensione che viene convocato all'occorrenza quando il caso è incerto e complicato, una sorta di Dr. House de' noantri, che nel nostro caso era juventino e comunque è stato utile come una sciarpa alle Bahamas.

5. Bisognerebbe riflettere seriamente, molto seriamente, sulla questione 'cibo ospedaliero'. Qualcuno mi deve spiegare che cazzo di problema hanno i finocchi che escono dalle cucine dell'ospedale, e perchè i fagiolini sanno di cavolfiore, e perchè le verdure passate che avrebbe dovuto mangiare Enea avevano il colore, la consistenza e l'odore del vomito. Non c'è una ragione, non deve esserci.

6. Due settimane in ospedale funzionano meglio della Dukan (vedi sopra).

7. Quando pensi "che sfiga questa cosa che mi è capitata eccetera" è il momento che ti spostano dalla singola alla doppia e scopri che il tuo compagno di stanza, da solo, basta a giustificare l'esistenza nella storia di un personaggio come Erode.

8. Quando sei tumulato in una stanza di ospedale, capisci quale sia forse, anche, il senso della tecnologia: tra uozzap, feisbuk, tuitter e stronzate varie, il tempo passa più veloce, riesci anche a sentirti meno solo. Può anche non piacere ma è così.

9. Quando sei tumulato in una stanza di ospedale, finisci in un battibaleno quel libro da 900 pagine su cui ti eri incartato, e scopri che la bellezza esiste sempre, anche se tutto intorno ti dice il contrario. E ci aggiungi pure un fumetto, o una graphic novel che dir si voglia, e scopri che ci sono cose che fanno spaccare dal ridere anche quando tutto il resto fa piangere.

10. La mamma è sempre la mamma, e niente è come la mamma, in qualunque modo essa sia fatta. E' banale, ragazzi, ma non c'è un cazzo da fare. E' drammaticamente vero, nel bene e nel male.

11. Come recita un proverbio africano, "per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio". Anche virtuale, aggiungo io. (E ancora grazie a tutti).

lunedì 20 ottobre 2014

Il mio regno per una pernacchia

Il piccolo Enea sta per compiere 8 mesi.
Quando è nato pesava quasi 4 chili e mezzo ed era lungo 58 cm. Vestiva la taglia 3 mesi e al nido dell'ospedale lo chiamavano Enea il Gigante.
A 3 mesi e mezzo ha iniziato a stare seduto.
A 5 mesi e mezzo gattonava.
Ora che ne ha quasi 8 si alza in piedi e si stacca. Pesa quasi 11 chili e veste la taglia 18 mesi.
Quando lo prendono in braccio, per manifestare il suo affetto, tira sonori schiaffoni con le sue "manine", che a me ricordano tanto il verdoniano "questa mano pò esse fèro o pò esse piuma...": per adesso della piuma non si è vista traccia.
Il pediatra lo chiama Ercolino.

Per contro, il piccolo Enea non spiccica parola.
Anzi, pernacchia. E il nostro pediatra è ossessionato dalla pernacchia, che pare sia un passaggio fondamentale del pre-linguaggio.
Anche se Wikipedia, a onor del vero, definisce la pernacchia come un "suono derisorio, ironico e in genere considerato volgare".
E insomma, ogni mese, alla visita di controllo, arriva puntuale la temuta domanda.

Quarto mese
Dottor Paolo: "Fa le pernacchie?"
"No"

Quinto mese
Dottor Paolo: "Le pernacchie ha iniziato a farle?"
"No, non ancora"

Sesto mese
Dottor Paolo: "Le pernacchie le fa, vero?"
"Veramente no..."

Settimo mese
Dottor Paolo: "Le pernacchie?"
"Ehm... no"
Dottor Paolo: "Non ne ha mai fatta neanche una?
"No"

E così è un mese che vado in giro spernacchiando a chiunque, stile "lavoratoriiiiiii? prrrrrrrr!!!!", nel tentativo di insegnare al caprone a fare le pernacchie ma lui zero.
E niente, oggi alle 16.30 abbiamo la visita di controllo, e io lo so che il simpatico pediatra di nuovo mi chiederà della pernacchia.
Eddai Enea, alzati in piedi in tutta la tua gigantezza e famojela 'sta pernacchia in face al Dottor Paolo!
Anche perchè ti avviso, "piccolo" Enea: stavolta se non gliela fai tu, gliela faccio io.



martedì 7 ottobre 2014

Cinque

Sei quello che bisogna svegliarlo con le cannonate ma appena sente la coda della gatta che gli tocca i piedi salta sul letto col sorriso a 40 denti.
Sei quello che trovo soldati dell'impero ovunque, sul bordo del lavandino quando mi trascino  a lavarmi i denti, sotto il culo quando mi siedo sul divano, dentro una scarpa al mattino e pure nel congelatore, probabilmente a fare la guardia agli sbobboni di verdura che surgelo per tuo fratello.
Sei quello che per lui sono tutti zii e zie, quello che chiama la gente per nome perchè si ricorda il nome di tutti, quello che parla anche coi sassi ma che quando decide di starsene per conto suo non c'è nulla che possa distrarlo.
Sei quello con la testa per aria, che cammina e inciampa e non vede i pali perchè il suo pensiero è ad Asgard, o nel mezzo di un combattimento tra pirati, o chissà in che galassia.
Sei quello che a scuola calcio a un certo punto si sdraia sul campo e resta lì mentre tutti continuano a giocare, perchè in fondo non te ne frega niente degli altri, e manca poco a tuo padre gli vengono tutti i capelli bianchi, chè per lui il calcio è disciplina, impegno e anche se non lo ammetterà mai, la sua vita.
Sei quello che nonostante centinaia di tentativi continua a dirmi che Mozart è noioso ma se in radio passano Katy Perry, lèvati proprio, perchè un pizzico di tamarraggine ce l'hai ahimè nel DNA (e qui i capelli bianchi vengono a me).
Sei anche quello che si è fatto leggere l'Iliade e l'Odissea tipo 29 volte, quello che tifa per il Ciclope e quello che Perseo è un figo perchè con gli occhi impietrisce le persone (!!!???!!!).
Sei quello che ha l'ansia da prestazione quando deve fare un disegno, quello che - dice la maestra - rispetta le regole ma ne soffre infinitamente, quello che - lei non lo sa - a volte mi risponde male e si arrabbia e mi fa le scene, perchè tra figli e genitori si fa così.
Sei quello che gioca a cucù con un fratello dispotico e ingombrante e lo fa ridere come nessuno, quello che lo rimette seduto dopo che si è spiaggiato in mezzo al salotto e urla come una capra himalayana.
E poi sei bello, di una bellezza spudorata e ignara che vedono tutti, non solo io che sono tua madre.
Sei, ad oggi, il mio maggior successo.
Tanti auguri, ragazzino, è bello viverti accanto.



venerdì 3 ottobre 2014

Una manciata di cose

E così è ottobre. Il tempo è un bastardo, come recita il titolo di un bel libro letto, appunto, un po' di tempo fa.
Qualche mese. Un anno. Un po' di più. Il tempo è proprio una di quelle cose che mi mandano ai matti, è una non-materia con cui difficilmente riesco a scendere a patti.
Il tempo della mia seconda maternità è scaduto: qualche giorno fa ho ricominciato a lavorare e, no, non ero pronta.
Ma del resto io quando si tratta di separazioni non lo sono mai.

Essendo passata qualche settimana dall'ultima volta che ho scritto qui, essendo che amo la sintesi e gli elenchi, ecco una lista di cose capitate negli ultimi tre mesi, in ordine più o meno cronologico.

*L'Interista ha cambiato lavoro.

*Enea ha iniziato a gattonare.

*L'Interista è stato via per un mese, di cui metà in America, e a giorni partirà per la Cina.

*Ho installato skype sul telefono e attualmente siamo "in una relazione complicata" (io e skype, s'intende)

*Il Bruco ha imparato a fare lo spritz e a spinare la birra.

*Ho avuto la polmonite e ho preso un sacco di medicine.

*Enea ha iniziato l'asilo nido e passa le giornate seguendo gattoni un bambino peruviano di nome Logan che è il doppio di lui, che già è discretamente obeso.

*Ho avuto la mastite e ho preso un altro sacco di medicine.

*Il Bruco ha iniziato la scuola calcio ed è convinto di essere Cristiano Ronaldo (salvo sdraiarsi in mezzo al campo dopo ogni tiro perchè "mamma ho sete e mi devo sdraiare", dice).

*L'Interista si è rotto un ginocchio (forse anche lui è convinto di essere Cristiano Ronaldo), zoppica orrendamente e tutti in metropolitana gli cedono il posto.

*Ho ricominciato a lavorare (ma continuo a non dormire la notte perchè il simpatico bambinello si sveglia ogni 45 minuti urlando come una scimmia del Madagascar, il che complica parecchio la routine quotidiana).

*Sono uscita dall'asilo e ho camminato fino a casa con indosso i calzari di plastica azzurra che ti fanno indossare all'ingresso, tutti mi guardavano strano ma nessuno mi ha detto niente.

Non so se supererò l'inverno, anzi non so se supererò l'autunno.
Per fortuna il Bruco parlante continua a essere il  mio spacciatore preferito di risate.

Ieri, usciti dall'asilo, ore 17.20.

Attraversiamo la piazza di fronte alla chiesa, la porta è aperta e si sente il suono di un organo.

"Mami, posso entrare in chiesa?"
"Se vuoi, certo"

Il Bruco entra in chiesa, si siede su una sedia in ultima fila, guarda e ascolta per cinque minuti (c'è la messa). Poi si alza.

"Adesso possiamo andare"
"Ok"
"Mami, tu lo sai che Gesù esiste ancora?"
"No, amore, non lo sapevo"
"Esiste, e abita a Bruzzano"
"Ah. Chi te l'ha detto?"
"La mia amica Viola"

Gesù esisterà ancora, i bambini di una volta no.

sabato 14 giugno 2014

Happy birthday to me

Enea detto Neni ha tre mesi e mezzo. Da quando è nato sono successe molte cose.

Ho tirato fuori la tetta ovunque, a Palazzo Marino per esempio, cinque minuti prima di intervenire a un congresso (uno dei tre a cui l'infante ha partecipato in neanche due mesi di vita), ma anche a pochi metri da un ministro che discuteva sul futuro dell'agricoltura in Italia.
Siamo andati a un matrimonio su un'isola, un matrimonio dove il Bruco e l'Interista sono rimasti in spiaggia a ballare fino a notte mentre io e il piccolo insonne guardavamo le stelle da una veranda.

L'Interista è andato a tagliarsi i capelli da un parrucchiere arabo che non parla italiano, e che ha interpretato il suo "come Cristiano Ronaldo" in maniera un po' estrema, per così dire. La sera stessa ha giocato per la prima volta a San Siro, che non è mai troppo tardi per sognare altre vite.

Il Bruco ha cominciato ad adottare atteggiamenti tipici della ribellione adolescenziale, accompagnati a volte da un linguaggio preoccupante ("Mamma" ha chiesto avvicinandosi mentre allattavo suo fratello "ma Neni il latte tuo se lo beve alla penna?").

Nella nostra vita è entrato Ciro, un collaboratore domestico che sa fare praticamente ogni cosa ma che soprattutto è un collezionista di madonne (nel senso di statue e icone) tatuatissimo e gay, con un accento napoletano che fa invidia a Genny Savastano. Viene da noi una sola volta a settimana ma io lo vorrei come ragazza alla pari.

L'interista è impazzito per l'orticultura, ha messo sul balcone 16 diverse specie di peperoncini e ogni volta che può scappa all'orto, un orto condiviso con altri amici (no, non pensionati): ho scartato l'ipotesi dell'amante quando ha iniziato a portare a casa valanghe di insalata.

La quotidianità è diventata densa e a volte vischiosa, un tutto in cui le notti e i giorni raramente hanno confini, in cui le parole che leggo si mescolano con i pranzi smozzicati, le lamentele del Bruco per le caramelle che non mangia e i videogiochi a cui non gioca, la costante presenza di qualcuno in casa, i pannolini che sbucano da ogni dove, gli impegni che si moltiplicano, le serate a cui sto rinunciando, le cose che imparo, le amiche che mi fanno ridere.
Una fatica immonda, ma tanta vita, non c'è che dire.

Oggi Neni ha tre mesi e mezzo, è un gigante di quasi otto chili, piuttosto allegrone e decisamente insonne.
Il Bruco è un bambino meraviglioso e sensibile, ufficialmente nerd, sempre più bello, che si lamenta che a scuola gli fanno disegnare sempre  "le cose dell'Africa".
L'Interista e la sua cresta "à la Ronaldo" sono in attesa del prossimo raccolto.

Io invece oggi compio 36 anni, peso 10 chili in più di quanti ne pesavo undici anni fa, ho qualche capello bianco e un po' di rughette sparse in volto, ma quando giro senza pargoli posso ancora sembrare una studentessa fuori corso. È il vantaggio dell'essere spettinata, credo, e dell'avere in testa una lista di cose da fare che solo un ventenne potrebbe permettersi. Quindi tanti auguri (a me), torno presto.


lunedì 17 marzo 2014

L'impresa

Ce l'abbiamo fatta. Siamo riusciti nell'ardua e rara impresa di fare un secondo figlio più rompiballe del primo.
Alla faccia delle leggi non scritte sulla compensazione per cui "se il primo ti ha fatto tribolare, il secondo sarà bravissimo". Ma noi no, i bambini che mangiano e dormono li schifiamo proprio perchè siamo gente che gli piacciono le cose hard, quelle un po' sregolate e sgrammaticate. Ci piace appartenere al clichè del genitore disperato che alle 4 di notte vaga per casa cristonando in sette lingue mentre tenta invano di addormentare uno dei figli del demonio.

Lui, il neonato che potrebbe prendere il posto del Rosemay's baby di polanskiana memoria, si chiama Enea ed è nato 19 giorni fa, in ritardo di due settimane sul termine previsto, 4 chili 360 grammi per 57 centimetri: "il gigante", lo chiamavano al nido del Niguarda, dove hanno dovuto prestarci una tutina taglia 3 mesi.

Il "bambinello" attualmente vive attaccato alla tetta, cui come unica alternativa contempla un pianto stizzoso di parecchi decibel, ha cicli di sonno che non superano i 40 minuti e odia essere lavato e cambiato.
Il neo fratello maggiore lo guarda attonito, e nonostante la gelosia riesce ad avere gesti e parole di dolcezza estrema nei confronti dell'attualmente inutilizzabile fratellino, confermandosi ancora una volta "best baby ever".
L'Interista ostenta calma e padronanza della situazione, salvo ripetuti attacchi di dislessia durante telecronache e dirette tv, che possiamo però tranquillamente imputare a una squadra che ultimamente lascia senza parole.
La madre, che voleva una seconda occasione quanto al parto e all'allattamento, e in effetti li ha avuti, sconta però quella volta in cui ha detto: "se per avere un bambino fantastico come Orlando devo non dormire per due anni va bene così". Sapete come si dice, attento a ciò che desideri...

A parte tutto, stiamo bene, io ho due fantastiche occhiaie da panda birmano e l'Interista ha iniziato a usare l'antirughe, il Bruco somatizza con malattie di varia natura e la primavera avanza, sempre troppo lenta.
In attesa di riprendere una vita pseudonormale, grazie a chi ci ha chiamato e messaggiato con parole di  conforto, a chi è venuto a giocare con Orlando per fargli dimenticare un po' la gelosia, a chi mi ha portato aggeggi improbabili come i paracapezzoli d'argento, cibo d'asporto, manuali su come non soccombere ai piccoli mostri, grazie alle nonne che tamponano la fatica dei maledetti primi 40 giorni e alle amiche che quotidianamente si sorbiscono le mie lagnanze sulla mancanza di sonno e sorridono quando lancio anatemi contro il magico mondo della maternità.

Me ne torno nella mia temporanea bolla fatta di paladini, supereroi, fondatori di città, campi verdi, pannolini, macchinine, errori arbitrali, zombie e maledizioni notturne. 

Come sempre nella vita, l'importante è resistere, resistere, resistere.




martedì 11 febbraio 2014

Nella sua cameretta

Quelli che "si è abbassata".
Quelli che "è ancora alta".
Quelli che "è una bella femminuccia, si vede dalla forma" (no, signora, siamo nel 2014 e da mesi sappiamo che è un maschio perchè si vede dall'esame del DNA - presente il DNA? -, e in ogni caso "femminuccia" sarà lei).

Gli ultimi giorni sono terribili, perchè non passa un giro completo di lancetta senza che qualcuno ti messaggi, ti telefoni, ti uozzappi, insomma trovi il suo mezzo prediletto per chiederti: "allora? ancora niente?".

Lo so, lo so, le persone sono gentili e disinteressate, molte ti fanno domande perchè ti vogliono bene davvero e io sono un'acidona intollerante. Però, ragazzi. Sul serio. "Allora" che? Ma che domanda è? Se non hai ancora ricevuto il fatidico messaggino vuol dire che no, il bambinello non è ancora nato.
Soprattutto vuol dire che la persona a cui stai scrivendo, raggiunta ormai la mole della balena, l'ansia del topo davanti al serpente che lo inghiottirà, l'impazienza del gatto davanti a un gomitolo e la dedizione della vespa vasaio nella costruzione del nido, quella persona forse non ha i nervi saldissimi, e non ha alcuna voglia di rispondere "allora niente, aspettiamo".
Ancor più se quella persona vive l'espressione "gravidanza a termine" come uno dei peggiori spauracchi di sempre.

Comunque il primo premio per l'insostenibile stupidità dell'essere umano l'ha vinta una mamma dell'asilo che l'altro giorno mi ha detto: "Ciao! Ma non hai ancora partorito?".
No, guarda, in realtà ho partorito ma vado in giro con una protesi perchè mi sentivo troppo magra.

Che poi ti chiedessero "come stai". Dopo l' "allora?" e l' "ancora niente?", la domanda più gettonata è "avete deciso il nome?". No, non l'abbiamo deciso, vogliamo guardarlo in faccia e vedere com'è.
"Vabbè ma avrete una lista di nomi". E se invece non ce l'avessimo? Sarebbe molto grave?

Perchè per la gente è così importante sapere se c'è un nuovo essere umano al mondo? Sapere che sesso ha e che nome ha? Qualunque sia il vostro movente (ovviamente non devo specificarlo, vero, che questo post non è riferito agli amici che si suppone normale s'interessino?), la risposta è: allora niente, non ho ancora partorito, il bambino è un maschio e non ha ancora un nome. Sì, cammino chilometri, sì faccio le scale, sì prendo granuli omeopatici e tinture fitoterapiche, no non faccio la ginnastica perineale perchè la prima volta non è servito a niente e non so neanche più se esiste davvero, questo perineo di cui tutte le ostetriche amano parlare.
Sì, lo so, dicono che anche il sesso coadiuvi. Tranquilli che qui non ci manca niente, giusto l'olio di ricino e poi le abbiamo provate tutte.

"Bruco, ancora qualche giorno e poi conoscerai il tuo fratellino, ok?"
"Sì, mamma. Quando arriva io sono qui, nella mia cameretta"

Quanto sei zen, figlio mio.
Lo dico sempre io, che da te ho solo da imparare.

(Capito, bambino maschio senza nome non ancora nato? Quando ti decidi noi siamo qui, nelle nostre camerette. O poco lontano...)


martedì 21 gennaio 2014

La seconda volta

Non che la prima volta sia tutta poesia.
La prima volta ero ingrassata 13 chili, avevo dolori intercostali ovunque, la sciatica che mi dava un'aura alla Kevin Spacey nei Soliti Sospetti e non dormivo mai perchè era estate e Milano era come i tropici senza il mare la spiaggia e le palme.
Però, c'era un però. Era la prima volta, e le prime volte sono belle anche quando sono brutte, perchè ti danno la dimensione dell'ignoto, del nuovo, della curiosità e dell'esperienza.
La prima volta leggi libri sull'argomento, compri quelle tutine vezzose, monti il lettino con una sorta di ritualità, scegli il nome come se fosse quello del messia e tutto è pronto in tempo per l'arrivo del bambino.

La seconda volta sai già che le tutine verranno lordate di rigurgiti e merda e bavetta e non ci sarà omino bianco che tenga. Sai già che nel lettino carino con la giostrina tuo figlio ci dormirà solo legato e imbavagliato o sottoposto a tattiche pedagogiche d'ispirazione nazista. Non leggi niente perchè ne sai abbastanza ma soprattutto sai che con un neonato urlante i manuali sono utili come una sciarpa in pile in luglio a Santorini.

Ormai mancano tre settimane, e non è pronto niente. Il lettino non è montato, la valigia per l'ospedale non è pronta (il mio cervello continua a rigettare l'idea di dover comprare cose come la mutande di rete monouso), i vestitini dell'infante sono quelli stinti e un po' macchiati del fratello, e soprattutto questo bambino non ha ancora un nome, a parte quello che il Bruco gli ha dato sei mesi fa e che continua a spacciare i giro come fosse il suo vero nome, e la gente ormai ci sta credendo (Hutch. Sì, come Starsky e Hutch. No, non sa neanche chi siano Starsky e Hutch. No, non lo chiameremo veramente Hutch. O sì?).

Sono ingrassata 8 chili, non sembro zoppa per la sciatica, ma di notte mi sveglio ogni ora: mi metto seduta di scatto e fisso la carrozzina in fondo alla camera, continuando a pensare "dio che ansia, fra un mese non dormirò più, devo assolutamente dormire tantissimo ADESSO". E infatti non dormo.
Mi vengono in mente le coliche, le ragadi, i pannolini puzzolenti, i biberon che invadono il lavandino, il pavimento impiastricciato di pappette e tante altre cose amene che sono lontanissime, perchè il Bruco ormai è quasi diventato una farfalla. E' autonomo, intelligente, parlante (pure troppo) e le maestre della scuola materna dicono persino che non c'è bisogno di fare il colloquio perchè "bravi così ne abbiamo pochi".

Ma niente, ormai è fatta. Quasi. Devo solo partorire. Fra tre settimane. O dopo, com'è successo la prima volta. La prima volta, quando mi hanno ricoverata e indotta per 48 lunghissime ore. Quello è il mio primo vero incubo, quello non deve accadere una seconda volta.
Se tra un mese vedete una che scappa dal Niguarda in camicia da notte a fiorellini e improbabili Birkenstock verdi, e corre più veloce di tutti i runners del Parco Nord messi assieme, quella sono io.
Piuttosto vado a partorire lì, in mezzo ai vecchietti cinesi che fanno tai chi la mattina all'alba tra gli orti dei pensionati.

Nel frammezzo che ancora manca, sto scrivendo "di là" e non di qua. Prima che le elucubrazioni sul rapporto prezzo-qualità dei pannolini mi ottenebrino la mente. O magari no.
Chissà che la seconda volta non sia un po' diversa anche in questo.