martedì 24 novembre 2015

Lost Love

E' un cubo di vetro e acciaio, all'interno del quale è ricostruita una stanza. 
Più una situazione che una stanza. Ci sono un lettino ginecologico, un attaccapanni con un camice bianco appeso, un tavolino con dei ferri da chirurgo, e oggetti di cui qualcuna si è spogliata in un tempo che non è definito, forse ieri, forse 10 anni fa. 
Un orologio, una collana di perle, un anello d'oro, scarpe, una borsa, effetti personali simbolicamente abbandonati: quelli sì che si possono mostrare, al contrario degli affetti, abbandonati anche loro, lasciati lungo il percorso in qualche stanza o in qualche via. 
E' la scena di un aborto che è stato, è la stanza in cui qualcosa è andato perduto, non si sa come, non si sa perchè.
Il cubo di vetro è pieno d'acqua, e meravigliosi pesci tropicali vi nuotano all'interno, lenti come il tempo, veloci come il tempo, nulla di più adatto a mimarlo. Occhi tondi che da dentro ti guardano, ti inchiodano, guizzano oltre l'abito dell'abitudine che hai cucito addosso.
Le staffe volteggiano molli, trascinate dalle correnti e dai movimenti dei pesci che incuranti soggiornano tra le attrezzature chirurgiche, piccoli pesci simili a sogni in cerca di un posto dentro questo grande utero che in un presente accennato è vuoto.
Acqua, acqua ovunque, e pesci, forse una simbologia fin troppo facile per una maternità a cui (dover?) rinunciare.
Guizzi di colore in mezzo alla desolazione - colori che ti ipnotizzano, ti fanno dimenticare - quell'istanza insopprimibile di vita che racconta di tutti i figli che il mondo ha messo al mondo e sempre ne metterà.




Molti mi hanno chiesto come facesse a piacermi un'opera così inquietante, così triste.
La risposta è qui, ed è che la trovo di una poesia struggente. Si intitola Lost Love.
E' di Damien Hirst e la potete vedere alla Fondazione Prada fino al prossimo gennaio.