venerdì 25 dicembre 2015

And so this is Xmas

Lo spirito del Natale è qualcosa di impalpabile e sfuggente, e per quanto mi riguarda prescinde dal credo religioso. Per me, nel corso degli anni, è andato e venuto, ha avuto varie forme e colori, e ammetto che nonostante i bambini è un po' di tempo che non mi fa visita.
Quando ero bambina il Natale era un tempo lungo e dilatato, sapeva di sospensione della scuola, di terribili costruzioni di candele per l'avvento durante il catechismo (una delle ennesime contraddizioni di mia madre, che l'ora di religione a scuola no, ma il catechismo sì), di attesa, di pomeriggi divisa tra compiti di scuola e cartoni animati su Italia1 (erano gli anni 80, e noi si guardava Bim Bum Bam), intervallati da spot natalizi come se non ci fosse un domani.
Un copione che è rimasto uguale per molti anni, quello dell'attesa e del 25 dicembre, piacevole e rassicurante, sebbene sotto l'albero non ci fosse mai davvero quello che volevo (ma solo perchè quello che volevo era impossibile): ricordo i crostini coi fegatini, la tombolata coi legumi secchi sulle cartelle, ricordo mio padre e mio zio che mangiavano spagnolette tutto il pomeriggio, le tartine al salmone che già alle sette di sera sapevano di stantio, il brodo di cappone, gli zii e i cugini, epifanie che col tempo sono scomparse una a una.
Non so se è stato perchè avevo vent'anni o perchè mio padre se n'è andato, ma le cose a un certo punto sono cambiate e il Natale è diventato un'incombenza da sbrigare in fretta. Pochi regali, poca voglia, l'unica cosa che non è mai mancata è stato il cibo cucinato da mia madre, che è sempre buono anche quando non lo è davvero.
Poi ho conosciuto l'Interista e in qualche modo sottile lo Spirito del Natale è tornato.
Coi miei abbiamo iniziato a festeggiare la sera del 24, lui i primi anni arrivava tardi perchè andava a fare il Babbo Natale per i bambini delle famiglie disagiate con l'associazione in cui aveva fatto il servizio civile, tutto era diventato semplice, c'erano i miei fratelli, le capesante gratinate, i regali sempre sbagliati e un casino totale in cucina. C'era una mancanza che avevamo imparato a gestire.
Un anno con l'Interista comprammo un faccione di Babbo Natale col cappello verde, un po' no-global, senza sapere (o sì?) che lo stavamo comprando per i bambini che sarebbero venuti. A volte fai le cose a caso, e quelle cose hanno un senso perfetto che altre pianificate a lungo non avranno mai.
E questo si sa.
Ma il Natale più bello passato finora, quello che ogni anno mi torna alla mente ed è il mio personale  paradigma di Natale, è quello più insospettabile. Non ricordo che anno fosse, non ricordo quasi nulla, tranne che non avevo una lira e avevo trovato un lavoro di 3 settimane allo scomparso Virgin Megastore in Galleria. Avevo passato dicembre a battere scontrini in cassa, rimuginando sull'utilità dei miei studi in Lettere. Il 24 facevo il turno di chiusura, ricordo ancora l'ultimo cliente di una fila infinita, un tipo distinto che aveva comprato tutti i regali all'ultimo, una valanga di dvd, cd, libri: il pos rifiutò la sua carta di credito una, due, tre volte... vi prego, vado un attimo a prelevare e torno, il suo volto era quello della disperazione. Erano le otto e cinque minuti, tutti volevano andare a casa, qualcuno alle mie spalle disse "mi spiace, non è proprio possibile".
Mentre le luci del negozio si spegnevano mi sono abbottonata il cappotto e ho preso la via di casa. Faceva un freddo folle, in giro non c'era nessuno, mi sentivo sola, mi mancava mio padre. Ho preso la metro e sono arrivata a casa di mia madre, e da lì è nato un nuovo corso delle cose.
Quel senso di solitudine nel freddo del mezzanino della metro, quello è stato il mio Natale perfetto, perchè il Natale per me, non credente, è la festa di chi aspetta qualcosa e sa che può arrivare. E' la festa di chi sa cosa vuol dire essere solo, e tanto più apprezza il valore della compagnia umana.
Buon Natale a tutti voi.


martedì 15 dicembre 2015

#orgoglioponpon

Io da piccola, credo di averlo già confessato, ero un po' un caso umano.
Bruttina e disadattata, ad aggravare la situazione gli outfit improbabili (persino per gli anni '80) forniti da mia madre, e le acconciature che non avrebbero sfigurato nel bar di Guerre Stellari.
Poi sono cresciuta, ho perso un po' di sfiga ma mantenendone quel tot che sarebbe servito in tempi (recentissimi) in cui anche essere sfigato aveva un suo perchè.
Una cosa però mi sono sempre detta: ai miei figli non succederà.
Ai miei figli non succederà di tornare a casa da scuola col magone perchè il tal compagno li prende in giro, non per qualcosa che dipenda da me.
Ma la vita è bastarda, si sa.

Qualche giorno fa il Bruco ha perso il suo cappellino rigato e molto cool di un noto marchio di abbigliamento giocando al parco. Io la mattina dopo ho aperto il cassetto e ho tirato fuori un altro cappello che avevo lì. Vediamo se ti và, gli ho detto. Gli andava.

Venerdì, ore 16.40, fuori dai cancelli di scuola.

"Ciao Bruco! Com'è andata oggi?"
"Eh..."
"Eh cosa?"
"Mamma c'è un bambino che mi prende in giro..."
"Ti prende in giro? E per cosa?"
"Per il ponpon"

Trasecolo.
"Per il ponpon? Ma che davéro? Ma come per il ponpon?"
Io, la bambina dalle tre trecce, la più perculata della scuola elementare, non mi ero posta il problema del ponpon.

Lunedì, ore 16.45, fuori dai cancelli di scuola.

"Ciao amore! Tutto bene?"
"Mamma mi prendono ancora in giro..."
"Ancora? Ma per il ponpon?"
"Sì... ridacchiano e mi fanno l'imitazione"

Quindi praticamente non conta niente se sei di una bellezza esagerata.
Se hai lo stigma della sfiga, e se questo stigma si concretizza in un ponpon sul cappello, non c'è niente da fare.
Ma da quando il ponpon è da sfigati? Perchè non ne sapevo niente?
Faccio qualche ricerca su internet e trovo addirittura un libro, appena uscito, edito Rizzoli, che racconta di un bambino sfigato con un enorme ponpon in testa.

Come direbbe mia madre: io boh.

Lunedì sera, a casa di Orlando.

"Interista, abbiamo un problema"
E gli racconto del ponpon.
"Cosa facciamo? Eliminiamo il problema cambiandogli cappello o ne facciamo una questione di principio? No perchè io non voglio dargliela vinta a questi perculatori in erba, sono pronta a lanciare su twitter l'hashtag #orgoglioponpon, che poi praticamente è una versione sofisticata di #orgoglionerd (e il Bruco ha decisamente pure quello) - dovete sapere che l'Interista nel frattempo è diventato un uomodigital e quindi bisogna parlare la sua lingua per ottenere i migliori risultati"
"Ma và, che gli desse due testate e la finiamo così" (ok, non del tutto digital).

Ad oggi il ponpon c'era ancora.
Un po' perchè quelle tre trecce mi hanno resa quella che sono, pur attraverso un mare di difficoltà, e rivendico la validità di quel percorso.
Un po' perchè bisogna imparare a cavarsela da soli, a difendere le proprie scelte anche se impopolari e un sacco di altre belle cose che adesso non mi vengono in mente, lo ammetto, perchè mi dispiace un sacco per quel bel muso che sta sotto al grande ponpon.

E comunque #orgoglioponpon

Ps: voi che dite, glielo cambio, il cappello?