venerdì 15 aprile 2016

Da grande

Tutti, da piccoli, abbiamo pronunciato la frase "da grande voglio fare...", seguita dalle professioni più disparate. Succede poi che qualcuno lo fa davvero, quello che aveva detto di voler fare, ma nella maggior parte dei casi si finisce a fare tutt'altro.
Io ad esempio ricordo che quando me lo chiesero in prima elementare risposi "l'attrice", e proprio quell'anno debuttai sul palco della scuola nel ruolo di Jimmy, il porcellino saggio, all'interno della messinscena di "Insalata di favole". Hai detto niente. Avevo 6 anni.
Poi sono cresciuta, e ho iniziato a cambiare mestieri: archeologa (manco a dirlo, colpa di Indiana Jones), architetto, biologa marina. Ho cambiato un sacco di mestieri, senza mai includere l'unico che mia madre desiderasse veramente, che era "il dottore". Vuoi mettere avere un dottore in famiglia? Con tutto il rispetto per i Jimmy del mondo.
Poi è successo che ho iniziato a leggere, e a scrivere, a leggere leggere leggere, e scrivere scrivere scrivere, e mi sono iscritta a Lettere. La Facoltà dei cazzeggiatori romantici, la Laurea dei "ma poi che lavoro fai", e soprattutto gli Studi di quelli che sanno a memoria le poesie di Guido Gozzano sapendo che a nessuno frega assolutamente niente di questa cosa. Nè tantomeno di Gozzano, e delle sue poesie.
(per inciso, io quei quattro anni li rifarei da capo pari pari perchè ad oggi sogno di fare esattamente quello che facevo in quei tempi, ovvero leggere e scrivere, e basta).

Adesso che ho un figlio seienne, la fase del "cosa farò da grande" è tornata abbomba.
Il Bruco, oltre a non aver capito esattamente che lavoro fanno i suoi genitori, ha cominciato a fare elucubrazioni sul suo futuro.
Il ragazzino è parecchio in ansia, perchè non riesce a dare un nome ai vari lavori esistenti nel mondo.
Prima ha voluto sapere che lavoro fanno quelli che salvano i panda e le tigri dall'estinzione.
Poi ha voluto sapere che lavoro è lo psicologo, e io gli ho risposto d'istinto che è il dottore dei pensieri, ma temo di averlo turbato ulteriormente.
Infine, ieri, si è pronunciato.
"Mamma, io da grande voglio fare il tecnologico!"
"Il tecnologico? Ma in che senso, Bruco? Che mestiere è?"
"Voglio fare come Leonardo Da Vinci. Quello che inventa le cose"
Io sono caduta dalla sedia.
L'Interista si è limitato a razionalizzare: "ma è ovvio, vuole fare l'ingegnere"
Io sono caduta dalla sedia di nuovo.
Perchè con tutto il rispetto per gli ingegneri, una che ha debuttato come Jimmy il porcellino saggio e adesso cazzeggia scrivendo online, il figlio ingegnere non lo può proprio concepire.
"No ma dico, guardalo. E' troppo fico per fare l'ingegnere. Poi ha sempre la testa tra le nuvole, non è mica il suo"
E niente, mi sono sorbita la ramanzina dell'Interista che mi spiegava che i genitori non devono mai avere delle aspettative, proiettare sui figli etc etc etc.
Poi mentre mi spiegava tutta questa storia, che io già la so ma poi metterla in pratica è proprio un'altra cosa, arriva il cucciolo di casa (cucciolo di iena, s'intende) che si lancia dal divano urlando come una scimmia impazzita.
"Guardalo! Guardalo! Lui da grande farà chiaramente il wrestler!" esclama trionfante, con lo sguardo illuminato dall'opzione fisica intravista nel figlio.

Niente. Qualcosa mi dice che tra una ventina d'anni, con un figlio ingegnere e uno lottatore di wrestling, avrò bisogno di un dottore di pensieri.
Magari uno dei vostri figli, che da grande sarà diventato quella cosa lì.

venerdì 1 aprile 2016

Scene da un manicomio

A volte la quotidianità è faticosa. Più raramente è lieve, spesso complicata, e non sempre si riesce a guardarsi dal di fuori. E forse è meglio così. Perchè a volte, quando ti fermi e guardi dentro casa tua come se fossi uno spettatore, ti accorgi che non è la fatica l'elemento predominante. Nè la logistica assurda, nè la levità. E' la follia, quella pura, senza compromessi.
Io non vivo a casa di Orlando. Io vivo in una gabbia di matti.

Ieri, dal panettiere.

- Enea, vuoi una focaccina?
- No, bignè.
- Guarda che diventi ciccione. Io te lo dico, cocco di mamma tua. Non si può essere golosi come sei tu. Vuoi una pizzetta?
- No, bignè. Due bignè.
- Mi fa piacere che tu abbia imparato a dirlo così bene. Facciamo un biscotto di frolla?
- Signora, bignè. (niente, gli manca solo il portafogli ormai)
Interviene il Bruco.
- Mamma, io te lo dico: se gli compri il bignè mi devi comprare il raccoglitore con i 4 anelli che si aprono contemporaneamente!
- Ma scusa Orlando cosa c'entra?
- Perchè non è giusto che accontenti lui e me no. Io non voglio il raccoglitore che devi aprire gli anelli a due a due come quello che mi hai comprato!
- Bruco, ma stai scherzando vero? Ma cosa cambia?
- Dai, mammaaaa... faccio troppa fatica se devo chiuderne due alla volta.
- Scusi, signora, mi dà due bignè? Anzi faccia quattro. Ne mangerò due alla volta e non tutti e quattro insieme, anche se mi costerà molta più fatica.

Ieri sera, a casa d Orlando.

E' sera, pericolosamente tardi, l'ora della nanna è scoccata da un po' mentre il caos regna, la tavola non è sparecchiata, il Bruco continua a lanciare la palla ovunque.
Enea appena pigiamato si divincola dalle mie braccia mentre cerco di portarlo in camera e scappa in preda a un raptus.
Torna brandendo una maglietta di non so quale giocatore nerazzurro.
"Mette malietta, mette malietta, mamma"
Io inizio a dare i numeri.
"Nooooooo devi andare a nannaaaaaaa, adesso bastaaaa, è tardissimoooo... interista, aiutami ti prego!"
Lui non si palesa, ma dalla cucina arrivano queste parole, con un tono pacato che manco Sai Baba.
"Tranquilla, è lo spirito di Peppino Meazza che si è impadronito di lui. Quando fra quindici anni lui sarà in serie A e tu alle Maldive, allora capirai".

Beh, gente. Io vi sto vedendo ridere. Sto anche vedendo che voi pensate che io mi inventi tutto.
Ma il fatto è queste cose sono accadute veramente. E soprattutto, non c'è un cazzo da ridere.