tag:blogger.com,1999:blog-7258055453772330292024-03-14T15:48:52.478+01:00A casa di OrlandoBradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.comBlogger213125tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-57592161611433827092023-10-27T11:04:00.001+02:002023-10-27T11:04:24.899+02:0014<p>E' passato quasi un mese, e io che di solito sono puntualissima con le ricorrenze, non ho scritto nulla per il tuo quattordicesimo compleanno. Ho pensato "scriverò domani", e poi i giorni sono passati mentre scrivevo altro e di altro ci preoccupavamo. Il fatto è che <i>scrivere del te quattordicenne</i> è difficile probabilmente come <i>essere il te quattordicenne</i>, ma accetto la sfida e non lo lascio passare via così, ché sarebbe il primo compleanno in 14 anni e non si può. Insomma sei al liceo, hai superato tuo padre in altezza, tua madre in bellezza (ovviamente si scherza) ed entrambi per furbizia (o almeno questo è quello che credi). Con la lentezza dei cazzeggiatori professionisti ti aggiri per casa tra una frase di greco e l'altra, inseguendo la gatta che fugge terrorizzata, lanciando la palla in canestri immaginari, guardando compulsivamente <i>reels</i> su gente che dall'altra parte del mondo cucina burgers a 5 piani. Poi, al termine di questa sequenza, ti esprimi nel tuo cavallo di battaglia: il salto della foca. Col tuo metro e ottantatrè di spigoli (esteriori e interiori) ti lanci orizzontale e supino sul letto, e resti. Resti tipo foca, a pancia in giù, col volto affondato nel cuscino, le braccia lunghe attaccate ai fianchi, come una foca stanca, come un siluro che dopo aver attraversato mondi si è spiaggiato su un arenile deserto. Chissà cosa pensi, se pensi, chissà quanto ci stai scomodo dentro quel corpo cresciuto veloce, dinoccolato e magro, dentro quel viso ancora implume ma pieno di brufoli, dolce tuttavia, e lo si capisce quando ridi genuino, il che succede poco perchè le ombre, in questo momento, sono più delle luci.</p><p>Io ti guardo e fatico, perchè prendere le misure della terra di mezzo è durissima: come un caleidoscopio cambiano in continuazione, ingannano se stesse, sbilanciano e si ri-centrano, tutto arriva e parte ad una velocità impressionante, quella dei siluri. In questo movimento incessante e rapido, quello che faccio è concentrarmi sulla foca, la parte che resta e aspetta, la parte che magari latita, si nasconde silente, la parte grassa dell'anima, dove stanno stipate le cose buone che servono in tempi di rigido gelo. Lì dentro, mi dico, c'è un armamentario che io in buona parte ti ho dato, e anche se non si vede, deve esserci.</p><p>Tanti auguri, mia foca-siluro. Sono sempre qui che ti aspetto mentre "diventi".<br /></p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-2144285134792517812023-06-23T14:48:00.000+02:002023-06-23T14:48:24.087+02:00Omnia fert aetas<p>Non so esattamente come sia successo, ma da oggi la scuola media diventa un ricordo e in casa mi resta un liceale, quasi quattordicenne, introverso, scontroso, di una bellezza acerba che ovviamente a lui sembra bruttezza definitiva e senza speranza. Ma sto mentendo (sulla prima frase): so esattamente com'è successo, perchè in questi tre anni, iniziati in piena pandemia e finiti con un grande concerto dell'orchestra scolastica e innumerevoli feste di "saluto", ci siamo portati addosso il peso specifico di ogni singolo giorno. La fatica dei compiti infiniti, le interrogazioni la sera prima <i>sì ho studiato/ma se non sai niente</i>, la rincorsa di materiali tra una dimensione e l'altra che neanche il Doctor Strange, i compassi che sparivano, le matite con la mina dell'esatto numero dell'esatta lettera nel buco nero delle cartellette di arte e tecnologia, e le fotocopie che <i>no ma è a scuola sotto il banco</i>, e la limatura unghie che ci è valsa qualche nota dall'insegnante di chitarra perchè qui in casa non siamo esattamente gente da centro estetico. E quella volta in cui hai corretto un mancato congiuntivo alla prof. causandone un'ira funesta tale che al confronto il Pelide Achille sembrava un agnellino. E quando ha chiamato tuo padre nel mezzo di un importantissimo pranzo di lavoro per dire che avevi fatto una cosa gravissima, e noi subito a pensare a quello che abbiamo visto succedere nei bagni di scuola negli anni '90, ma era solo che ti eri dimenticato di spegnere il cellulare. Entrato un metro e 60 con un volto da putto botticelliano e vocino delicato, ne esci un metro e 80 con una collezione di brufoli e due mascelle di un certo rilievo, la voce non provo neanche a definirla. Ieri pomeriggio me ne sono rimasta lì, dentro quella scuola dove non andrai più, a fotografare il corridoio mentre lontanissima arrivava l'eco della tua esposizione sulla rivoluzione digitale, mentre blateravi cose su Baricco e Steve Jobs e Turing e sa dio cos'altro. Ad un certo punto ho sentito i professori ridere. Chissà che pirloneria avrai detto. Meno male che un po' di sense of humor l'hai ereditato, col tempo ti servirà. Fin qui tutto bene. A che piano siamo arrivati, cadendo al ritmo vertiginoso che ha il tempo di quando si cresce? <i>Omnia fert aetas</i>. Però ora fermati un attimo, estate, lasciaci per un po' sospesi tra un piano e l'altro, nello stupore che c'è tra ogni fine e ogni inizio. E sii buona. Buona estate!<br /></p><p><br /></p><p> </p><p><br /></p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-67663136200345310112023-01-19T19:48:00.000+01:002023-01-19T19:48:17.008+01:00Io ti vedo<p>A un certo punto della terza media mi dissero che avrei dovuto iscrivermi alla scuola superiore. Correva l'anno1991, e andò più o meno così:</p><p>Prof. di matematica (la mitica Marchesini): "Allora, che vorresti fare l'anno prossimo?"</p><p>Io tredicenne: "Boh, forse il liceo artistico, mi piace disegnare"</p><p>Prof. di matematica: "Ma che corbellerie. Devi dire a tua mamma di iscriverti al classico".</p><p>Mia madre si fece due conti sulla logistica: l'artistico era lontanissimo da casa, il classico 5 minuti a piedi. Così mi ritrovai al ginnasio, con uno zaino che pareva contenere pietre, e invece era il Rocci di terza mano di una cugina. Sono stata fortunata, quella scuola - che non avevo scelto io - mi ha dato opzioni di vita che non avrei mai considerato. Sono stata fortunata anche perchè il processo per arrivarci è stato quasi impalpabile, di certo non ho sentito il peso della scelta. </p><p>Ora invece esiste l'ORIENTAMENTO. Ovvero il decimo girone infernale. Comincia a ottobre, quando iniziano a girare per le chat locandine di appuntamenti dai titoli sottilmente angoscianti tipo "Io mi oriento", "Che fare dopo la terza media", "Come scegliere per non sbagliare". E' ancora autunno, ma inizi già a sentirti un po' male, non fosse altro per la quantità di tempo che dovrai dedicare a incontri quasi sempre di una noia mortale in cui ti fanno lo spoiler dei prossimi 5 anni della tua vita. </p><p>Poi cominciano ad arrivare gli <i>open day</i>, e l'ansia aumenta esponenzialmente perchè anche l'iscrizione all'open day è una prova di abilità: devi mettere una sveglia alle 7.55 del giorno tal dei tali, collegarti al sito, attendere che apra il form online e tenere pronto al click fatale il dito: naturalmente mica c'è posto per tutti, pure l'open day è roba esclusiva. La cosa bella è che il tredicenne (ignaro del presente, figuriamoci del futuro) non ha ancora neanche scelto il tipo di scuola ma tu devi già iscriverlo agli open day dei vari istituti, quindi nel dubbio rischi di farne una decina o più. </p><p>Dopo essere riuscito sgomitando digitalmente a procurarti l'open day nella data e nell'orario desiderato, ed esserti fottuto tutti i sabati fino a Natale e oltre, scopri che l'ultima frontiera sono le "lezioni aperte", anche dette stage, in cui il povero malcapitato deve portare i suoi improbabili capelli e brufoli tutti in classe con gente di quarta superiore che finge di partecipare, e con allegria, a una lezione di fisica dove la parola d'ordine è spontaneità. </p><p>Tra un open day e una lezione aperta, tra un interminabile powerpoint proiettato in Aula Magna a suon di trombe con l'elenco di 50 potenziamenti diversi a fasce orarie alternate (chè la scuola normale non ci basta più), capita poi di andare a eventi in cui tutte le scuole della città e dell'hinterland si presentano: una specie di fiera dell'istruzione con tanto di stand e materiale pubblicitario da cui torni con una valanga di <i>depliant</i> e un'incoercibile voglia di decidere del tuo futuro.<br /></p><p>- Allora, Orlando, c'è qualche scuola che ti ha interessato più delle altre?</p><p>- Ma non posso fare altri due anni di medie?</p><p>Avrà bisogno di tempo, ti dici, deciderà quando sarà il momento. Ovviamente non è vero, e lo sai. E' già dicembre, e lo step successivo del girone sono i colloqui coi professori, che preludono al consiglio orientativo, un'invenzione geniale che magari ti rovina l'esistenza perchè non sempre si incontrano professori illuminati e perchè... com'era quella cosa sui consigli? La gente dà buoni consigli se non può dare il cattivo esempio? Comunque. Andiamo a parlare coi professori, magari ci diranno qualcosa che non avevamo capito.</p><p>Professore 1: Suo figlio è decisamente portato per le materie umanistiche, è molto colto e vedo che si sente solo perchè non sa con chi parlare delle sue letture (<i>ma quando mai?</i>). Però non lo vedo al classico. (<i>ok, bene, abbiamo le idee chiare</i>)</p><p>Professore 2: Suo figlio deve assolutamente fare il liceo linguistico, perchè poi col classico se no cosa fa, il professore? (<i>guardi, le mie compagne di liceo classico sono tutte ingegneri e medici, io sono l'unica scioperata che insegna italiano, come dire... miopia portami via</i>)</p><p>Professore 3: Guardi, suo figlio può fare tutto quello che vuole, quindi le consiglio di considerare un istituto tecnico. (<i>scusi, ma dice sul serio?</i>)</p><p>Professore 4: Non saprei, sicuramente non ha talento per il disegno. (<i>E fu così che un ragazzino entrato alle medie con la passione del disegno ne uscì detestando la storia dell'arte. Ma forse non era vera passione, ci si dice</i>)<br /></p><p>Non è finita. Nel frattempo il tredicenne viene sottoposto in orario scolastico a sessioni di classe con le psicologhe del Progetto Orientamento, che gli fanno compilare test e moduli a nastro, riassumibili in "la risposta è dentro di te, e però è sbagliata". Li conservo gelosamente e ogni tanto li rileggo, li userò come faro negli anni a venire. L'unica certezza che ne emerge è la mancanza di autostima (del resto poveretto, coi due genitori che si ritrova, dagli torto), mentre il riquadro compilato in maniera più esilarante è quello dei "lavori che ti piacerebbe fare": zoologo, esperto di marketing, disegnatore di fumetti, storico, security analist, sportivo. <i>Ah, anche poeta? </i>Ed è subito meme della Signorina Silvani.</p><p>Qui possiamo finire la parte in cui lo trovo divertente e passare al tragico (ma io ho fatto il classico, che vuoi che sia, è un esercizio che conosco bene). Farò quello che mi dicono i professori, ha dichiarato il diretto interessato a un certo punto, causando giornate di refresh compulsivo sul registro elettronico in attesa del famoso consiglio. Bene, tutto a posto allora, l'abbiamo risolta, adesso dobbiamo solo decidere quale istituto etc etc. Eh no. Non poteva essere così semplice. Ti ricordi quel famoso test per quella famosa scuola che avevi fatto nel lontano dicembre quando ancora non sapevi nulla (o comunque meno di quello che sai oggi)? Quando ci siamo messi in coda con 700 cristi e altrettanti genitori? Chè a noi ci piace fare esperienze di vita, quindi tendenzialmente non ci sottraiamo. Ecco, quel test, lo hai passato. E adesso, che si fa? Niente, figlio, si fa quello che si fa quando bisogna scegliere: si soffre, convinti che ci siano una scelta giusta e una sbagliata. "Strana sensazione, quando ti decidi e non riesci a deciderti" dice il protagonista di uno dei romanzi meno letti di Dostoevskij, <i>L'adolescente</i>, guarda caso.</p><p>Non vorrei essere nei tuoi panni, ma del resto non voglio essere neanche nei miei. E a differenza dei tuoi professori non ho consigli da darti, a differenza delle psicologhe non ho test da sottoporti, a differenza dei discorsi motivazionali non ho bugie da propinarti, a differenza delle scadenze che incombono io non me ne vado. Sono sempre stata qui, siamo sempre stati qui. Non risolve il tuo dilemma, lo so, ma io "ti vedo, figlio", alla Avatar, e avere accanto qualcuno che ti vede forse è più importante che scegliere "la scuola giusta". </p><p> </p><p>PS: <span class="ILfuVd" lang="it"><span class="hgKElc">è tutto vero. Soprattutto la parte dell'Aula Magna.</span></span> </p><p> </p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-13978511239703076042022-10-07T11:10:00.003+02:002022-10-07T12:35:13.030+02:00Tredici<p>13: il numero che nei Tarocchi è associato alla Morte e nella simbologia
religiosa alla sommossa di Lucifero. La morte è quella dell'infanzia,
la sommossa è tutta tua. </p><p>Tredici come gli anni che fai oggi, ragazzino
dispari e primo, che ti porti in giro questo corpo smisurato. Altissimo
tu, lungherrimi i piedi, numerosi i brufoli, contati i sorrisi. Scemo come conviene esserlo a 13 anni.</p><div dir="auto">- Orlando, guarda che stasera non ci sono, ho un incontro in libreria.</div><div dir="auto">- Ah, ti vedi con la tua gang di poeti?</div><div dir="auto"> </div><div dir="auto">Ma
quale gang! ribatto, e sotto i baffi rido molto, perché avverto chiaro il
senso dell'ironia che cresce con te e prende corpo, e so benissimo da
dove viene, come so che quelle mascelle dritte e fiere le hai prese da
tuo padre. </div><div dir="auto">Poi a volte non rido per niente, e come
una matta ammattisco, per le quarantamila volte in cui devo dirti di fare
lo zaino, lavarti i capelli, non lasciare calzini mummificati nelle
intercapedini del letto, smetterla di guardare <i>reel</i> di gente che cucina
hamburger con salse oscene e tentare di riprodurle in mia assenza. E quando menti nonostante l'evidenza, quando fai cose assurde
tipo andare a scuola indossando solamente la felpa senza niente sotto, quando fai
finta di studiare geografia e intanto leggi fumetti incomprensibili tipo
<i>Kakegurui Twin</i>, o provi a battere il tuo record personale di cubo di Rubik. </div><div dir="auto">Per metà figlio del tuo tempo e per metà figlio mio, sei tutto
sghembo, bello e sghembo come si può essere solo quando si comincia ad
"adolescere", che vuol dire crescere ma dentro quella radice è contenuto anche
un pezzettino di <i>dol</i>ore, quello connaturato ad ogni trasformazione. Ti
guardo, sono qui per guardarti diventare, prismatico e sfuggente ex
bambino, e mi godo lo spettacolo: che forma prenderanno i tuoi desideri?
E le tue paure? </div><div dir="auto"> </div><div dir="auto">- Madre.</div><div dir="auto">- Eh.</div><div dir="auto">- Posso andare al parco con la mia gang?</div><div dir="auto">- A fare cosa?</div><div dir="auto">- Dobbiamo provare un nuovo trick.</div><div dir="auto">- Ok, non voglio saperlo. Comportati bene altrimenti ti mando le Erinni.</div><div dir="auto">- Fico, magari mi aiutano a fare dei nuovi trick anche loro!</div><div dir="auto">- Sparisci.</div><div dir="auto">- Vabbè, non ti triggerare però.</div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">(segue: scena di madre che cerca "triggerare significato" su Google)</div><div dir="auto"> </div><div dir="auto">Non so cosa succederà nei prossimi mesi o anni, non credo neanche di aver capito bene cosa è successo negli ultimi tredici, per l'appunto, ma ad oggi una cosa non è mai cambiata: ti guardo e vedo bellezza. Bellezza dentro e fuori, bellezza del diventare, bellezza nonostante i giorni brutti e certi scomodi pensieri, vedo bellezza anche nella preoccupazione costante, nelle domande che quotidianamente ci facciamo. Cosa pensi davvero di te, di noi? Cosa vedi quando ti guardi allo specchio e fai le smorfie? Quanto ti scoccia che alcuni compagni non ti apprezzino? Hai davvero voglia di continuare a fare alcune cose che fai, che noi ti abbiamo imposto e/o proposto? Che farai da grande? (a questa domanda continui a rispondere "il fabbro", ma lo sai, è una cosa che non riesco a interpretare se non alla luce di una certa passiona per la Grecia antica, perdonami se puoi)<br /></div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">Ti guardo. Lento, perennemente scalzo, sgarrupato, preferisci il mango alla cioccolata, la storia a ogni altra materia, i gatti a ogni altra forma di essere vivente. </div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">- Madre.</div><div dir="auto">- Eh.</div><div dir="auto">- Posso farmi i capelli verdi?</div><div dir="auto">- Ma no, finchè stai alle medie non si può.<br /></div><div dir="auto">- Ma neanche a Carnevale?</div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">Quando ti dicono che in adolescenza ne vedrai di tutti i colori. Benvenuta, adolescenza.</div><div dir="auto">(e auguri, Orlando, ti si ama in ogni sfumatura)<br /></div><div dir="auto"> </div><div dir="auto"> </div>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-41239187527200729442021-10-23T14:44:00.003+02:002021-10-23T14:48:44.273+02:00Foliage<p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>È
un sabato pomeriggio di fine ottobre, il sole batte caldo sulle
schiene e sul sintetico: del campo, dei maglioni, della divisa giallo
fluo che il portiere indossa, numero 12 sul retro. Il portiere,
quello là, lontanissimo a tentare di coprire una porta gigante, è
mio figlio.</span></span></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>
</span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>È
un sabato qualunque del 2021, e lo osservo da bordo campo. Era
parecchio che non capitava - da qualche anno tendo a disertare in
favore di mostre o mercati in compagnia del più piccino -, e mentre
lo guardo penso a questa cosa che è il calcio dei bambini e poi dei
ragazzini, il calcio che cresce, i ruoli che cambiano, le calze di
spugna sempre più strette, i tornei infiniti nei posti brutti col
puzzo delle salamelle alla brace che ti si appiccica addosso, 7 anni,
i bambini che a settembre fai la conta di quelli che sono andati e
venuti, 7 anni, sono 7 anni che gioca, più di metà della sua vita.</span></span></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>
</span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>È
un sabato d’autunno ma qui nessun </span><span><i>foliage</i></span><span>
da ammirare: siamo ai confini tra la città e l'hinterland, intorno
arterie di traffico, vecchi palazzoni cresciuti tra i 70 e gli 80,
scheletri di fabbriche che son rimaste a produrre solo un’idea di
tristezza, nuovi edifici di classe A che ospitano rapper famosi in
cerca di periferie addomesticate da guardare con la prospettiva di un
terrazzone a loggia e la domotica. </span></span>
</p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>
</span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>In
questo sabato tiepido a bordo campo rivedo la sua storia di
apprendista calciatore come un nastro riavvolto. Rivedo il bimbetto
di 5 anni coi calzettoni arancione mezzi calati, ché la precisione
non è mai stata il suo forte. Corre, ma ogni tanto si sdraia in
campo e guarda verso il cielo, mentre suo padre cristona da lontano.
</span><span><i>E’
pigro</i></span><span>,
dico io. </span><span><i>Lo
attacco con una corda al motorino e lo faccio correre finché non
m’implora di fermarmi</i></span><span>,
risponde lui, con la consueta pacatezza e il senso della misura che
lo contraddistinguono. </span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>Ha fatto anche dei goal, quel bimbetto,
qualche volta, in qualche partita, ma a un certo punto sceglie di
fare il portiere, perché - sospetto - gli piace stare dentro le cose
ma anche un po’ fuori, essere in una squadra ma con diversa divisa,
adottare una prospettiva privilegiata. Privilegiata un cazzo, se
ripenso a tutte le volte in cui mi sono tappata gli occhi con le mani
mentre gli avversari sferravano l’attacco, lanciandosi a bomba
verso la sua porta, mentre partiva una palla che poteva andare
ovunque, poteva essere goal, poteva schiaffeggiargli la faccia e
l’orgoglio: l’occhio della madre, direte voi, sì, ma la madre
del portiere, aggiungo io. Quella che ogni sabato chiede “quanti ne
ha subiti?” e mai “quanti ne ha parati?”. </span></span>
</p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>
</span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>Rivedo
il bimbo già grandicello, 9 anni o giù di lì, dimenticarsi i pezzi
in spogliatoio, uscire coi capelli fradici mezzi impiastrati di
shampoo, le pelle del viso brasata in luglio perché lui non è un
portiere da cappellino. Rivedo le settimane con tre allenamenti, i
sabati e le domeniche ingolfati di partite, la coppa che una volta ha
vinto “per fair play”. Riascolto le prediche di suo padre
sull’impegno e sul carattere, la mia domanda ripetuta all’infinito
“sei sicuro di voler giocare a calcio anche quest’anno?”.
Quest’anno, 7 anni. </span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>Al sole di questo sabato ripenso alle borse
sempre umide, ai guantoni con la gomma che si sventra e decade, ai
pallini neri ovunque del sintetico, ai pelucchi d’erba finta che
s’incastrano nella trama dei calzettoni e non se ne vanno mai. Ai
tacchetti, ai parastinchi, alle convocazioni un’ora prima
dell’inizio in posti improbabili della pianura tossica e nebbiosa,
agli allenatori che ha avuto. Quelli bravi, appassionati e giovani;
quelli disonesti e spocchiosi; quelli capaci di insegnare solo a chi
è già dedito; quelli mediocri che almeno non fanno danni (o forse
sì?); quelli che bastonano, alla Jeff Turner. </span></span>
</p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>
</span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>E
nel frattempo hai 12 anni, hai cambiato squadra, divisa, compagni,
orari, hai il 43 di scarpette, e lo spazio si è dilatato a
dismisura: hai iniziato a giocare a calcio a 11, e il campo sembra
proprio quello di Holly e Benji, dove corri, corri, e la porta non
arriva mai. Tu stai lì, dove hai scelto di stare, una figurina alta
e bionda tra i pali, per terra non ti sdrai più ché l’allenatore
di adesso è un po’ matto, meglio non sfidarlo, ma ogni tanto lo
sguardo vaga in alto lo stesso, ne sono sicura, anche se sei troppo
lontano e non lo vedo, anche se non vengo a vederti quasi più. </span></span></p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span>Tu
stai lì, dove hai scelto di stare, per incoscienza o per coraggio,
stretto nella tua maglia fluo col numero 12, il campo è gigante, la
porta da difendere sembra sconfinata, hai paura ma non si vede: è un
sabato pomeriggio di fine ottobre, il sole batte caldo sulle schiene
e sul sintetico, e il </span><span><i>foliage
</i></span><span>sei
tu, con tutti quei goal subiti e parati che ti porti addosso,
splendido arbusto in mutazione. E’ stato bello (ri)vederti. Però
sabato prossimo vado con tuo fratello al mercato, a comprare le
zucche.</span></span></p>
<p><style type="text/css">p { margin-bottom: 0.25cm; direction: ltr; line-height: 115%; text-align: left; orphans: 2; widows: 2; background: transparent }</style></p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-90422255051112373282021-10-07T10:40:00.011+02:002021-10-07T10:50:41.618+02:0012<div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"Lolli, com'è andata con la nuova prof d'italiano?"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"Bene. Ci ha chiesto il nostro genere letterario preferito"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"E tu cos'hai detto?"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"La distopia"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"Che dici!?!? Ma lo sai cos'è una distopia?"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"E' il racconto di un futuro immaginario"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"Ah. E come fai a saperlo?"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"Lo hai detto tu quando raccontavi al papà di una cosa che hai scritto"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>"Ah. Quindi ogni tanto ascolti, non sei sempre sulle nuvole"</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>Ma
chissà dove sei, mi chiedo, anche se ti ho (quasi) sempre qui, mi
cammini accanto con quei piedi spaventosamente lunghi che ormai rubano
le scarpe al papà, sempre scalzo, sempre sgarrupato perché - anche se
non lo vorremmo - l'entropia è uno dei tratti distintivi del brand di
famiglia.</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span>Chissà
dove sei, mi sguisci via con la tua pelle trasparente e quei colori
irlandesi ereditati da chissà quale desiderio, mentre a cadenza regolare
rintocca la sempiterna domanda "hai fatto i compiti?". I compiti, che
nel tuo iperuranio fantastico non rappresentano attualmente la priorità,
perché la cosa più importante è sapere come finisce la saga dell'<i>Attacco dei giganti</i> o recuperare l'introvabile numero 2 di <i>Platinum End</i>, nonché realizzare con la carta una perfetta riproduzione dell'arma letale di non so quale eroe manga.</span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>Quando
sei nato, 12 anni fa, neanche la migliore distopia avrebbe potuto
rappresentarmi questo futuro immaginario, fatto di annessi pandemici e
materializzazioni di scelte che sembravano sempre perfettamente sensate,
e poi invece. </span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"Cosa vorresti come regalo, Lolli?"</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"La spada di Zenitsu Agatsuma "</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"Ma che dici, ma chi è? E per farci cosa?"</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"Demon Slayer! Dai, per giocare"</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"Per cavare un occhio a tuo fratello, vorrai dire"</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"Il pugnale di Naruto? E' più corto!"</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"Non se ne parla"<br /></span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>"Allora posso farmi i capelli rosso carminio?"</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>Mi mancava solo il figlio aspirante cosplayer.</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>Quando
sei nato, 12 anni fa, sapevo solo la tua pelle trasparente e quei
colori irlandesi, il desiderio e l'entropia. Mi piace sapere, oggi, che
questi tratti sono rimasti, che l'identità permane anche nello svolgersi
delle storie più imprevedibili. Mi piace sapere che, proprio da dentro
la mutazione, lì dove sei, sei sempre tu. Non più bruco, non ancora
farfalla, ma creatura fantastica appartenente a futuri immaginari.
Tanti auguri di buon compleanno, Orlando, a tutti gli Orlando che sarai.</span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p style="text-align: left;"><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span><br /></span></span></span></span></p></div><div style="text-align: left;"><p><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: medium;"><span><span>Ps:
In regalo, questa mattina, Orlando ha ricevuto la prima dose di vaccino
Covid. Ché per immaginare il futuro occorre esserci, e avere fiducia.</span></span></span></span></p></div>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-43538882092192573042021-03-03T11:37:00.001+01:002021-03-03T16:13:45.219+01:00In principio fu il coniglio blu<p>In principio fu il coniglio blu. No, non sto per proporvi una recensione di Donnie Darko. Anzi, facciamo un passo indietro, e andiamo coi ricordi alla scuola elementare del grande di casa: cinque anni di meraviglia e scoperte condivise, mai scanditi da compiti o verifiche, solo uno zainetto leggero perchè le cose importanti stavano altrove. Cinque anni di storie, di giochi, di relazioni, di cortile, anni in cui ogni tanto mi sono addirittura chiesta come sarebbe sopravvissuto alle medie, nel mondo del controllo permanente di ciò che hai fatto o studiato. Nel caso ve lo chiedeste anche voi, ora è in prima media e sta facendo bene. Lamenta la mancanza di tempo libero, ma se la cava benone.<br /></p><p>Poi c'è l'altro, il piccolo di casa, prima elementare, e lui non beneficia ahimè di una scuola altrettanto felice. La pandemia c'entra in minima parte, certo aggrava le cose, ma non è il <i>quid</i>. Torniamo al coniglio. </p><p><b><i>Erano i primi giorni.</i></b></p><p>- Ehi, com'è andata oggi? (<i>una domanda del cazzo che tutte le madri fanno e ancora non so esattamente perchè</i>)</p><p>- Bene, però è successa una cosa col coniglio.</p><p>- Ma che bello, avete un coniglio a scuola? (<i>lo so, pensate che io sia matta, ma nella scuola di Orlando i conigli li avevano davvero</i>)</p><p>- Ma cosa dici, mamma. Dovevamo colorare nei margini un coniglio e la maestra V. mi ha strappato la pagina.</p><p>(<i>trasecolo, non so esattamente se per i margini o per lo strappo</i>)</p><p>- E perchè mai?</p><p>- Perchè dice che i conigli sono marroni, e io lo avevo colorato di blu.</p><p>Dalla vicenda del coniglio blu, molte cose sono accadute. Pagine e pagine di cornicette (WTF?!?) di cui neanche conoscevo l'esistenza, orribili filastrocche da imparare a memoria (non pretendevo Anne Sexton come succedeva dal grande, ma un Rodari magari sì), verifiche continue con relativa ansia da prestazione che mi raccomando a 6 anni si è abbastanza grandi per comprendere il concetto di winners e losers, intervalli saltati per recuperare una lezione persa o perchè "sei lento".</p><p><i><b>Un mesetto fa.</b></i></p><p>- Ehi, com'è andata oggi? (<i>aridaje, 'tacci miei</i>)</p><p>- Non tanto bene. </p><p>- Che è successo? Ancora per quella storia che hai il quaderno con l'unicorno? (<i>questa ve la racconto un'altra volta perchè è un tema complicatissimo</i>)</p><p>- No, è che la maestra V. ha fatto il podio di quelli più bravi in matematica, e io non ero sul podio.</p><p>- (<i>mentre interiormente scomodo tutti i cristi del paradiso e non</i>) Ma te l'ho già detto, non è importante quello che fanno gli altri ma quello che impari tu.</p><p>- Ma poi ha fatto anche un secondo podio, e io non ero neanche in quello.</p><p>Niente, ho esaurito i cristi.</p><p><b><i>Ieri.</i></b></p><p>- Ehi, tutto bene, oggi? (<i>variazione su tema, lui faccia da funerale</i>)</p><p>- Sì...</p><p>- Dai, Enea, dimmi cos'è successo.</p><p>- Ho sbagliato la verifica di inglese, non capisco perchè le parole scritte non erano le stesse che io so dire..<br /></p><p>- Non importa, farai meglio la prossima volta.</p><p>- Ma il maestro mi ha detto che se succede ancora mi abbassa il voto in pagella.</p><p><br /></p><p>Vorrei dire molte cose, ma non è questa la sede, qui è solo un piccolo blog ridicolo dove si racconta un po' di vita e - per l' appunto - ci si ride su. Quindi di cose ne dirò solo due. <br /></p><p>Una, ai maestri e alle maestre di questo tipo, che per fortuna non ce ne sono solo così ma purtroppo ce ne sono tanti, probabilmente troppi: insegnare ai bambini è un privilegio, e se non siete in grado di capire che si tratta di un'attività più complessa che inserire dati in un computer, al mondo ci sono molti altri lavori che si possono fare senza creare danni.<br /></p><p>Un'altra al piccolo Enea: i conigli blu esistono, e continua a disegnarli perchè il mondo in cui viviamo ha un sacco bisogno di conigli blu.<br /></p><p><br /></p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-90901103648431326352020-10-21T09:55:00.005+02:002020-10-21T12:12:51.946+02:00La preside<p>Da circa un mese anche il piccolo di casa ha iniziato la scuola: l'attesa prima elementare ha preso il via e abbiamo instaurato una routine fatta di orari precisi, quaderni, zaini pesanti e amore reciproco (finchè Covid non ci separi). Fra le cose più belle annovero le cronache che il seienne fornisce quotidianamente all'uscita: cronache di una scuola molto diversa da quella che abbiamo vissuto con Orlando, una scuola diciamo più "tradizionale". In tutti questi racconti, la figura nettamente più nominata è la preside. Creatura mitologica, mezza umana mezza draghessa, dotata del potere sconfinato di cambiare le vite dei bambini che vi si imbattono, all'inizio era solo uno spauracchio:</p><p>"La preside dice che non possiamo fare la merenda per il Coronavirus"</p><p>"La preside ha detto che se piove dobbiamo rimanere fermi ai banchi a disegnare e non possiamo fare l'intervallo a giocare"</p><p>"La preside ha detto a Gianpaolo che si può fare la pipì solo fra le 10.30 e le 10.45"</p><p>Dopo la prime credibili affermazioni, ne sono seguite altre sempre più particolari, e la preside, da spauracchio, è divenuta figura in carne e ossa. E la sottoscritta si è detta che forse nelle scuole più tradizionali funziona così, che il controllo dei poteri forti è settato al massimo della potenza e quindi la preside forse era davvero onnipresente coi suoi diktat.</p><p>"Oggi Luigia è salita sul banco e l'hanno mandata dalla preside"</p><p>"Sai che Adbul si è fatto la pipì addosso ed è finito dalla preside?"</p><p>"Francesco durante l'intervallo si è tagliato un dito e la preside gli ha messo il cerotto"</p><p>"Mamma: sai cosa faccio io, quando posso andare in bagno per la pipì? Scappo in fondo al corridoio e vado a spiare la preside!!!"</p><p>"Scusa, Enea, ma questa preside che vai a spiare, che mette i cerotti, che gira per la scuola essendo presente ogni volta che c'è bisogno di lei... esattamente, dov'è che sta?"</p><p>"Nell'atrio d'ingresso, mamma, seduta su una sedia!"</p><p>"Ah. Per caso è sempre vestita uguale?"</p><p>"Sì!!! Come fai a saperlo?" <br /></p><p>"Enea. Quella non è la preside. E' la bidella"</p><p>Creatura mitologica, mezza umana mezza draghessa, dotata del potere
sconfinato di cambiare le vite dei bambini che vi si imbattono: la bidella.<br /></p><p><br /></p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-58470198346421223242020-10-07T12:24:00.004+02:002020-10-07T12:25:54.688+02:00Il gerundio di crescere<p>Volevo farti gli auguri, volevo dire un sacco di cose, ma non mi venivano le parole, perchè raccontare cos'è un bambino-ragazzo di undici anni è una cosa difficilissima, e in certi casi forse bisogna solo arrendersi, stare, e accettare la superiorità della vita sulla possibilità di descriverla. Cerco le parole per dire i capelli lunghi incasinati bellissimi. Gli occhi trasparenti con dentro molte più cose di quelle che hanno visto, gli occhi blu che però "me li hai fatti grigi da schifo". Le mani troppo grandi, che sembrano di pasta frolla, ma che all'improvviso s'innervano e parano palloni, suonano chitarre, disegnano draghi. La voce sottile, chissà per quanto ancora, vorrei il più possibile, la voce che parla poco, che si alza a scatti arrabbiata, che chiama tuo fratello ingombrante inseparabile amatissimo odiato, la voce che mi chiama "mother" pronunciato com'è scritto, ma a volte ancora "mamma", perchè a undici anni quello che si fa è stare in bilico scivolando ora da un lato ora dall'altro. Le gambe lunghissime, i piedi infiniti che promettono vette, la schiena che ha già quell'intenzione, è chiaro, diventare larga, occupare spazio. A undici anni quello che si fa è diventare: cerco le parole, e mi vengono in mente quelle della tua maestra - che non lo è più e quindi lo è per sempre -, che il tuo nome è un gerundio, e questo sì che forse sa raccontare qualcosa di quello che sei, suonando, giocando, disegnando, parando, Orlando. "Se avessi desiderato un figlio definito e strutturato" mi diceva quando mi lamentavo dei tuoi (presunti) difetti "avresti dovuto chiamarlo Orlato! Invece tuo figlio è un <span class="il">gerundio, </span>e tu, da classicista che sei, dovresti conoscere la funzione straordinaria del <span class="il">gerundio,</span> che sottolinea il processo dell'azione necessaria più che del risultato". Ai tuoi gerundi, al gerundio che sei, ne aggiungo un paio. Cercando, perchè le parole bisogna cercarle sempre, anche quando sembra che non ci siano, e a volte se non troviamo le nostre troviamo quelle di altri dette apposta per noi. Crescendo, perchè questo è quello che succede quando si accetta di stare insieme nei giorni e vedere cosa succede, cosa si diventa, quanto si cambia e quanto no, dove si va. E mentre ti guardo svegliarti presto e infilare la porta di casa con millemila libri e cartellette e dubbi e cose in testa, resto lì, pensando. E sognando, ignorando, avendo paura, scrivendo. </p><p>Auguri, Orlando, è un privilegio stare nei tuoi gerundi, anche e soprattutto oggi e qui, nell'attimo prima che finisca l'infanzia. <br /></p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-16959809150948514972020-09-13T22:39:00.003+02:002020-09-14T21:14:25.620+02:00La mamma di Paolo<p> La mamma di Paolo, come tutte le altre mamme durante la quarantena, ha supportato il figlio nell'assenza della scuola. Gli ha letto libri, ha controllato che seguisse le lezioni della didattica a distanza, ha ripetuto gli antichi Romani, ha corretto verbi. Il tutto mentre svolgeva numerose altre mansioni, tra cui quella di procacciare il cibo per tutta la famiglia - livello di stress probabilmente superiore a quello dei cavernicoli a caccia di cinghiali - ma questa è un'altra storia. La mamma di Paolo ha visto, in quelle settimane ai confini della realtà, il figlio quasi undicenne trasformarsi: la combo lockdown/preadolescenza le ha restituito un ibrido umano-urside, una specie vivente particolarmente attaccata al letto e/o al divano, dedita alla contemplazione del soffitto e/o del nulla cosmico, dotata di appetito perenne, tendenzialmente insonne e scontrosa. La mamma di Paolo, come tutte le altre mamme durante la quarantena, sognava la riapertura della scuola. L'ha sognata a marzo, quando sembrava impossibile, e poi ad aprile e maggio, quando in qualche posto del mondo succedeva davvero, l'ha sognata anche a giugno mentre i pomeriggi scorrevano liberi ma vuoti ai bordi di un campetto di basket, e ancora durante le vacanze, che sembravano strane e ingiustificate. La mamma di Paolo, per tutta l'estate ha consultato quasi quotidianamente il sito della scuola - una scuola ignota perchè Paolo andrà in prima media - facendo <i>refresh</i> compulsivo sulla sezione "news" per sapere se e quando e come sarebbe cominciata. Nei giorni scorsi i sogni della mamma di Paolo hanno avuto grandi incoraggiamenti, e lei - che non è più avvezza a incastrare orari e scadenze e commissioni di vario genere - ha iniziato a fare un sacco di confusione: infatti Paolo ha un fratellino (con cui ha passato gli ultimi sei mesi a darsele di santa ragione) che andrà in prima elementare, in un altro istituto e in un'altra zona, ma entrambi in 1A. </p><p>Domani, 14 settembre dell'anno 2020, Paolo e suo fratello iniziano le loro rispettive scuole, e stasera sembravano tutti molto tranquilli, quasi disinteressati, mentre la mamma preparava zaini con dentro patti firmati di corresponsabilità, mascherine chirurgiche, materiali non scambiabili e tutto un corredo di aspettative che pochi genitori hanno avuto nella storia della scuola (tipo: speriamo che duri almeno fino a ottobre). <br /></p><p>Paolo sembrava finalmente sereno: nei giorni scorsi è stato a un campus multisport sotto casa ed è tornato a uno stato di socializzazione più umano che ferino, recuperando alcune delle sue caratteristiche originarie.</p><p><i>Lunedì 7 settembre, ore 17.34</i></p><p>Punto di ritiro del campus multisport.</p><p>- Buongiorno! Sono la mamma di Orlando.</p><p>- Orlando?</p><p>- Sì</p><p>(l'educatrice guarda la collega con aria interrogativa)</p><p>- Ma è sicura che fosse qui, signora?</p><p>- Mah, ultimamente sono piuttosto rincoglionita ma sono sicura, sì.</p><p>(scoppio di risa dalle retrovie: un gruppo di ragazzini si dà di gomito e ride)</p><p>- E' lui, quello lì biondo, in mezzo a quelli che ridono!</p><p>- Ma chi, Paolo?</p><p>(altre risate)</p><p>- Ma come, quello è mio figlio, si chiama Orlando.</p><p>La mamma di Paolo è stata molto felice di vedere il figlio ridere, circondato da amici che ridevano. Invece la mamma di Orlando, che per un giorno ha fatto credere a tutti di chiamarsi Paolo, è stata molto sollevata nel constatare che la pandemia ha cambiato molte cose ma non tutte, e che l'attitudine alla pirloneria del figlio è rimasta inalterata.</p><p><i>(più tardi, quel giorno)</i> <br /></p><p>- Ma perchè hai detto che ti chiamavi Paolo?</p><p>- Boh, era divertente. E poi io a volte mi sento anche un po' Paolo.</p><p>Domani è il primo giorno di scuola media. Speriamo che all'appello risponda Orlando e che Paolo, col suo carico di irrefrenabile simpatia, resti dentro lo zaino, a muto supporto. In ogni caso, buon inizio a entrambi voi, ragazzi. Buon inizio e una stretta d'incoraggiamento a tutti. </p><p>(anche alla mamma di Paolo)<br /></p><p><br /></p>Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-43229042411800552162020-06-05T09:07:00.000+02:002020-06-05T10:35:31.612+02:00Il diritto di piangere<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
E così ci siamo, là dove il futuro diventa passato e il presente ti è sfuggito via come un pesce d'argento. Un pesce lungo 5 anni, uno splendido marlin che abbiamo seguito in lungo e in largo, non per una caccia ma per il fascino del viaggio. E così è l'ultimo giorno della scuola elementare, e stavolta non lo so davvero se le parole sono abbastanza per dire tutto. Sarebbe stato già difficile di per sè, figurati con una pandemia che ha interrotto la scuola a metà anno, lasciandoci in un limbo digitale in cui si sono fatte molte cose ma dove non si può fare l'unica che forse aveva un valore, ovvero compiere il rito di passaggio: stare insieme per l'ultima volta, essere classe per una volta ancora e poi più, trovarsi nel cortile della scuola dove "remigino" hai ricevuto un quaderno e una sacchetta dai grandoni di turno, cantare, correre alla rinfusa, piangere. Forse rivendico questo, il diritto di piangere. Di guardare incarnato il tempo, i suoi danni e le sue meraviglie, di restare stordita di fronte al "potente spettacolo che continua", citando lo zio Walt. Non è solo un fatto di altezza, un fatto oggettivamente impressionante visto che sei entrato che eri un metro e una banana e ne esci alto come la tua maestra. E' sapere cosa ci sta nel mezzo, tra il prima e il dopo, di cosa è fatto ogni centimetro acquisito, ogni parola in più, ogni competenza. Non esiste dizionario che sappia spiegarlo. Siamo stati molto fortunati, ragazzino. Non capita a tutti di avere due maestre speciali che ti accompagnano per cinque anni cinque senza soste, presenti anche nella distanza. Soprattutto in una scuola che sembra perdere pezzi e importanza, troppo spesso sacrificata sugli altari vuoti della politica (e di una poco lungimirante economia). Quando vi ho chiesto cosa avete imparato in questi anni la risposta è stata unanime, ed eravate pure straniti nel dirlo: "a stare insieme", e cos'altro bisognerebbe imparare, a scuola, se non a essere comunità, a diventare società? Non serve un libro ma maestri capaci, per fare l'educazione civica. Che viene forse da sè quando ci si prende cura dell'essere umano, gli si sta accanto mentre cresce e impara - non fatemi tirare in ballo l'etimologia latina del verbo <i>educare </i>perchè non serve, è persino più semplice. Con delicatezza e con forza, che le due cose non si escludono ma si sostengono. Con l'interesse sincero di sapere chi hai di fronte, e dargli una chiave in più per diventare se stesso. Non capita a tutti una scuola grande e verde, con un cuore che batte in molti posti: nei gradoni del suo anfiteatro, nel linoleum della palestra, tra le zucchine dell'orto di nonno Carlo, dentro le aule popolate di colore e carta e disordini vari, nel cortile con l'asfalto increspato dai molti arrivi e dalle troppe partenze. Quando siete felici fateci caso, ha detto qualcuno, e non possiamo dire di non averlo fatto: siamo stati felici e ci abbiamo fatto caso.<br />
E ora, ora è giugno ed è finita senza esserlo: dopo tre mesi quasi quattro di didattica a distanza, dove mancano i corpi, la <i>conditio sine qua non</i> per imparare quello stare insieme che dicevamo, ci salutiamo in una videochiamata di classe su meet. Non ci sono remigini a cui passare il testimone, non ci sono i canti e il sole a picco nel cortile, le corse a giocare ignare del concetto di ultima volta, la recita di fine anno, la musica a sottolineare. Non ci sono le lacrime che ci dovevano essere, perchè ogni fine ha il suo tributo di tristezza, soprattutto quando è approdo di una traversata felice, e ogni lutto richiede di essere elaborato. Piango doppio, ragazzino, per quello che lasciamo e perchè non abbiamo avuto modo di celebrarlo a dovere. Guardo le foto, spulcio i quaderni, trovo una pagina più eloquente di me. Viene da un quaderno di terza, in alto è riportata in tratto-pen azzurro una poesia di Anne Sexton: "Uova e parole / vanno maneggiate con cura / una volta rotte / non si possono / riparare". Commento tuo: "Questa frase mi è piaciuta molto perchè è molto vera. Non solo le uova si possono rompere, le parole usate male possono infrangere o ferire i cuori degli altri". Ed è proprio così, anche le parole sono corpi, e bisogna impararne la fisicità, bisogna sentirle dire e collidere fra loro, nascono dai corpi, ne sono inseparabili. E così è l'ultimo giorno della scuola elementare, e stavolta non lo so davvero se le parole sono abbastanza per dire tutto. Gli sarebbe servita una voce rotta che le dice, delle orecchie per ascoltarle tra il vocìo di altre cose, delle spalle che s'incurvano a schermirsi, un petto che trema, gli occhi e qualche lacrima. Il diritto di piangere.<br />
Tu ridi, alto e capellone, non riesci davvero a capire cosa significa questo ultimo giorno. O forse lo sai meglio di me, e il tuo pensiero è già là, dove il futuro diventa presente. In un'altra scuola, un'altra aula, con altri corpi, altre parole. So che hai imparato a maneggiarle con cura, che sei attrezzato per un nuovo viaggio.<br />
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(con tanta gratitudine, e molto piangere, a Gabriella e Laura)<br />
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Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-59120850923168484742020-05-04T20:53:00.003+02:002020-05-04T21:08:19.991+02:00Figurati <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Era il tuo sesto compleanno, e abbiamo festeggiato coi pochi soliti buoni amici, ma già da qualche giorno l'atmosfera era strana, per le strade, nelle case, in rete. Il giorno dopo hanno chiuso le scuole, e con gli amici ci ridevamo su, <i>pensa se restassero chiuse anche settimana prossima!</i>, <i>t'immagini</i>, <i>figurati</i>, <i>non ci voglio neanche pensare</i>. Se a gennaio mi avessero detto che di lì a poco sarei rimasta serrata in casa 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con l'intera famiglia al completo, sarei scoppiata in una risata isterica o sul mio viso sarebbe comparsa un'espressione alla <span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">"What you talking about, Willis<b>"</b>. Mi sembrava già faticoso quando capitavano un sabato o una domenica di gestione solitaria. <i> </i></span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd"><i>Figurati</i>.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">E ora lo è, "figurato". Ora nei miei occhi ci sono immagini che prima non erano pensate, pensabili.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Ci siamo noi nel cortiletto di cemento sotto casa, io che faccio bolle di sapone con un attrezzo oblungo e fluo, voi che giocate a scoppiarle con le spade laser. Per ore. Lunghe ore strane e deserte.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Ci siamo noi nella cucina minuscola che impastiamo le pitas, friggiamo le mele, stendiamo la pizza, decoriamo la crostata, sforniamo i biscotti, spennelliamo d'uovo i panini da cuocere, cuciniamo al ritmo che avrebbe una trattoria aperta sempre pranzo e cena. </span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Ci siamo noi che passiamo l'aspirapolvere, e poi lo straccio, e poi l'aspirapolvere, perchè siamo sempre in casa e il pavimento è sempre sporco. Ci sono le nostre briciole, le righe di pennarello, le calze spaiate scomparse negli angoli, i fogli un po' scritti un po' no, i libri aperti chiusi, l'esercito dei cloni Lego, i soldatini di plastica che vorrebbero essere di piombo e invece ognuno è quello che è, e noi vorremmo essere ordinati ma non lo siamo, vorremmo essere leggeri ma pesiamo troppo.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Ci siamo noi (sempre noi) che rileggiamo ennemila volte tutti i libri della nostra biblioteca, e registriamo videoletture per gli amici, ma poi un giorno smettiamo di registrare, perchè anche delle cose belle ci si stufa. Ci sono io che ordino nuovi (troppi) libri, tu che ascolti le favole lette da altri, tuo fratello che disegna, tuo padre che gli spiega le guerre persiane.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Ci sono stanze troppo piccole per contenerci tutti, per contenere le videolezioni, le call infinite snervanti, le ansie, i corpi troppo fermi, l'illusione degli aperitivi a distanza con gli amici.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Ci sono io che salgo e scendo le scale per 30 piani, la nostra gatta che sogna di essere sola in casa, tu che resti muto in videochiamata con i compagni di classe, la classe che mai più tornerà perchè a settembre vai in prima elementare, e qualcuno si permette pure di dire che forse no. </span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">C'è tuo fratello che imbraccia la chitarra svogliato, il suo maestro non gli fa lezione online perchè è un po' all'antica, e lui a quelle corde mute ci resta appeso. </span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Noi che guardiamo un film degli anni Ottanta, voi che con un vecchio skatebord fingete di essere su una barca e pescate pesci bottiglia.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Io che leggo e fotografo poesie, poi leggo articoli e li condivido, poi leggo articoli e li abbandono, i miei occhi che scorrono numeri, i miei occhi pieni di immagini che non erano pensate, pensabili.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Abbiamo avuto in casa il virus, ma non la sua paura. </span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Abbiamo rispettato le regole, soprattutto quelle non scritte.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Dal tuo sesto compleanno sono passati due mesi. Ora abbiamo molte cose che non avevamo, negli occhi. E qualcuna nel cuore, che sta un po' scomoda e ne sentiamo le fitte.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Tu parli in continuazione, come chi vorrebbe dire qualcosa d'importante ma non ci riesce e ci gira intorno senza sosta, cercando il modo. Tuo fratello non dorme più, e questa notte mi ha detto con voce sottile "voglio tornare a scuola". Di analisi e discorsi filosofici, antropologici, sociologici, statistici, ne ho lette e sentiti troppi.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Il fatto è, mi dico, che quando leggi una storia (o la guardi o la ascolti) non ti chiedi mai perchè stia andando in quel modo. La segui e basta, fino alla fine e oltre.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">Noi siamo in una storia, la nostra, mia e tua e sua, e loro. Non possiamo che seguirla, e magari - questo sì - sognare che vada nella direzione in cui vorremmo andasse.</span></span><br />
<span class="ILfuVd"><span class="e24Kjd">E ricordarci che i sogni, quelli collettivi ancor più che quelli solitari, sono cose molto potenti. </span></span></div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-492189805982460012019-12-10T11:07:00.002+01:002019-12-10T15:16:09.059+01:00Come funziona questa cosa<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
“Ho capito, mamma, come funziona questa cosa della morte: prima diventi uno zombie, poi uno scheletro nella tomba e alla fine un fantasma”<br />
“Ah. E finisce così? Resti un fantasma per sempre?”<br />
“No, poi rinasci e puoi diventare un animale o un mezzo di trasporto”<br />
<br />
Et voilà, il sincretismo: un po’ di ateismo, un po’ di buddhismo, meccanicismo quanto basta, un tocco di cattolicesimo e naturalmente il dio cinema che ci ha salvato tutti, prima o poi. Ognuno davanti alla morte reagisce a modo suo, si sa, e fino ad oggi non abbiamo avuto bisogno di chiederci quale fosse il tuo. <br />
Poi è successo che la nonna è mancata. Volata in cielo, o forse divenuta un fantasma o un tram arancione: razionalizzi, perché questo è il tuo talento e anche il modo con cui eviti il dolore, lo rendi tollerabile, mentre tuo fratello piange, e lo fa come dev’essere fatto, come al tempo dei greci, intonando un <i>thrênos</i>, un pianto rituale, lasciando che il corpo mostri tutto, tutto il soffrire.<br />
Che c'è un tempo, nel tempo, è un concetto difficile da capire. Finché siamo vivi, esiste di fatto solo il presente. Ma dentro il presente molti tempi battagliano fra loro. Il tempo in cui aspettiamo un treno in stazione, quello in cui scriviamo la letterina a Babbo Natale, il tempo in cui t’infili i calzettoni per tentare un canestro che non arriva, il futuro di una cena domani, il passato di una telefonata mancata ieri che non smette di farti male oggi. Finché siamo vivi, e la nonna non lo è più, è solo un giro di orologio, attesa dell'alba per l'insonne.<br />
Di tempo con lei ne abbiamo diviso parecchio, soprattutto tu, l’ultimo, il più piccolo, il più logorroico, il preferito, l’ultimo spazio integro dentro una vita che l’aveva delusa un po' troppo. Questo tempo è finito, e tu razionalizzi, perché chiederti come si fa a vivere senza una persona che ami è troppo spaventevole, come si fa all’uscita di scuola a vedere le nonne degli altri sapendo che la tua non può arrivare, come si fa a vivere senza la pasta al formaggio fuso che solo lei te la faceva a perfezione, come si fa a non essere più il preferito di nessuno. <br />
In questi ultimi mesi ho cercato di darti degli strumenti, perché risposte non ne ho neanche io che di esperienza in questo campo ne ho parecchia. Ma abbiamo letto libri meravigliosi, di una volpe che si addormenta circondata dagli amici del bosco, di una regina che intraprende un lungo viaggio e non ha paura di incontrare il mostro. Abbiamo cercato delle immagini che potessero tenerci compagnia quando le parole sarebbero mancate. E abbiamo visto, abbiamo visto tutto, perché ci sono cose a cui bisogna dare l'esatto nome: l’assenza (via via più grande), la fatica di camminare, il corpo dimagrito, le garze, i fili, le medicine. L’abbiamo guardata negli occhi finché abbiamo potuto farlo, senza nascondere nulla, “perché è diverso essere liberi di camminare verso il futuro, anche se con cicatrici e ferite, piuttosto che non riuscire a muoversi per paura di non farcela a sopravvivere”(*).<br />
<br />
Perché è così che funziona: anche se ti sembra incredibile, si sopravvive, e bisogna farlo sapendo quanto ogni tempo è prezioso, anche quello noioso in cui devi allacciarti le scarpe da solo, e non ne hai voglia. <br />
E poi ricordati, quando un gatto ti si accosta e miagola, o passa sferragliando un tram arancione, che i ricordi sono ovunque vogliamo metterli, e che il modo in cui guardiamo le cose fa sempre la differenza. <br />
E’ così che alcune persone restano, e non vanno mai via.<br />
<br />
<br />
(*) cit. Alba Marcoli </div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-39786037378167151722017-10-20T16:32:00.000+02:002017-10-20T16:32:13.490+02:00Otto<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Anche se ultimamente ci scrivo di rado, sul blog non sono mai mancati gli auguri per il tuo compleanno: forse l'unica cosa in cui non ho mai sbagliato le tempistiche, il buon compleanno è sempre arrivato puntuale. Quest'anno dice che ero troppo impegnata: prima un <i>pigiama party</i> di ottenni che ha trasformato il soggiorno in un campo da calcio, poi un <i>brunch party</i> al parco in una domenica d'ottobre mascherata da luglio inoltrato, infine un festeggiamento casalingo con quelle candeline che si riaccendono all'infinito.<br />
Praticamente come quei matrimoni marocchini che durano sette giorni e si va avanti a oltranza: non so se ho più sfornato muffin o impilato tramezzini, so solo che non ho avuto il tempo materiale di scrivere due righe qui. Lo faccio oggi, dopo una settimana in cui sei via a "scuola natura", per la tua prima esperienza lontano da casa, così posso anche dirti: torna presto!<br />
Perchè tuo fratello, che da una settimana dorme nel tuo letto, non è felice come quando ci sei tu.<br />
Perchè tuo padre la mattina, non dovendoti accompagnare a scuola, poltrisce senza ritegno e questo non mi sembra giusto (!!!!).<br />
Perchè i pomeriggi saranno anche logisticamente meno complicati, ma la mia bicicletta mi sembra così triste senza le tue lunghissime gambe appollaiate lì dietro.<br />
Perchè quando apparecchio per cena, la geometria sentimentale del nostro tavolo quadrato non mi torna.<br />
Perchè a casa di Orlando, se non c'è Orlando, manca qualcosa.<br />
E anche se sono davvero tanto felice per la tua fuga piena di esperienze nuove e divertimento, questa piccola incursione in un futuro in cui vivi una vita parallela che mi comprende in piccolissima parte mi ha terrorizzata a morte. Sarà che ultimamente l'argomento tempo rientra tra i miei demoni quotidiani. Ma insomma, ecco, non sono pronta.<br />
Torna. Torna, e stiamo un po' qui seduti, sul divano di casa, mentre ti faccio domande a cui rispondi a spizzichi, mentre sei perso in chissà quali mondi. Mentre tuo fratello ti saltella intorno e ti infastidisce, mentre pizzichi le corde della chitarra e pensi a quale giocatore ti manca per completare la tua raccolta di figurine.<br />
E auguri, anche se era due settimane fa.<br />
Che il tempo corre velocissimo, ma non dobbiamo avere paura di stargli alle calcagna.<br />
<br />
<br />
<br /></div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-61319128574481399062017-09-01T14:06:00.003+02:002017-09-01T14:06:33.363+02:00Filastrocca del primo settembre<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="MsoNormal">
DUE MAMME, TRE PAPA’</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
C’era una volta un “c’era una volta”:</div>
<div class="MsoNormal">
cominciava una fiaba balzana</div>
<div class="MsoNormal">
che era nata piuttosto giovane</div>
<div class="MsoNormal">
ma voleva essere anziana.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Dentro c’era (una volta, e per sempre)</div>
<div class="MsoNormal">
un bambino dal naso un po’ buffo</div>
<div class="MsoNormal">
lo guardavi negli occhi profondi</div>
<div class="MsoNormal">
nei sorrisi potevi farci un tuffo</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Un mattino che il sole non c’era</div>
<div class="MsoNormal">
fece “Mamma, vorrei dirtene una”<span> </span></div>
<div class="MsoNormal">
e tirò la gonnella leggera</div>
<div class="MsoNormal">
attirò quel volto di luna</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
“Sei la mamma più bella, confesso</div>
<div class="MsoNormal">
ma ne vorrei un’altra lo stesso</div>
<div class="MsoNormal">
e poi anche, se non ti dispiace,</div>
<div class="MsoNormal">
tre papà, dall’ampio torace”</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Quella mamma interruppe la zuppa</div>
<div class="MsoNormal">
lasciò il fuoco, il mestolo dentro</div>
<div class="MsoNormal">
mani ai fianchi come un capotruppa</div>
<div class="MsoNormal">
come cuore colpito nel centro.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
“Ah, ti serve una madre di scorta?</div>
<div class="MsoNormal">
E di padri ne vorresti tre…</div>
<div class="MsoNormal">
spiega un po’!” facendosi accorta,</div>
<div class="MsoNormal">
chiese al bimbo davanti a sé.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
“Una mamma in più può servire</div>
<div class="MsoNormal">
quando il sole al mattino si alza</div>
<div class="MsoNormal">
ad alzarsi per farti dormire</div>
<div class="MsoNormal">
a giocare quando il sonno incalza”</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
“E perché tre papà?” chiese lei</div>
<div class="MsoNormal">
che già sorrideva al bambino</div>
<div class="MsoNormal">
(e prendeva anche questo momento</div>
<div class="MsoNormal">
ne faceva un ricordo piccino)</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
“Se dobbiamo giocare a pallone</div>
<div class="MsoNormal">
<span> </span>di squadre me ne
servono due</div>
<div class="MsoNormal">
e se arriva un’ammonizione</div>
<div class="MsoNormal">
farò goal con che gambe, le tue?</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Un portiere e un centrocampista</div>
<div class="MsoNormal">
fanno due e con me sono tre</div>
<div class="MsoNormal">
poi un quarto, del calcio un artista</div>
<div class="MsoNormal">
e la partita si fa da sé”</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Una mano si stacca dal fianco</div>
<div class="MsoNormal">
copre al volo una storta risata</div>
<div class="MsoNormal">
c’era una volta (e sta ancora ridendo)</div>
<div class="MsoNormal">
una mamma assai fortunata.</div>
</div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-23938131444510964532017-07-26T11:56:00.001+02:002017-07-26T14:25:53.626+02:00Gelosia canaglia<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre, il buon vecchio William la definiva così. E ultimamente sembra aver affittato una stanza a casa nostra. Nata insieme a tuo fratello, quasi a corredo, è rimasta a lungo silente, un'ombra, un sospetto, un momento.<br />
Ora ha preso possesso dei tuoi gesti e delle tue parole: preferisci lui a me, questo è il <i>refrain</i> di ogni giornata, e se per un po' mi son detta che è normale, tra fratelli, la gelosia, adesso comincio ad avvertirne l'ingombro.<br />
E' vero, tuo fratello è il mio preferito. E' facile preferirlo: è ancora un cucciolo, non sbaglia un congiuntivo, è autonomo, ama i libri, ama nuotare, colora dentro i bordi, è capace di entusiasmo per le piccole cose, canta a qualunque ora del giorno con voce baritonale e mimica da attore consumato, non ultimo è esteticamente identico a me. E' capriccioso, vero, ma ha 3 anni e mezzo e ci si passa sopra.<br />
Tu, che non sei mai stato capriccioso e che sei un clone di tuo padre (però più bello), sei tutt'altro che facile: hai certe asperità che - all'alba dei 40 lo so con certezza - niente potrà smussare, parli poco e spesso non rispondi a domande ripetute, non spieghi, sei vittima di attacchi di rabbia difficili da contenere. Sei permaloso, cocciuto, poco propenso alla lettura, pigro e trasandato. Vivi per aria, in mondi a noi inaccessibili, e spesso ti troviamo sdraiato per terra, perso in chissà che universi.<br />
Sei definitivamente, tragicamente, inspiegabilmente uguale a me, nel carattere, nei difetti, nella lentezza e in un sacco di altre cose per cui mi riesce difficile preferirti, perchè preferire se stessi è sempre difficile, soprattutto per quelli come noi che si sottopongono a perenne autocritica. Che io, all'alba dei 40, ancora non mi sono accettata del tutto e la lotta è costante. <br />
Non posso preferirti, è vero, ma posso amarti, amarti in maniera sbilenca e passionale, amarti catullianamente, proprio come amo me stessa, a giorni alterni, d'amore puro e inclassificabile, quello che non conosce compromessi e se li conosce li schifa. E lo so, me ne accorgo, che nei miei occhi, guardacaso verdi, vedi ondeggiare quel mostro, e la gelosia ti afferra.<br />
Cosa sarà meglio, essere preferito o essere amato pazzamente? In ogni caso, preferire è facile, amare no. Perciò ti chiedo scusa in anticipo, Bruco, della gelosia che involotariamente ti provoco: e sappi che quando sbrocco perchè stai sdraiato sul pavimento invece di "fare qualcosa di utile", in realtà sto sbroccando con me stessa, io che passo le giornate a fare cose utili ma ho una voce dentro che mi dice "sdraiati, sdraiati sul pavimento e resta, resta e sogna".<br />
Com'era? Siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni... e nello spazio e nel tempo di un sogno...<br />
<br />
<br />
</div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-39190030078921800182017-02-26T08:26:00.000+01:002017-02-26T08:26:08.154+01:00Tre<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Quando sei nato mi sono detta: "Devo resistere tre anni. A tre anni c'è la svolta".<br />
Come se tre anni fossero qualcosa che puoi ponderare, a cui puoi dare dei confini fisici, qualcosa che puoi dominare.<br />
Ma col tempo si sa, e coi figli - che sono una delle più perfette emanazioni del tempo - anche, è tutta una questione di percezioni. Giornate di febbre che sembrano interminabili, mattine in cui ti alzi e li guardi e ti dici che no, <i>non può essere vero che tu sia già così grande</i> (questi sono i momenti "vecchia zia in occasione di festività o celebrazioni", non dobbiamo vergognarcene, prima o poi siamo tutti vecchie zie).<br />
Insomma ci siamo, Né: oggi sono tre anni, di compressioni e storpiamenti del tuo nome (sei stato Neni, Nessi, Enesito, Ene e chissà cos'altro), tre anni di compressioni e calci in un letto che sarebbe piccolo anche in <i>king size</i>, tre anni di incazzature e stupori per il tuo carattere e le tue doti, sorprendenti in positivo come in negativo.<br />
Certo, ormai sei grande. Vai in bagno da solo e pretendi che la porta venga chiusa. Pretendi anche di pulirti da solo, e ti giuro che lo apprezzo tantissimo, ma forse meglio rimandare a quando avrai capito la meccanica e la fisica del rotolo di carta igienica. Che qui scopriamo altri pianeti, ma in qualche modo dobbiamo sempre passare da lì, per crescere: imparare ad autoaccudirci.<br />
Ormai sei grande, parli come tuo padre, meglio di tuo padre, e soprattutto più di tuo padre, e questo va quasi oltre le leggi della natura, perchè non è davvero possibile che un essere così piccolo parli così tanto e così a lungo, e con così tanti argomenti, senza che la voce perlomeno gli si abbassi.<br />
Persino la tua maestra ogni tanto ti implora "Enea, ti prego, stai zitto". Ma tu hai proprio l'urgenza autobiografica, si capisce.<br />
Ormai sei grande, vuoi fare i compiti come tuo fratello, scrivere come tuo fratello (peccato che lui scriva sui quaderni e tu abbia reso il nostro divano la brutta copia di un quadro di Keith Haring), vuoi andare in piscina come tuo fratello, vestirti come tuo fratello, giocare a calcio come tuo fratello (e invece tuo padre sta inspiegabilmente per regalarti un canestro da muro). Forse vuoi essere come tuo fratello conscio del fatto che nulla ti è andato come a lui, il primo figlio, l'incredibilmente bello, il simpatico, il dolcissimo, quello che ha avuto tutto, dai corsi di musica a quelli di acquaticità passando attraverso i laboratori di cucina vegana, i workshop su Munari e gli spettacoli d'opera per bambini alla Scala. No, tu sei il secondo. Un po' brutto anatroccolo, un po' meno simpatico, parecchio più rude. Per te niente corsi nè teatri, solo dei grandi abbonamenti all'amoxicillina e al doposcuola. <br />
Ormai sei (quasi) grande.<br />
E' che poi scende la notte, leggiamo un libro, ti rimbocco le coperte, e quando torno a spegnere la luce un paio d'ore dopo... ti trovo nel letto di tuo fratello, accozzato, a voler rimarcare che, sì, siete diversi, ma respirate dello stesso respiro.<br />
Perchè sei grande, ma hai dei residui di piccolinità - mi perdoni il neologismo osceno l'Accademia della Crusca, ma l'amore conosce parole che la linguistica non conosce.<br />
E allora nel buio ti catapulti nei nostri letti, in quello del Bruco o di mamma e papà, perchè l'assenza di luce ti fa paura e - sospetto io - anche tutto quel silenzio, l'assenza di parole.<br />
Strisci al nostro fianco e cerchi il ciuccio, ultimo residuo della prima infanzia, ti ci aggrappi perchè, me l'hai anche detto, forse non vuoi davvero diventare grande.<br />
Sei troppo intelligente per non capire che diventare grandi è bello, sì, ma anche una fatica immonda, il preludio al sopraggiungere di rotture di cazzo a valanga.<br />
E dall'alto di queste valanghe di cui modestamente sono piuttosto esperta, Enea, voglio dirti questo: i brutti anatroccoli sono dei gran fighi anche prima di diventare dei cigni. Anche se sono logorroici, anche se hanno paura del buio e anche se la gente non ha ancora imparato ad apprezzarli.<br />
<br />
"Enea, da cosa vuoi vestirti a carnevale?"<br />
"Da gelato"<br />
"Da gelato?!? Ma perchè?"<br />
"Perchè così tutti mi leccano"<br />
<br />
Diciamocelo: a uno come te non servono mica, i laboratori per stimolare la creatività.<br />
Tanti auguri, bambino mio quasi grande. <br />
<br /></div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-50417597574180652192017-02-02T11:29:00.001+01:002017-02-02T11:29:21.179+01:00Clic<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
E' solo che a volte la vita è più veloce del nostro raccontarla.<br />
Capita di avere quasi quarant'anni e svegliarsi una mattina e chiedersi cosa si farà da grandi.<br />
Scoprire che a vent'anni si avevano le idee molto più chiare.<br />
Sì perchè io penso che questa storia che quando si è giovani si hanno le idee confuse sia un po' una stronzata. Quando si è giovani è tutto limpido, mi azzardo a dire "scintillante".<br />
Comunque.<br />
Io e il Bruco torniamo sempre a casa da scuola a cavallo della nostra bici, sotto l'acquetta e avvolti ben bene dall'inverno, e quello è il suo spazio di racconto, mentre io cerco di restare in bilico sulle ruote spesso sgonfie.<br />
Qualche giorno fa mi parlava dell'universo.<br />
Ha posto la fatidica domanda "da dove viene il mondo?", e io gli ho spiegato del Big Bang e tutto il resto, gli ho anche accennato alla teoria della creazione da parte di Dio, giusto per via delle pari opportunità, anche se lui poi ha detto che vuole fare lo scienziato e quindi siamo tornati alle stelle.<br />
"Quindi nell'universo quante cose ci sono, madre?" (<i>ha cominciato a chiamarmi "madre", temo sia un prodromo di adolescenza</i>)<br />
"Un sacco, Bruco. Le galassie, i pianeti, i buchi neri..."<br />
"Ah, sì, ho letto qualcosa! I buchi neri sono stelle morte vero, madre?"<br />
"No, Bruco, qui l'unica stella morta sono io se continuo a pedalare su questa carretta con sopra te, me, il tuo zaino, la mia borsa e tutte le nostre domande!"<br />
La bici ha sbandato e lui ha riso.<br />
Quel riso cristallino di quando hai le idee chiare, non so se mi spiego.<br />
<br />
<i>Ieri pomeriggio, a cavallo della solita bici, ore 17.10.</i><br />
<br />
"Oggi abbiamo fatto un compito bellissimo, madre"<br />
"Raccontamelo"<br />
"Il titolo era: cosa disegnerei se avessi una matita magica"<br />
"E tu cosa hai scritto?"<br />
"Se avessi una matita magica, disegnerei per mia madre una vita a Paris"<br />
<br />
Ho sentito un <i>clic</i>, da qualche parte. E' la bici, mi sono detta.<br />
Ma no, era dentro di me. Qualcosa ha fatto <i>clic</i>.<br />
Lui ha le idee chiare. Per se stesso, e anche per me.<br />
<br />
La bici deve continuare ad andare, ma non deve mai essere troppo veloce da non poterci raccontare sopra delle storie, nel frattempo. Chiaro, no? Mi azzardo a dire "scintillante".<br />
<br />
Ps: ha scritto Paris, invece che Parigi. Doppio, triplo <i>clic</i>.</div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-72928916669820064862016-12-20T15:41:00.002+01:002016-12-21T15:18:49.879+01:00Il calcio (non) è uno sport da stupidi<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
A volte piove, di quella pioggia che non è violenta ma insiste ore e rende l'erba così bagnata che pensi non asciugherà mai più. A volte, d'inverno, c'è un sole anemico che non scalda niente ma mette di buonumore, e però fa freddo, così freddo che dopo un po' fai fatica a piegare le dita delle mani, e quelle dei piedi forse non ce le hai più.<br />
Qualunque tipo di giorno sia, se è giorno di allenamento si va in campo. Orlando esce da scuola con quelle sue gambe lunghe e dinoccolate, e trotta verso gli spogliatoi con la borsa che è più grande di lui. E' lento, ci mette un sacco: s'infila la termica, le calze arancioni che gli arrivano alle ginocchia, i parastinchi no "perchè neanche papà li porta, mamma". Poi, quando non li dimentica, afferra i guantoni da portiere, e va, insieme agli altri. A giocare, su un campo, al gioco del calcio.<br />
Da tre anni, ormai. Con lui, insieme agli altri bambini, un piccolo gruppo di giovani allenatori che studiano all'università, scienze motorie o altro, pagati due lire, ma si vede che non sono lì per i soldi.<br />
Due volte a settimana, e poi nel weekend una partita o due, tre, un torneo.<br />
<br />
A me il calcio non è mai piaciuto. Mio padre ci giocava, credo fosse un terzino. Tifava la Juve, leggeva la Gazzetta ogni santo giorno, e si dispiaceva perchè nessuno dei suoi figli maschi aveva ereditato le sue gambe e la sua passione. Il padre dei miei figli di calcio vive, tanto che non capiamo più dove finisce la vita e inizia il lavoro. Probabilmente su quel confine sta un campo di calcetto dove va a giocare con la squadra una volta a settimana, nonostante tutto dica che è ora di smettere.<br />
A me il calcio continua a non piacere, neanche lo capisco, non so quante volte mi sia fatta spiegare cos'è il fuorigioco.<br />
Ma quello che mi piace ancora meno è sapere che quando un compagno di Orlando chiede ai genitori di andarci a giocare questi gli rispondano "No, il calcio è un gioco da stupidi".<br />
Non mi piace il pregiudizio, non mi piace lo stigma.<br />
<br />
Tra le persone che frequento sono in tanti a pensarla così, e io penso sinceramente che non sappiano di cosa parlano. Penso che nel loro immaginario ci siano frotte di genitori idioti che si accapigliano sugli spalti, come a volte è stato riportato anche dalle cronache. Penso che i genitori idioti li trovi anche ai bordi di un campo di basket o a un incontro di judo. E che forse, come dice l'Interista, è solo una questione statistica. Più bambini, più genitori, più idioti.<br />
Soprattutto penso che quelli de "il calcio è un gioco da stupidi" non abbiano rispetto per tutti i bambini come Orlando, e sono tanti, che giocano perchè gli piace, che s'impegnano, che sono disponibili a imparare, che sono capaci di divertirsi. Non hanno rispetto per i genitori come me, che lavano scarpette e calzoncini venti volte a settimana, che si alzano prima per preparare una borsa, che si caricano il figlio in bici e lo accompagnano al campo, che rinunciano a fare altro nel fine settimana perchè c'è un torneo. O forse in virtù di questo giudicano un'idiota anche me, chissà.<br />
<br />
A me il calcio non piace, ma mi piace sapere che mio figlio, oltre la scuola <i>ca va sans dire</i>, s'impegna in qualcosa, impara, sta all'aperto, si diverte, costruisce relazioni.<br />
Amo vederlo quando si tuffa per parare un goal, amo il suo sguardo assorto mentre s'infila i calzettoni, amo persino quando esce dallo spogliatoio dopo la doccia e mi farfuglia che ha perso un pezzo di divisa, perchè lui è forse più un sognatore che un calciatore, ma questo non conta.<br />
Lui è soprattutto un bambino a cui piace giocare al gioco del calcio. Forse si stancherà domani, forse andrà avanti fino a quarant'anni (e oltre?) come suo padre, come il mio che non c'è più e che avrebbe voluto accompagnarlo, ne ho certezza, a ogni partita.<br />
A me il calcio non piace, ma mi piacerebbe vivere in un mondo in cui giocare a pallone non sia considerata una cosa da decerebrati, un mondo in cui mio figlio può interessarsi di calcio e anche a Mozart, parare rigori al pomeriggio e leggere i miti greci la sera.<br />
Il fatto è che io di genitori che si accapigliano sugli spalti in tre anni non ne ho ancora mai visti.<br />
Di genitori idioti ne ho visti invece parecchi.<br />
E, signori, la maggioranza di loro non era a bordo campo.<br />
<br />
<br /></div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-85861128654770916212016-10-07T09:44:00.000+02:002016-10-07T09:44:35.558+02:00Sette<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Qualcuno dice che crescere sia la cosa più difficile del mondo.<br />
Perchè ci obbliga a lasciare le nostre zone di conforto, a esporci, guardarci nuovi, non riconoscerci.<br />
Perchè non si smette mai, e chi s'illude di aver finito semplicemente si perde il meglio.<br />
Ma ultimamente penso che ci sia qualcosa di più difficile del crescere: veder crescere.<br />
Una cosa da diventarci matti, che contiene in sè tutto il mistero dell'evoluzione del genere umano.<br />
Sono sette anni oggi, Bruco, che ti vedo crescere, e non mi capacito.<br />
Non di "quanto sei cresciuto", che queste son cose da vecchie zie - con tutto che hai quasi il mio stesso numero di piedi ed è una cosa abbastanza inquietante.<br />
Quello di cui non mi capacito è la distanza che il tempo ha messo tra noi: inseparabili prima, poi vicinissimi, poi vicini, poi sempre meno, fino a non riconoscere a volte certi tuoi modi di fare, alcune passioni, determinate espressioni. Che fino a un certo punto mi pareva proprio di sapere tutto, sapere esattamente da dove proveniva ogni cosa di te.<br />
Ma dice che è così che funziona, che per crescere bisogna anche differenziarsi, allontanarsi, separarsi.<br />
Cosa ti devo dire, ragazzino mio? I grandi amori sono difficili da gestire, sia quando ti bruciano col loro calore, sia quando la distanza spezza le fibre di legami che non sembrava possibile intaccare.<br />
Ti vedo scalpitare a volte, ti vedo allenare quelle ali ancora piccole che ti sono spuntate, ti ascolto ferirmi con quelle risposte che a volte mi dai, mi ascolto ferirti con mille rimproveri, e lo so, ti ho ferito cento volte più di quanto tu abbia fatto con me, nel tentativo tutto sghembo di aiutarti a crescere.<br />
Che poi, chissà in che modo si può aiutare qualcuno a crescere, sono ancora qui che me lo chiedo.<br />
Prima era semplice: darti da mangiare e giocare con te, non serviva altro per farmi amare alla follia.<br />
Eravamo noi due.<br />
Adesso il nostro mondo si è popolato a dismisura: di persone, di contesti, di abilità, di doveri, di strutture. Una montagna di cose, tutta costruita sopra quell'amore puro che era tutto ciò che avevamo quando sei nato. Una montagna che finisce per nasconderlo, inutile negarlo, e ci pesa sopra come un macigno, certi giorni.<br />
Ma è tutto lì, nascosto ma inalterato, e forse l'unica cosa che vale davvero la pena insegnarti, per aiutarti a crescere, è come andartelo a prendere tutte le volte che ne avrai bisogno.<br />
Tanti auguri, Bruco. Dal profondo di quell'amore puro, che per fortuna qualcuno mi ha insegnato ad andarmi a prendere quando ne ho bisogno.</div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-2187587680168725192016-04-15T15:27:00.002+02:002016-04-15T15:27:48.540+02:00Da grande<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Tutti, da piccoli, abbiamo pronunciato la frase "da grande voglio fare...", seguita dalle professioni più disparate. Succede poi che qualcuno lo fa davvero, quello che aveva detto di voler fare, ma nella maggior parte dei casi si finisce a fare tutt'altro.<br />
Io ad esempio ricordo che quando me lo chiesero in prima elementare risposi "l'attrice", e proprio quell'anno debuttai sul palco della scuola nel ruolo di Jimmy, il porcellino saggio, all'interno della messinscena di "Insalata di favole". Hai detto niente. Avevo 6 anni.<br />
Poi sono cresciuta, e ho iniziato a cambiare mestieri: archeologa (manco a dirlo, colpa di Indiana Jones), architetto, biologa marina. Ho cambiato un sacco di mestieri, senza mai includere l'unico che mia madre desiderasse veramente, che era "il dottore". Vuoi mettere avere un dottore in famiglia? Con tutto il rispetto per i Jimmy del mondo.<br />
Poi è successo che ho iniziato a leggere, e a scrivere, a leggere leggere leggere, e scrivere scrivere scrivere, e mi sono iscritta a Lettere. La Facoltà dei cazzeggiatori romantici, la Laurea dei "ma poi che lavoro fai", e soprattutto gli Studi di quelli che sanno a memoria le poesie di Guido Gozzano sapendo che a nessuno frega assolutamente niente di questa cosa. Nè tantomeno di Gozzano, e delle sue poesie.<br />
(<i>per inciso, io quei quattro anni li rifarei da capo pari pari perchè ad oggi sogno di fare esattamente quello che facevo in quei tempi, ovvero leggere e scrivere, e basta</i>).<br />
<br />
Adesso che ho un figlio seienne, la fase del "cosa farò da grande" è tornata abbomba.<br />
Il Bruco, oltre a non aver capito esattamente che lavoro fanno i suoi genitori, ha cominciato a fare elucubrazioni sul suo futuro.<br />
Il ragazzino è parecchio in ansia, perchè non riesce a dare un nome ai vari lavori esistenti nel mondo.<br />
Prima ha voluto sapere che lavoro fanno quelli che salvano i panda e le tigri dall'estinzione.<br />
Poi ha voluto sapere che lavoro è lo psicologo, e io gli ho risposto d'istinto che è il dottore dei pensieri, ma temo di averlo turbato ulteriormente.<br />
Infine, ieri, si è pronunciato.<br />
"Mamma, io da grande voglio fare il tecnologico!"<br />
"Il tecnologico? Ma in che senso, Bruco? Che mestiere è?"<br />
"Voglio fare come Leonardo Da Vinci. Quello che inventa le cose"<br />
Io sono caduta dalla sedia.<br />
L'Interista si è limitato a razionalizzare: "ma è ovvio, vuole fare l'ingegnere"<br />
Io sono caduta dalla sedia di nuovo.<br />
Perchè con tutto il rispetto per gli ingegneri, una che ha debuttato come Jimmy il porcellino saggio e adesso cazzeggia scrivendo online, il figlio ingegnere non lo può proprio concepire.<br />
"No ma dico, guardalo. E' troppo fico per fare l'ingegnere. Poi ha sempre la testa tra le nuvole, non è mica il suo"<br />
E niente, mi sono sorbita la ramanzina dell'Interista che mi spiegava che i genitori non devono mai avere delle aspettative, proiettare sui figli etc etc etc.<br />
Poi mentre mi spiegava tutta questa storia, che io già la so ma poi metterla in pratica è proprio un'altra cosa, arriva il cucciolo di casa (cucciolo di iena, s'intende) che si lancia dal divano urlando come una scimmia impazzita.<br />
"Guardalo! Guardalo! Lui da grande farà chiaramente il wrestler!" esclama trionfante, con lo sguardo illuminato dall'opzione fisica intravista nel figlio.<br />
<br />
Niente. Qualcosa mi dice che tra una ventina d'anni, con un figlio ingegnere e uno lottatore di wrestling, avrò bisogno di un dottore di pensieri.<br />
Magari uno dei vostri figli, che da grande sarà diventato quella cosa lì.<br />
<br /></div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-67188449770739651212016-04-01T16:05:00.000+02:002016-04-01T16:05:30.711+02:00Scene da un manicomio<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
A volte la quotidianità è faticosa. Più raramente è lieve, spesso complicata, e non sempre si riesce a guardarsi dal di fuori. E forse è meglio così. Perchè a volte, quando ti fermi e guardi dentro casa tua come se fossi uno spettatore, ti accorgi che non è la fatica l'elemento predominante. Nè la logistica assurda, nè la levità. E' la follia, quella pura, senza compromessi.<br />
Io non vivo a casa di Orlando. Io vivo in una gabbia di matti.<br />
<br />
<i>Ieri, dal panettiere.</i><br />
<br />
- Enea, vuoi una focaccina?<br />
- No, bignè.<br />
- Guarda che diventi ciccione. Io te lo dico, cocco di mamma tua. Non si può essere golosi come sei tu. Vuoi una pizzetta?<br />
- No, bignè. Due bignè.<br />
- Mi fa piacere che tu abbia imparato a dirlo così bene. Facciamo un biscotto di frolla?<br />
- Signora, bignè. (niente, gli manca solo il portafogli ormai)<br />
Interviene il Bruco.<br />
- Mamma, io te lo dico: se gli compri il bignè mi devi comprare il raccoglitore con i 4 anelli che si aprono contemporaneamente!<br />
- Ma scusa Orlando cosa c'entra?<br />
- Perchè non è giusto che accontenti lui e me no. Io non voglio il raccoglitore che devi aprire gli anelli a due a due come quello che mi hai comprato!<br />
- Bruco, ma stai scherzando vero? Ma cosa cambia?<br />
- Dai, mammaaaa... faccio troppa fatica se devo chiuderne due alla volta.<br />
- Scusi, signora, mi dà due bignè? Anzi faccia quattro. Ne mangerò due alla volta e non tutti e quattro insieme, anche se mi costerà molta più fatica.<br />
<br />
<i>Ieri sera, a casa d Orlando.</i><br />
<br />
E' sera, pericolosamente tardi, l'ora della nanna è scoccata da un po' mentre il caos regna, la tavola non è sparecchiata, il Bruco continua a lanciare la palla ovunque.<br />
Enea appena pigiamato si divincola dalle mie braccia mentre cerco di portarlo in camera e scappa in preda a un <i>raptus</i>.<br />Torna brandendo una maglietta di non so quale giocatore nerazzurro.<br />"Mette malietta, mette malietta, mamma"<br />
Io inizio a dare i numeri.<br />"Nooooooo devi andare a nannaaaaaaa, adesso bastaaaa, è tardissimoooo... interista, aiutami ti prego!"<br />Lui non si palesa, ma dalla cucina arrivano queste parole, con un tono pacato che manco Sai Baba.<br />"Tranquilla,
è lo spirito di Peppino Meazza che si è impadronito di lui. Quando fra
quindici anni lui sarà in serie A e tu alle Maldive, allora capirai".<br /><br />Beh, gente. Io vi sto vedendo ridere. Sto anche vedendo che voi pensate che io mi inventi tutto.<br />Ma il fatto è queste cose sono accadute veramente. E soprattutto, non c'è un cazzo da ridere.</div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-21316884926418401232016-02-26T11:39:00.000+01:002016-02-26T11:39:12.160+01:00Due<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Due come gli schiaffi che rifili a tuo fratello ogni volta che si avvicina per darti un bacio.<br />
Perchè hai un carattere ruvido e schietto, e su questo temo ci sia poco da fare.<br />
<br />
Due come le due volte all'ora in cui ti svegli la notte, perchè riposarsi troppo a lungo non è proprio nel tuo stile, e la guardia, si sa, un guerriero che si rispetti deve sempre tenerla alta.<br />
<br />
Due come i denti che ti mancano per essere un bambino quasi grande, due come i tuoi giochi preferiti, due come le volte che ripeti ogni parola nuova che hai imparato.<br />
<br />
Due, quattro, otto, duecentomila, come le volte che devo ripeterti le cose, che poi tanto non mi ascolti e fai di testa tua, perchè sei caparbio e cocciuto, e nessuno può farti cambiare idea se ti sei messo in testa qualcosa.<br />
<br />
Due come le scarpe che non vuoi mai infilarti, come le ore che ci metto ad addormentarti, come i "terribili due" che interpreti fedele al manuale del perfetto pestifero.<br />
<br />
Oggi sono due anni che sei con noi, già due, solo due.<br />
Due faticosissimi, due emozionanti, due pazzi anni.<br />
<br />
Quando sei nato mi sono detta: "Due anni, devo resistere i primi due anni, e poi si inizia a vedere la luce fuori dal tunnel". Ma avevo esperienza di un Orlando, dolcissimo, insonne ma sognatore, pensieroso ma capace di esprimersi a perfezione in tanti modi. <br />
Non avevo fatto i conti con te.<br />
<br />
Te che negli ultimi 30 giorni hai:<br />
<br />
- affiancato una vecchietta col bastone e tentato di sottrarglielo<br />
- colorato con pennarello verde le prime 20 pagine dell'edizione rara de <i>Lo Hobbit</i> di tuo fratello <br />
-
schiaffeggiato una delle guide della Fondazione Prada che si era
chinata a dirti "ciao bel bambino"<br />
-
divelto la barra portasciugamani del bagno e sferrata in testa a tuo
fratello, lasciandogli un buco a un centimetro dall'occhio<br />
- alzato di soppiatto a 250° il forno mentre cuoceva una torta infornata a 180° per gli ospiti imminenti<br />
- spalmato addosso un intero vasetto della mia crema viso e tentato di togliere la suddetta crema nel bidet allagando il bagno<br />
- buttato ben 3 palle di spugna dentro il water<br />
- usato la lettiera della gatta come spiaggia personale <br />
<br />
Antipatico per vocazione,
diffidente per religione, sei capace di raggiungere vette inaudite di
decibel con le tue urla. Sorridi rararmente e di solito se stai prendendo
per il culo qualcuno. Sei un maestro nell'arte coreografica del buttarsi
a terra e mimare convulsioni fino al raggiungimento del tuo obiettivo.
Picchi indistintamente tutti i componenti della
famiglia, con predilezione per quelli maschi. Puoi arrivare a mangiare
fino a tre piatti di pasta consecutivi e 10 biscotti, e poi urlare
"ancoaaaa". Lanciare oggetti è uno dei tuoi sport preferiti. <br />
<br />
Auguri, Enea. Non lo so se adesso che hai due anni inizierò a vedere la luce in fondo al tunnel.<br />
Ma so che in questo tunnel, tutto sommato, non si sta poi così male.<br />
Basta saper schivare gli oggetti volanti.<br />
<br />
<br /></div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-54456747684790511502016-02-10T12:48:00.000+01:002016-02-10T12:50:12.873+01:00Pagelle e parole<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Che sei brillante e simpatico, sveglio e intelligente.<br />
Che sei un bambino amato, anche se non fai niente di particolare per farti amare.<br />
Che sei educato e gentile, molto rispettoso degli altri.<br />
E che hai uno straordinario senso dell'ironia, un'ironia squisitamente <i>british</i>, una dote rara per un bambino.<br />
Questo hanno detto le maestre, ieri, quando sono andata a ritirare la tua prima pagella, piena di numeri incapaci di restituire davvero tutto quello che è avvenuto in questi primi mesi di scuola elementare, e che per questo motivo, stante l'obbligo di dover per forza riempire quelle caselline, sono stati scritti uguali per tutti. Perchè la matematica è affascinante, ma per raccontare spesso servono le parole, e a quanto pare a te le parole piacciono parecchio.<br />
<br />
"Scrive, scrive, è sempre lì che scrive... e quando poi gli dico di fare anche il disegno lui mi guarda come a dire: ma cosa disegno a fare che l'ho già detto con le parole? E io so che lui ha ragione" mi racconta la maestra.<br />
<br />
E quando me l'ha detto mi si è un po' accelerato il battito, perchè io di parole ci vivo e in mezzo alle parole ti ho fatto crescere, nel bene e nel male, e quest'immagine di te che riempi i quaderni di scrittura spontanea mi richiama alla mente tutte le ore, i giorni, passate insieme a leggere e raccontare.<br />
<br />
(<i>quel poveraccio di tuo fratello invece farà fatica a contare i minuti, e infatti sta venendo su a caso come le ortiche - ma questa è un'altra storia</i>) <br />
<br />
Hanno anche detto che a volte sei un po' "carlone" (nomignolo di Carlo Magno, che a quanto pare aveva uno stile un po' rustico e trascurato), e anche qui ho perso un battito perchè, com'è noto ai più, io sono affetta fin dalla nascita da "soralellismo" e forse questo aspetto del tuo carattere è un po' colpa mia.<br />
Ma questo si sono raccomandate di non dirtelo, di dirti solo che sono molto contente di te, del tuo modo di essere e di apprendere, della vostra complicità.<br />
Hanno detto anche che non sei per niente egocentrico, e sai lasciare agli altri il giusto spazio, e questa è tutta farina del tuo sacco.<br />
<br />
E poi sono tornata a casa a piedi, attraverso il parco e sotto il diluvio, e nella mia testa vorticavano tutte quelle parole, quegli aggettivi, pensavo alla bella scuola dove stai crescendo, al sorriso delle tue maestre così appassionate, alle lettere sghembe che ti escono dalle matite, ai tuoi polpastrelli sempre sporchi di grafite, ai nostri viaggi di ritorno il pomeriggio, io e te sulla bicicletta mentre tu mi racconti cose buffe e io pedalo arrancando. Poi finalmente sono arrivata a casa, ho aperto la porta e mi sei comparso davanti saltellando. Le parole erano scomparse tutte e c'eravamo solo noi, una sera come tante.<br />
E oggi mi dico che forse sta tutta qui, la felicità.<br />
<br /></div>
Bradiginahttp://www.blogger.com/profile/02716080091789538416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-725805545377233029.post-30801268263481881872015-12-25T00:54:00.001+01:002015-12-25T00:54:42.567+01:00And so this is Xmas<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Lo spirito del Natale è qualcosa di impalpabile e sfuggente, e per quanto mi riguarda prescinde dal credo religioso. Per me, nel corso degli anni, è andato e venuto, ha avuto varie forme e colori, e ammetto che nonostante i bambini è un po' di tempo che non mi fa visita.<br />
Quando ero bambina il Natale era un tempo lungo e dilatato, sapeva di sospensione della scuola, di terribili costruzioni di candele per l'avvento durante il catechismo (una delle ennesime contraddizioni di mia madre, che l'ora di religione a scuola no, ma il catechismo sì), di attesa, di pomeriggi divisa tra compiti di scuola e cartoni animati su Italia1 (erano gli anni 80, e noi si guardava Bim Bum Bam), intervallati da spot natalizi come se non ci fosse un domani.<br />
Un copione che è rimasto uguale per molti anni, quello dell'attesa e del 25 dicembre, piacevole e rassicurante, sebbene sotto l'albero non ci fosse mai davvero quello che volevo (ma solo perchè quello che volevo era impossibile): ricordo i crostini coi fegatini, la tombolata coi legumi secchi sulle cartelle, ricordo mio padre e mio zio che mangiavano spagnolette tutto il pomeriggio, le tartine al salmone che già alle sette di sera sapevano di stantio, il brodo di cappone, gli zii e i cugini, epifanie che col tempo sono scomparse una a una.<br />
Non so se è stato perchè avevo vent'anni o perchè mio padre se n'è andato, ma le cose a un certo punto sono cambiate e il Natale è diventato un'incombenza da sbrigare in fretta. Pochi regali, poca voglia, l'unica cosa che non è mai mancata è stato il cibo cucinato da mia madre, che è sempre buono anche quando non lo è davvero.<br />
Poi ho conosciuto l'Interista e in qualche modo sottile lo Spirito del Natale è tornato.<br />
Coi miei abbiamo iniziato a festeggiare la sera del 24, lui i primi anni arrivava tardi perchè andava a fare il Babbo Natale per i bambini delle famiglie disagiate con l'associazione in cui aveva fatto il servizio civile, tutto era diventato semplice, c'erano i miei fratelli, le capesante gratinate, i regali sempre sbagliati e un casino totale in cucina. C'era una mancanza che avevamo imparato a gestire.<br />
Un anno con l'Interista comprammo un faccione di Babbo Natale col cappello verde, un po' no-global, senza sapere (o sì?) che lo stavamo comprando per i bambini che sarebbero venuti. A volte fai le cose a caso, e quelle cose hanno un senso perfetto che altre pianificate a lungo non avranno mai.<br />
E questo si sa.<br />
Ma il Natale più bello passato finora, quello che ogni anno mi torna alla mente ed è il mio personale paradigma di Natale, è quello più insospettabile. Non ricordo che anno fosse, non ricordo quasi nulla, tranne che non avevo una lira e avevo trovato un lavoro di 3 settimane allo scomparso Virgin Megastore in Galleria. Avevo passato dicembre a battere scontrini in cassa, rimuginando sull'utilità dei miei studi in Lettere. Il 24 facevo il turno di chiusura, ricordo ancora l'ultimo cliente di una fila infinita, un tipo distinto che aveva comprato tutti i regali all'ultimo, una valanga di dvd, cd, libri: il pos rifiutò la sua carta di credito una, due, tre volte... vi prego, vado un attimo a prelevare e torno, il suo volto era quello della disperazione. Erano le otto e cinque minuti, tutti volevano andare a casa, qualcuno alle mie spalle disse "mi spiace, non è proprio possibile".<br />
Mentre le luci del negozio si spegnevano mi sono abbottonata il cappotto e ho preso la via di casa. Faceva un freddo folle, in giro non c'era nessuno, mi sentivo sola, mi mancava mio padre. Ho preso la metro e sono arrivata a casa di mia madre, e da lì è nato un nuovo corso delle cose.<br />
Quel senso di solitudine nel freddo del mezzanino della metro, quello è stato il mio Natale perfetto, perchè il Natale per me, non credente, è la festa di chi aspetta qualcosa e sa che può arrivare. E' la festa di chi sa cosa vuol dire essere solo, e tanto più apprezza il valore della compagnia umana.<br />
Buon Natale a tutti voi.<br />
<br />
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