Non che la prima volta sia tutta poesia.
La prima volta ero ingrassata 13 chili, avevo dolori intercostali ovunque, la sciatica che mi dava un'aura alla Kevin Spacey nei Soliti Sospetti e non dormivo mai perchè era estate e Milano era come i tropici senza il mare la spiaggia e le palme.
Però, c'era un però. Era la prima volta, e le prime volte sono belle anche quando sono brutte, perchè ti danno la dimensione dell'ignoto, del nuovo, della curiosità e dell'esperienza.
La prima volta leggi libri sull'argomento, compri quelle tutine vezzose, monti il lettino con una sorta di ritualità, scegli il nome come se fosse quello del messia e tutto è pronto in tempo per l'arrivo del bambino.
La seconda volta sai già che le tutine verranno lordate di rigurgiti e merda e bavetta e non ci sarà omino bianco che tenga. Sai già che nel lettino carino con la giostrina tuo figlio ci dormirà solo legato e imbavagliato o sottoposto a tattiche pedagogiche d'ispirazione nazista. Non leggi niente perchè ne sai abbastanza ma soprattutto sai che con un neonato urlante i manuali sono utili come una sciarpa in pile in luglio a Santorini.
Ormai mancano tre settimane, e non è pronto niente. Il lettino non è montato, la valigia per l'ospedale non è pronta (il mio cervello continua a rigettare l'idea di dover comprare cose come la mutande di rete monouso), i vestitini dell'infante sono quelli stinti e un po' macchiati del fratello, e soprattutto questo bambino non ha ancora un nome, a parte quello che il Bruco gli ha dato sei mesi fa e che continua a spacciare i giro come fosse il suo vero nome, e la gente ormai ci sta credendo (Hutch. Sì, come Starsky e Hutch. No, non sa neanche chi siano Starsky e Hutch. No, non lo chiameremo veramente Hutch. O sì?).
Sono ingrassata 8 chili, non sembro zoppa per la sciatica, ma di notte mi sveglio ogni ora: mi metto seduta di scatto e fisso la carrozzina in fondo alla camera, continuando a pensare "dio che ansia, fra un mese non dormirò più, devo assolutamente dormire tantissimo ADESSO". E infatti non dormo.
Mi vengono in mente le coliche, le ragadi, i pannolini puzzolenti, i biberon che invadono il lavandino, il pavimento impiastricciato di pappette e tante altre cose amene che sono lontanissime, perchè il Bruco ormai è quasi diventato una farfalla. E' autonomo, intelligente, parlante (pure troppo) e le maestre della scuola materna dicono persino che non c'è bisogno di fare il colloquio perchè "bravi così ne abbiamo pochi".
Ma niente, ormai è fatta. Quasi. Devo solo partorire. Fra tre settimane. O dopo, com'è successo la prima volta. La prima volta, quando mi hanno ricoverata e indotta per 48 lunghissime ore. Quello è il mio primo vero incubo, quello non deve accadere una seconda volta.
Se tra un mese vedete una che scappa dal Niguarda in camicia da notte a fiorellini e improbabili Birkenstock verdi, e corre più veloce di tutti i runners del Parco Nord messi assieme, quella sono io.
Piuttosto vado a partorire lì, in mezzo ai vecchietti cinesi che fanno tai chi la mattina all'alba tra gli orti dei pensionati.
Nel frammezzo che ancora manca, sto scrivendo "di là" e non di qua. Prima che le elucubrazioni sul rapporto prezzo-qualità dei pannolini mi ottenebrino la mente. O magari no.
Chissà che la seconda volta non sia un po' diversa anche in questo.
La prima volta ero ingrassata 13 chili, avevo dolori intercostali ovunque, la sciatica che mi dava un'aura alla Kevin Spacey nei Soliti Sospetti e non dormivo mai perchè era estate e Milano era come i tropici senza il mare la spiaggia e le palme.
Però, c'era un però. Era la prima volta, e le prime volte sono belle anche quando sono brutte, perchè ti danno la dimensione dell'ignoto, del nuovo, della curiosità e dell'esperienza.
La prima volta leggi libri sull'argomento, compri quelle tutine vezzose, monti il lettino con una sorta di ritualità, scegli il nome come se fosse quello del messia e tutto è pronto in tempo per l'arrivo del bambino.
La seconda volta sai già che le tutine verranno lordate di rigurgiti e merda e bavetta e non ci sarà omino bianco che tenga. Sai già che nel lettino carino con la giostrina tuo figlio ci dormirà solo legato e imbavagliato o sottoposto a tattiche pedagogiche d'ispirazione nazista. Non leggi niente perchè ne sai abbastanza ma soprattutto sai che con un neonato urlante i manuali sono utili come una sciarpa in pile in luglio a Santorini.
Ormai mancano tre settimane, e non è pronto niente. Il lettino non è montato, la valigia per l'ospedale non è pronta (il mio cervello continua a rigettare l'idea di dover comprare cose come la mutande di rete monouso), i vestitini dell'infante sono quelli stinti e un po' macchiati del fratello, e soprattutto questo bambino non ha ancora un nome, a parte quello che il Bruco gli ha dato sei mesi fa e che continua a spacciare i giro come fosse il suo vero nome, e la gente ormai ci sta credendo (Hutch. Sì, come Starsky e Hutch. No, non sa neanche chi siano Starsky e Hutch. No, non lo chiameremo veramente Hutch. O sì?).
Sono ingrassata 8 chili, non sembro zoppa per la sciatica, ma di notte mi sveglio ogni ora: mi metto seduta di scatto e fisso la carrozzina in fondo alla camera, continuando a pensare "dio che ansia, fra un mese non dormirò più, devo assolutamente dormire tantissimo ADESSO". E infatti non dormo.
Mi vengono in mente le coliche, le ragadi, i pannolini puzzolenti, i biberon che invadono il lavandino, il pavimento impiastricciato di pappette e tante altre cose amene che sono lontanissime, perchè il Bruco ormai è quasi diventato una farfalla. E' autonomo, intelligente, parlante (pure troppo) e le maestre della scuola materna dicono persino che non c'è bisogno di fare il colloquio perchè "bravi così ne abbiamo pochi".
Ma niente, ormai è fatta. Quasi. Devo solo partorire. Fra tre settimane. O dopo, com'è successo la prima volta. La prima volta, quando mi hanno ricoverata e indotta per 48 lunghissime ore. Quello è il mio primo vero incubo, quello non deve accadere una seconda volta.
Se tra un mese vedete una che scappa dal Niguarda in camicia da notte a fiorellini e improbabili Birkenstock verdi, e corre più veloce di tutti i runners del Parco Nord messi assieme, quella sono io.
Piuttosto vado a partorire lì, in mezzo ai vecchietti cinesi che fanno tai chi la mattina all'alba tra gli orti dei pensionati.
Nel frammezzo che ancora manca, sto scrivendo "di là" e non di qua. Prima che le elucubrazioni sul rapporto prezzo-qualità dei pannolini mi ottenebrino la mente. O magari no.
Chissà che la seconda volta non sia un po' diversa anche in questo.
Hutch, lo zio ti aspetta :)
RispondiEliminaE dai che oggi hai depennato le mutande dalla lista! ;-)
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