E' un cubo di vetro e acciaio, all'interno del quale è
ricostruita una stanza.
Più una situazione che una stanza. Ci sono un
lettino ginecologico, un attaccapanni con un camice bianco appeso, un
tavolino con dei ferri da chirurgo, e oggetti di cui qualcuna si è
spogliata in un tempo che non è definito, forse ieri, forse 10 anni fa.
Un orologio, una collana di perle, un anello d'oro, scarpe, una borsa,
effetti personali simbolicamente abbandonati: quelli sì che si possono
mostrare, al contrario degli affetti, abbandonati anche loro, lasciati lungo il percorso in qualche stanza o in qualche via.
E' la
scena di un aborto che è stato, è la stanza in cui qualcosa è andato
perduto, non si sa come, non si sa perchè.
Il cubo di vetro è
pieno d'acqua, e meravigliosi pesci tropicali vi nuotano all'interno,
lenti come il tempo, veloci come il tempo, nulla di più adatto a
mimarlo. Occhi tondi che da dentro ti guardano, ti inchiodano, guizzano oltre l'abito dell'abitudine che hai cucito addosso.
Guizzi di colore in mezzo alla desolazione - colori che ti ipnotizzano, ti fanno dimenticare - quell'istanza
insopprimibile di vita che racconta di tutti i figli che il mondo ha
messo al mondo e sempre ne metterà.
Molti mi hanno chiesto come facesse a piacermi un'opera così inquietante, così triste.
La risposta è qui, ed è che la trovo di una poesia struggente. Si intitola Lost Love.
E' di Damien Hirst e la potete vedere alla Fondazione Prada fino al prossimo gennaio.
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