Volevo farti gli auguri, volevo dire un sacco di cose, ma non mi venivano le parole, perchè raccontare cos'è un bambino-ragazzo di undici anni è una cosa difficilissima, e in certi casi forse bisogna solo arrendersi, stare, e accettare la superiorità della vita sulla possibilità di descriverla. Cerco le parole per dire i capelli lunghi incasinati bellissimi. Gli occhi trasparenti con dentro molte più cose di quelle che hanno visto, gli occhi blu che però "me li hai fatti grigi da schifo". Le mani troppo grandi, che sembrano di pasta frolla, ma che all'improvviso s'innervano e parano palloni, suonano chitarre, disegnano draghi. La voce sottile, chissà per quanto ancora, vorrei il più possibile, la voce che parla poco, che si alza a scatti arrabbiata, che chiama tuo fratello ingombrante inseparabile amatissimo odiato, la voce che mi chiama "mother" pronunciato com'è scritto, ma a volte ancora "mamma", perchè a undici anni quello che si fa è stare in bilico scivolando ora da un lato ora dall'altro. Le gambe lunghissime, i piedi infiniti che promettono vette, la schiena che ha già quell'intenzione, è chiaro, diventare larga, occupare spazio. A undici anni quello che si fa è diventare: cerco le parole, e mi vengono in mente quelle della tua maestra - che non lo è più e quindi lo è per sempre -, che il tuo nome è un gerundio, e questo sì che forse sa raccontare qualcosa di quello che sei, suonando, giocando, disegnando, parando, Orlando. "Se avessi desiderato un figlio definito e strutturato" mi diceva quando mi lamentavo dei tuoi (presunti) difetti "avresti dovuto chiamarlo Orlato! Invece tuo figlio è un gerundio, e tu, da classicista che sei, dovresti conoscere la funzione straordinaria del gerundio, che sottolinea il processo dell'azione necessaria più che del risultato". Ai tuoi gerundi, al gerundio che sei, ne aggiungo un paio. Cercando, perchè le parole bisogna cercarle sempre, anche quando sembra che non ci siano, e a volte se non troviamo le nostre troviamo quelle di altri dette apposta per noi. Crescendo, perchè questo è quello che succede quando si accetta di stare insieme nei giorni e vedere cosa succede, cosa si diventa, quanto si cambia e quanto no, dove si va. E mentre ti guardo svegliarti presto e infilare la porta di casa con millemila libri e cartellette e dubbi e cose in testa, resto lì, pensando. E sognando, ignorando, avendo paura, scrivendo.
Auguri, Orlando, è un privilegio stare nei tuoi gerundi, anche e soprattutto oggi e qui, nell'attimo prima che finisca l'infanzia.
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