venerdì 5 giugno 2020

Il diritto di piangere

E così ci siamo, là dove il futuro diventa passato e il presente ti è sfuggito via come un pesce d'argento. Un pesce lungo 5 anni, uno splendido marlin che abbiamo seguito in lungo e in largo, non per una caccia ma per il fascino del viaggio. E così è l'ultimo giorno della scuola elementare, e stavolta non lo so davvero se le parole sono abbastanza per dire tutto. Sarebbe stato già difficile di per sè, figurati con una pandemia che ha interrotto la scuola a metà anno, lasciandoci in un limbo digitale in cui si sono fatte molte cose ma dove non si può fare l'unica che forse aveva un valore, ovvero compiere il rito di passaggio: stare insieme per l'ultima volta, essere classe per una volta ancora e poi più, trovarsi nel cortile della scuola dove "remigino" hai ricevuto un quaderno e una sacchetta dai grandoni di turno, cantare, correre alla rinfusa, piangere. Forse rivendico questo, il diritto di piangere. Di guardare incarnato il tempo, i suoi danni e le sue meraviglie, di restare stordita di fronte al "potente spettacolo che continua", citando lo zio Walt. Non è solo un fatto di altezza, un fatto oggettivamente impressionante visto che sei entrato che eri un metro e una banana e ne esci alto come la tua maestra. E' sapere cosa ci sta nel mezzo, tra il prima e il dopo, di cosa è fatto ogni centimetro acquisito, ogni parola in più, ogni competenza. Non esiste dizionario che sappia spiegarlo. Siamo stati molto fortunati, ragazzino. Non capita a tutti di avere due maestre speciali che ti accompagnano per cinque anni cinque senza soste, presenti anche nella distanza. Soprattutto in una scuola che sembra perdere pezzi e importanza, troppo spesso sacrificata sugli altari vuoti della politica (e di una poco lungimirante economia). Quando vi ho chiesto cosa avete imparato in questi anni la risposta è stata unanime, ed eravate pure straniti nel dirlo: "a stare insieme", e cos'altro bisognerebbe imparare, a scuola, se non a essere comunità, a diventare società? Non serve un libro ma maestri capaci, per fare l'educazione civica. Che viene forse da sè quando ci si prende cura dell'essere umano, gli si sta accanto mentre cresce e impara - non fatemi tirare in ballo l'etimologia latina del verbo educare perchè non serve, è persino più semplice. Con delicatezza e con forza, che le due cose non si escludono ma si sostengono. Con l'interesse sincero di sapere chi hai di fronte, e dargli una chiave in più per diventare se stesso. Non capita a tutti una scuola grande e verde, con un cuore che batte in molti posti: nei gradoni del suo anfiteatro, nel linoleum della palestra, tra le zucchine dell'orto di nonno Carlo, dentro le aule popolate di colore e carta e disordini vari, nel cortile con l'asfalto increspato dai molti arrivi e dalle troppe partenze. Quando siete felici fateci caso, ha detto qualcuno, e non possiamo dire di non averlo fatto: siamo stati felici e ci abbiamo fatto caso.
E ora, ora è giugno ed è finita senza esserlo: dopo tre mesi quasi quattro di didattica a distanza, dove mancano i corpi, la conditio sine qua non per imparare quello stare insieme che dicevamo, ci salutiamo in una videochiamata di classe su meet. Non ci sono remigini a cui passare il testimone, non ci sono i canti e il sole a picco nel cortile, le corse a giocare ignare del concetto di ultima volta, la recita di fine anno, la musica a sottolineare. Non ci sono le lacrime che ci dovevano essere, perchè ogni fine ha il suo tributo di tristezza, soprattutto quando è approdo di una traversata felice, e ogni lutto richiede di essere elaborato. Piango doppio, ragazzino, per quello che lasciamo e perchè non abbiamo avuto modo di celebrarlo a dovere. Guardo le foto, spulcio i quaderni, trovo una pagina più eloquente di me. Viene da un quaderno di terza, in alto è riportata in tratto-pen azzurro una poesia di Anne Sexton: "Uova e parole / vanno maneggiate con cura / una volta rotte / non si possono / riparare". Commento tuo: "Questa frase mi è piaciuta molto perchè è molto vera. Non solo le uova si possono rompere, le parole usate male possono infrangere o ferire i cuori degli altri". Ed è proprio così, anche le parole sono corpi, e bisogna impararne la fisicità, bisogna sentirle dire e collidere fra loro, nascono dai corpi, ne sono inseparabili. E così è l'ultimo giorno della scuola elementare, e stavolta non lo so davvero se le parole sono abbastanza per dire tutto. Gli sarebbe servita una voce rotta che le dice, delle orecchie per ascoltarle tra il vocìo di altre cose, delle spalle che s'incurvano a schermirsi, un petto che trema, gli occhi e qualche lacrima. Il diritto di piangere.
Tu ridi, alto e capellone, non riesci davvero a capire cosa significa questo ultimo giorno. O forse lo sai meglio di me, e il tuo pensiero è già là, dove il futuro diventa presente. In un'altra scuola, un'altra aula, con altri corpi, altre parole. So che hai imparato a maneggiarle con cura, che sei attrezzato per un nuovo viaggio.

(con tanta gratitudine, e molto piangere, a Gabriella e Laura)



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