mercoledì 3 dicembre 2014

11 cose che ho imparato in 11 giorni di ospedale

La vita, si sa, è così: quando pensi di essere al sicuro, quando tutto va bene e quasi ti assopisci col sottofondo del treno sui binari, ecco che ti strattona per ricordarti che non esistono "zone di conforto".
E quindi un giorno di novembre finisci in pronto soccorso e ti ricoverano, tu e il tuo figlio novemesenne, preda di febbre alta, vomito e diarrea incoercibili e tutti iniziano a fare le ipotesi più assurde mentre tu sei lì e ti cachi addosso dalla paura.
Ecco quindi una lista semiseria di cose che ho imparato durante i giorni del ricovero.

1. La medicina non solo non è una scienza esatta, ma è più che altro supportata da attività quali la divinazione, la stregoneria, l'azzardo e la speculazione filosofica.

2. Gli anestesisti si credono divinità in terra (e probabilmente in certe circostanze lo sono), non hanno alcuna paura (ne ho visti due infilare aghi nel collo di mio figlio e ravanare cercando la giugulare) e soprattutto fanno paura. Archetipicamente, morfologicamente, esteticamente paura.

3. Una brava infermiera fa la differenza.
(Nel nostro cuore ne sono rimaste tre: Regina, una cinquantenne che fisicamente pareva uscita da un film di Ozpetek ma con la personalità di un personaggio dei Legnanesi; Filomena, detta Filo, una siciliana che ha azzeccato la diagnosi dopo un'ora che stavamo dentro, e i medici ci hanno messo 7 giorni; e Natalya, una bionda di un qualche paese dell'Est Europa che come usava la siringa lei nessuna mai, e secondo me la scritturerebbe Tarantino)

4. In ogni ospedale, in ogni reparto c'è un vecchio medico in pensione che viene convocato all'occorrenza quando il caso è incerto e complicato, una sorta di Dr. House de' noantri, che nel nostro caso era juventino e comunque è stato utile come una sciarpa alle Bahamas.

5. Bisognerebbe riflettere seriamente, molto seriamente, sulla questione 'cibo ospedaliero'. Qualcuno mi deve spiegare che cazzo di problema hanno i finocchi che escono dalle cucine dell'ospedale, e perchè i fagiolini sanno di cavolfiore, e perchè le verdure passate che avrebbe dovuto mangiare Enea avevano il colore, la consistenza e l'odore del vomito. Non c'è una ragione, non deve esserci.

6. Due settimane in ospedale funzionano meglio della Dukan (vedi sopra).

7. Quando pensi "che sfiga questa cosa che mi è capitata eccetera" è il momento che ti spostano dalla singola alla doppia e scopri che il tuo compagno di stanza, da solo, basta a giustificare l'esistenza nella storia di un personaggio come Erode.

8. Quando sei tumulato in una stanza di ospedale, capisci quale sia forse, anche, il senso della tecnologia: tra uozzap, feisbuk, tuitter e stronzate varie, il tempo passa più veloce, riesci anche a sentirti meno solo. Può anche non piacere ma è così.

9. Quando sei tumulato in una stanza di ospedale, finisci in un battibaleno quel libro da 900 pagine su cui ti eri incartato, e scopri che la bellezza esiste sempre, anche se tutto intorno ti dice il contrario. E ci aggiungi pure un fumetto, o una graphic novel che dir si voglia, e scopri che ci sono cose che fanno spaccare dal ridere anche quando tutto il resto fa piangere.

10. La mamma è sempre la mamma, e niente è come la mamma, in qualunque modo essa sia fatta. E' banale, ragazzi, ma non c'è un cazzo da fare. E' drammaticamente vero, nel bene e nel male.

11. Come recita un proverbio africano, "per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio". Anche virtuale, aggiungo io. (E ancora grazie a tutti).

1 commento:

  1. Belle considerazioni. Quella su Erode un po' meno, ma si vede che quel bambino era un demonio.

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