mercoledì 21 ottobre 2020

La preside

Da circa un mese anche il piccolo di casa ha iniziato la scuola: l'attesa prima elementare ha preso il via e abbiamo instaurato una routine fatta di orari precisi, quaderni, zaini pesanti e amore reciproco (finchè Covid non ci separi). Fra le cose più belle annovero le cronache che il seienne fornisce quotidianamente all'uscita: cronache di una scuola molto diversa da quella che abbiamo vissuto con Orlando, una scuola diciamo più "tradizionale". In tutti questi racconti, la figura nettamente più nominata è la preside. Creatura mitologica, mezza umana mezza draghessa, dotata del potere sconfinato di cambiare le vite dei bambini che vi si imbattono, all'inizio era solo uno spauracchio:

"La preside dice che non possiamo fare la merenda per il Coronavirus"

"La preside ha detto che se piove dobbiamo rimanere fermi ai banchi a disegnare e non possiamo fare l'intervallo a giocare"

"La preside ha detto a Gianpaolo che si può fare la pipì solo fra le 10.30 e le 10.45"

Dopo la prime credibili affermazioni, ne sono seguite altre sempre più particolari, e la preside, da spauracchio, è divenuta figura in carne e ossa. E la sottoscritta si è detta che forse nelle scuole più tradizionali funziona così, che il controllo dei poteri forti è settato al massimo della potenza e quindi la preside forse era davvero onnipresente coi suoi diktat.

"Oggi Luigia è salita sul banco e l'hanno mandata dalla preside"

"Sai che Adbul si è fatto la pipì addosso ed è finito dalla preside?"

"Francesco durante l'intervallo si è tagliato un dito e la preside gli ha messo il cerotto"

"Mamma: sai cosa faccio io, quando posso andare in bagno per la pipì? Scappo in fondo al corridoio e vado a spiare la preside!!!"

"Scusa, Enea, ma questa preside che vai a spiare, che mette i cerotti, che gira per la scuola essendo presente ogni volta che c'è bisogno di lei... esattamente, dov'è che sta?"

"Nell'atrio d'ingresso, mamma, seduta su una sedia!"

"Ah. Per caso è sempre vestita uguale?"

"Sì!!! Come fai a saperlo?"

"Enea. Quella non è la preside. E' la bidella"

Creatura mitologica, mezza umana mezza draghessa, dotata del potere sconfinato di cambiare le vite dei bambini che vi si imbattono: la bidella.


mercoledì 7 ottobre 2020

Il gerundio di crescere

Volevo farti gli auguri, volevo dire un sacco di cose, ma non mi venivano le parole, perchè raccontare cos'è un bambino-ragazzo di undici anni è una cosa difficilissima, e in certi casi forse bisogna solo arrendersi, stare, e accettare la superiorità della vita sulla possibilità di descriverla. Cerco le parole per dire i capelli lunghi incasinati bellissimi. Gli occhi trasparenti con dentro molte più cose di quelle che hanno visto, gli occhi blu che però "me li hai fatti grigi da schifo". Le mani troppo grandi, che sembrano di pasta frolla, ma che all'improvviso s'innervano e parano palloni, suonano chitarre, disegnano draghi. La voce sottile, chissà per quanto ancora, vorrei il più possibile, la voce che parla poco, che si alza a scatti arrabbiata, che chiama tuo fratello ingombrante inseparabile amatissimo odiato, la voce che mi chiama "mother" pronunciato com'è scritto, ma a volte ancora "mamma", perchè a undici anni quello che si fa è stare in bilico scivolando ora da un lato ora dall'altro. Le gambe lunghissime, i piedi infiniti che promettono vette, la schiena che ha già quell'intenzione, è chiaro, diventare larga, occupare spazio. A undici anni quello che si fa è diventare: cerco le parole, e mi vengono in mente quelle della tua maestra - che non lo è più e quindi lo è per sempre -, che il tuo nome è un gerundio, e questo sì che forse sa raccontare qualcosa di quello che sei, suonando, giocando, disegnando, parando, Orlando. "Se avessi desiderato un figlio definito e strutturato" mi diceva quando mi lamentavo dei tuoi (presunti) difetti "avresti dovuto chiamarlo Orlato! Invece tuo figlio è un gerundio, e tu, da classicista che sei, dovresti conoscere la funzione straordinaria del gerundio, che sottolinea il processo dell'azione necessaria più che del risultato". Ai tuoi gerundi, al gerundio che sei, ne aggiungo un paio. Cercando, perchè le parole bisogna cercarle sempre, anche quando sembra che non ci siano, e a volte se non troviamo le nostre troviamo quelle di altri dette apposta per noi. Crescendo, perchè questo è quello che succede quando si accetta di stare insieme nei giorni e vedere cosa succede, cosa si diventa, quanto si cambia e quanto no, dove si va. E mentre ti guardo svegliarti presto e infilare la porta di casa con millemila libri e cartellette e dubbi e cose in testa, resto lì, pensando. E sognando, ignorando, avendo paura, scrivendo.

Auguri, Orlando, è un privilegio stare nei tuoi gerundi, anche e soprattutto oggi e qui, nell'attimo prima che finisca l'infanzia.

domenica 13 settembre 2020

La mamma di Paolo

 La mamma di Paolo, come tutte le altre mamme durante la quarantena, ha supportato il figlio nell'assenza della scuola. Gli ha letto libri, ha controllato che seguisse le lezioni della didattica a distanza, ha ripetuto gli antichi Romani, ha corretto verbi. Il tutto mentre svolgeva numerose altre mansioni, tra cui quella di procacciare il cibo per tutta la famiglia - livello di stress probabilmente superiore a quello dei cavernicoli a caccia di cinghiali - ma questa è un'altra storia. La mamma di Paolo ha visto, in quelle settimane ai confini della realtà, il figlio quasi undicenne trasformarsi: la combo lockdown/preadolescenza le ha restituito un ibrido umano-urside, una specie vivente particolarmente attaccata al letto e/o al divano, dedita alla contemplazione del soffitto e/o del nulla cosmico, dotata di appetito perenne, tendenzialmente insonne e scontrosa. La mamma di Paolo, come tutte le altre mamme durante la quarantena, sognava la riapertura della scuola. L'ha sognata a marzo, quando sembrava impossibile, e poi ad aprile e maggio, quando in qualche posto del mondo succedeva davvero, l'ha sognata anche a giugno mentre i pomeriggi scorrevano liberi ma vuoti ai bordi di un campetto di basket, e ancora durante le vacanze, che sembravano strane e ingiustificate. La mamma di Paolo, per tutta l'estate ha consultato quasi quotidianamente il sito della scuola - una scuola ignota perchè Paolo andrà in prima media - facendo refresh compulsivo sulla sezione "news" per sapere se e quando e come sarebbe cominciata. Nei giorni scorsi i sogni della mamma di Paolo hanno avuto grandi incoraggiamenti, e lei - che non è più avvezza a incastrare orari e scadenze e commissioni di vario genere - ha iniziato a fare un sacco di confusione: infatti Paolo ha un fratellino (con cui ha passato gli ultimi sei mesi a darsele di santa ragione) che andrà in prima elementare, in un altro istituto e in un'altra zona, ma entrambi in 1A. 

Domani, 14 settembre dell'anno 2020, Paolo e suo fratello iniziano le loro rispettive scuole, e stasera sembravano tutti molto tranquilli, quasi disinteressati, mentre la mamma preparava zaini con dentro patti firmati di corresponsabilità, mascherine chirurgiche, materiali non scambiabili e tutto un corredo di aspettative che pochi genitori hanno avuto nella storia della scuola (tipo: speriamo che duri almeno fino a ottobre).

Paolo sembrava finalmente sereno: nei giorni scorsi è stato a un campus multisport sotto casa ed è tornato a uno stato di socializzazione più umano che ferino, recuperando alcune delle sue caratteristiche originarie.

Lunedì 7 settembre, ore 17.34

Punto di ritiro del campus multisport.

- Buongiorno! Sono la mamma di Orlando.

- Orlando?

- Sì

(l'educatrice guarda la collega con aria interrogativa)

- Ma è sicura che fosse qui, signora?

- Mah, ultimamente sono piuttosto rincoglionita ma sono sicura, sì.

(scoppio di risa dalle retrovie: un gruppo di ragazzini si dà di gomito e ride)

- E' lui, quello lì biondo, in mezzo a quelli che ridono!

- Ma chi, Paolo?

(altre risate)

- Ma come, quello è mio figlio, si chiama Orlando.

La mamma di Paolo è stata molto felice di vedere il figlio ridere, circondato da amici che ridevano. Invece la mamma di Orlando, che per un giorno ha fatto credere a tutti di chiamarsi Paolo, è stata molto sollevata nel constatare che la pandemia ha cambiato molte cose ma non tutte, e che l'attitudine alla pirloneria del figlio è rimasta inalterata.

(più tardi, quel giorno)

- Ma perchè hai detto che ti chiamavi Paolo?

- Boh, era divertente. E poi io a volte mi sento anche un po' Paolo.

Domani è il primo giorno di scuola media. Speriamo che all'appello risponda Orlando e che Paolo, col suo carico di irrefrenabile simpatia, resti dentro lo zaino, a muto supporto. In ogni caso, buon inizio a entrambi voi, ragazzi. Buon inizio e una stretta d'incoraggiamento a tutti. 

(anche alla mamma di Paolo)


venerdì 5 giugno 2020

Il diritto di piangere

E così ci siamo, là dove il futuro diventa passato e il presente ti è sfuggito via come un pesce d'argento. Un pesce lungo 5 anni, uno splendido marlin che abbiamo seguito in lungo e in largo, non per una caccia ma per il fascino del viaggio. E così è l'ultimo giorno della scuola elementare, e stavolta non lo so davvero se le parole sono abbastanza per dire tutto. Sarebbe stato già difficile di per sè, figurati con una pandemia che ha interrotto la scuola a metà anno, lasciandoci in un limbo digitale in cui si sono fatte molte cose ma dove non si può fare l'unica che forse aveva un valore, ovvero compiere il rito di passaggio: stare insieme per l'ultima volta, essere classe per una volta ancora e poi più, trovarsi nel cortile della scuola dove "remigino" hai ricevuto un quaderno e una sacchetta dai grandoni di turno, cantare, correre alla rinfusa, piangere. Forse rivendico questo, il diritto di piangere. Di guardare incarnato il tempo, i suoi danni e le sue meraviglie, di restare stordita di fronte al "potente spettacolo che continua", citando lo zio Walt. Non è solo un fatto di altezza, un fatto oggettivamente impressionante visto che sei entrato che eri un metro e una banana e ne esci alto come la tua maestra. E' sapere cosa ci sta nel mezzo, tra il prima e il dopo, di cosa è fatto ogni centimetro acquisito, ogni parola in più, ogni competenza. Non esiste dizionario che sappia spiegarlo. Siamo stati molto fortunati, ragazzino. Non capita a tutti di avere due maestre speciali che ti accompagnano per cinque anni cinque senza soste, presenti anche nella distanza. Soprattutto in una scuola che sembra perdere pezzi e importanza, troppo spesso sacrificata sugli altari vuoti della politica (e di una poco lungimirante economia). Quando vi ho chiesto cosa avete imparato in questi anni la risposta è stata unanime, ed eravate pure straniti nel dirlo: "a stare insieme", e cos'altro bisognerebbe imparare, a scuola, se non a essere comunità, a diventare società? Non serve un libro ma maestri capaci, per fare l'educazione civica. Che viene forse da sè quando ci si prende cura dell'essere umano, gli si sta accanto mentre cresce e impara - non fatemi tirare in ballo l'etimologia latina del verbo educare perchè non serve, è persino più semplice. Con delicatezza e con forza, che le due cose non si escludono ma si sostengono. Con l'interesse sincero di sapere chi hai di fronte, e dargli una chiave in più per diventare se stesso. Non capita a tutti una scuola grande e verde, con un cuore che batte in molti posti: nei gradoni del suo anfiteatro, nel linoleum della palestra, tra le zucchine dell'orto di nonno Carlo, dentro le aule popolate di colore e carta e disordini vari, nel cortile con l'asfalto increspato dai molti arrivi e dalle troppe partenze. Quando siete felici fateci caso, ha detto qualcuno, e non possiamo dire di non averlo fatto: siamo stati felici e ci abbiamo fatto caso.
E ora, ora è giugno ed è finita senza esserlo: dopo tre mesi quasi quattro di didattica a distanza, dove mancano i corpi, la conditio sine qua non per imparare quello stare insieme che dicevamo, ci salutiamo in una videochiamata di classe su meet. Non ci sono remigini a cui passare il testimone, non ci sono i canti e il sole a picco nel cortile, le corse a giocare ignare del concetto di ultima volta, la recita di fine anno, la musica a sottolineare. Non ci sono le lacrime che ci dovevano essere, perchè ogni fine ha il suo tributo di tristezza, soprattutto quando è approdo di una traversata felice, e ogni lutto richiede di essere elaborato. Piango doppio, ragazzino, per quello che lasciamo e perchè non abbiamo avuto modo di celebrarlo a dovere. Guardo le foto, spulcio i quaderni, trovo una pagina più eloquente di me. Viene da un quaderno di terza, in alto è riportata in tratto-pen azzurro una poesia di Anne Sexton: "Uova e parole / vanno maneggiate con cura / una volta rotte / non si possono / riparare". Commento tuo: "Questa frase mi è piaciuta molto perchè è molto vera. Non solo le uova si possono rompere, le parole usate male possono infrangere o ferire i cuori degli altri". Ed è proprio così, anche le parole sono corpi, e bisogna impararne la fisicità, bisogna sentirle dire e collidere fra loro, nascono dai corpi, ne sono inseparabili. E così è l'ultimo giorno della scuola elementare, e stavolta non lo so davvero se le parole sono abbastanza per dire tutto. Gli sarebbe servita una voce rotta che le dice, delle orecchie per ascoltarle tra il vocìo di altre cose, delle spalle che s'incurvano a schermirsi, un petto che trema, gli occhi e qualche lacrima. Il diritto di piangere.
Tu ridi, alto e capellone, non riesci davvero a capire cosa significa questo ultimo giorno. O forse lo sai meglio di me, e il tuo pensiero è già là, dove il futuro diventa presente. In un'altra scuola, un'altra aula, con altri corpi, altre parole. So che hai imparato a maneggiarle con cura, che sei attrezzato per un nuovo viaggio.

(con tanta gratitudine, e molto piangere, a Gabriella e Laura)



lunedì 4 maggio 2020

Figurati

Era il tuo sesto compleanno, e abbiamo festeggiato coi pochi soliti buoni amici, ma già da qualche giorno l'atmosfera era strana, per le strade, nelle case, in rete. Il giorno dopo hanno chiuso le scuole, e con gli amici ci ridevamo su, pensa se restassero chiuse anche settimana prossima!, t'immagini, figurati, non ci voglio neanche pensare. Se a gennaio mi avessero detto che di lì a poco sarei rimasta serrata in casa 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con l'intera famiglia al completo, sarei scoppiata in una risata isterica o sul mio viso sarebbe comparsa un'espressione alla "What you talking about, Willis". Mi sembrava già faticoso quando capitavano un sabato o una domenica di gestione solitaria.  
Figurati.
E ora lo è, "figurato". Ora nei miei occhi ci sono immagini che prima non erano pensate, pensabili.
Ci siamo noi nel cortiletto di cemento sotto casa, io che faccio bolle di sapone con un attrezzo oblungo e fluo, voi che giocate a scoppiarle con le spade laser. Per ore. Lunghe ore strane e deserte.
Ci siamo noi nella cucina minuscola che impastiamo le pitas, friggiamo le mele, stendiamo la pizza, decoriamo la crostata, sforniamo i biscotti, spennelliamo d'uovo i panini da cuocere, cuciniamo al ritmo che avrebbe una trattoria aperta sempre pranzo e cena. 
Ci siamo noi che passiamo l'aspirapolvere, e poi lo straccio, e poi l'aspirapolvere, perchè siamo sempre in casa e il pavimento è sempre sporco. Ci sono le nostre briciole, le righe di pennarello, le calze spaiate scomparse negli angoli, i fogli un po' scritti un po' no, i libri aperti chiusi, l'esercito dei cloni Lego, i soldatini di plastica che vorrebbero essere di piombo e invece ognuno è quello che è, e noi vorremmo essere ordinati ma non lo siamo, vorremmo essere leggeri ma pesiamo troppo.
Ci siamo noi (sempre noi) che rileggiamo ennemila volte tutti i libri della nostra biblioteca, e registriamo videoletture per gli amici, ma poi un giorno smettiamo di registrare, perchè anche delle cose belle ci si stufa. Ci sono io che ordino nuovi (troppi) libri, tu che ascolti le favole lette da altri, tuo fratello che disegna, tuo padre che gli spiega le guerre persiane.
Ci sono stanze troppo piccole per contenerci tutti, per contenere le videolezioni, le call infinite snervanti, le ansie, i corpi troppo fermi, l'illusione degli aperitivi a distanza con gli amici.
Ci sono io che salgo e scendo le scale per 30 piani, la nostra gatta che sogna di essere sola in casa, tu che resti muto in videochiamata con i compagni di classe, la classe che mai più tornerà perchè a settembre vai in prima elementare, e qualcuno si permette pure di dire che forse no. 
C'è tuo fratello che imbraccia la chitarra svogliato, il suo maestro non gli fa lezione online perchè è un po' all'antica, e lui a quelle corde mute ci resta appeso. 
Noi che guardiamo un film degli anni Ottanta, voi che con un vecchio skatebord fingete di essere su una barca e pescate pesci bottiglia.
Io che leggo e fotografo poesie, poi leggo articoli e li condivido, poi leggo articoli e li abbandono, i miei occhi che scorrono numeri, i miei occhi pieni di immagini che non erano pensate, pensabili.
Abbiamo avuto in casa il virus, ma non la sua paura. 
Abbiamo rispettato le regole, soprattutto quelle non scritte.
Dal tuo sesto compleanno sono passati due mesi. Ora abbiamo molte cose che non avevamo, negli occhi. E qualcuna nel cuore, che sta un po' scomoda e ne sentiamo le fitte.
Tu parli in continuazione, come chi vorrebbe dire qualcosa d'importante ma non ci riesce e ci gira intorno senza sosta, cercando il modo. Tuo fratello non dorme più, e questa notte mi ha detto con voce sottile "voglio tornare a scuola". Di analisi e discorsi filosofici, antropologici, sociologici, statistici, ne ho lette e sentiti troppi.
Il fatto è, mi dico, che quando leggi una storia (o la guardi o la ascolti) non ti chiedi mai perchè stia andando in quel modo. La segui e basta, fino alla fine e oltre.
Noi siamo in una storia, la nostra, mia e tua e sua, e loro. Non possiamo che seguirla, e magari - questo sì - sognare che vada nella direzione in cui vorremmo andasse.
E ricordarci che i sogni, quelli collettivi ancor più che quelli solitari, sono cose molto potenti.