martedì 10 dicembre 2019

Come funziona questa cosa

“Ho capito, mamma, come funziona questa cosa della morte: prima diventi uno zombie, poi uno scheletro nella tomba e alla fine un fantasma”
“Ah. E finisce così? Resti un fantasma per sempre?”
“No, poi rinasci e puoi diventare un animale o un mezzo di trasporto”

Et voilà, il sincretismo: un po’ di ateismo, un po’ di buddhismo, meccanicismo quanto basta, un tocco di cattolicesimo e naturalmente il dio cinema che ci ha salvato tutti, prima o poi. Ognuno davanti alla morte reagisce a modo suo, si sa, e fino ad oggi non abbiamo avuto bisogno di chiederci quale fosse il tuo.
Poi è successo che la nonna è mancata. Volata in cielo, o forse divenuta un fantasma o un tram arancione: razionalizzi, perché questo è il tuo talento e anche il modo con cui eviti il dolore, lo rendi tollerabile, mentre tuo fratello piange, e lo fa come dev’essere fatto, come al tempo dei greci, intonando un thrênos, un pianto rituale, lasciando che il corpo mostri tutto, tutto il soffrire.
Che c'è un tempo, nel tempo, è un concetto difficile da capire. Finché siamo vivi, esiste di fatto solo il presente. Ma dentro il presente molti tempi battagliano fra loro. Il tempo in cui aspettiamo un treno in stazione, quello in cui scriviamo la letterina a Babbo Natale, il tempo in cui t’infili i calzettoni per tentare un canestro che non arriva, il futuro di una cena domani, il passato di una telefonata mancata ieri che non smette di farti male oggi. Finché siamo vivi, e la nonna non lo è più, è solo un giro di orologio, attesa dell'alba per l'insonne.
Di tempo con lei ne abbiamo diviso parecchio, soprattutto tu, l’ultimo, il più piccolo, il più logorroico, il preferito, l’ultimo spazio integro dentro una vita che l’aveva delusa un po' troppo. Questo tempo è finito, e tu razionalizzi, perché chiederti come si fa a vivere senza una persona che ami è troppo spaventevole, come si fa all’uscita di scuola a vedere le nonne degli altri sapendo che la tua non può arrivare, come si fa a vivere senza la pasta al formaggio fuso che solo lei te la faceva a perfezione, come si fa a non essere più il preferito di nessuno.
In questi ultimi mesi ho cercato di darti degli strumenti, perché risposte non ne ho neanche io che di esperienza in questo campo ne ho parecchia. Ma abbiamo letto libri meravigliosi, di una volpe che si addormenta circondata dagli amici del bosco, di una regina che intraprende un lungo viaggio e non ha paura di incontrare il mostro. Abbiamo cercato delle immagini che potessero tenerci compagnia quando le parole sarebbero mancate. E abbiamo visto, abbiamo visto tutto, perché ci sono cose a cui bisogna dare l'esatto nome: l’assenza (via via più grande), la fatica di camminare, il corpo dimagrito, le garze, i fili, le medicine. L’abbiamo guardata negli occhi finché abbiamo potuto farlo, senza nascondere nulla, “perché è diverso essere liberi di camminare verso il futuro, anche se con cicatrici e ferite, piuttosto che non riuscire a muoversi per paura di non farcela a sopravvivere”(*).

Perché è così che funziona: anche se ti sembra incredibile, si sopravvive, e bisogna farlo sapendo quanto ogni tempo è prezioso, anche quello noioso in cui devi allacciarti le scarpe da solo, e non ne hai voglia.
E poi ricordati, quando un gatto ti si accosta e miagola, o passa sferragliando un tram arancione, che i ricordi sono ovunque vogliamo metterli, e che il modo in cui guardiamo le cose fa sempre la differenza.
E’ così che alcune persone restano, e non vanno mai via.


(*) cit. Alba Marcoli