giovedì 19 gennaio 2023

Io ti vedo

A un certo punto della terza media mi dissero che avrei dovuto iscrivermi alla scuola superiore. Correva l'anno1991, e andò più o meno così:

Prof. di matematica (la mitica Marchesini): "Allora, che vorresti fare l'anno prossimo?"

Io tredicenne: "Boh, forse il liceo artistico, mi piace disegnare"

Prof. di matematica: "Ma che corbellerie. Devi dire a tua mamma di iscriverti al classico".

Mia madre si fece due conti sulla logistica: l'artistico era lontanissimo da casa, il classico 5 minuti a piedi. Così mi ritrovai al ginnasio, con uno zaino che pareva contenere pietre, e invece era il Rocci di terza mano di una cugina. Sono stata fortunata, quella scuola - che non avevo scelto io - mi ha dato opzioni di vita che non avrei mai considerato. Sono stata fortunata anche perchè il processo per arrivarci è stato quasi impalpabile, di certo non ho sentito il peso della scelta. 

Ora invece esiste l'ORIENTAMENTO. Ovvero il decimo girone infernale. Comincia a ottobre, quando iniziano a girare per le chat locandine di appuntamenti dai titoli sottilmente angoscianti tipo "Io mi oriento", "Che fare dopo la terza media", "Come scegliere per non sbagliare". E' ancora autunno, ma inizi già a sentirti un po' male, non fosse altro per la quantità di tempo che dovrai dedicare a incontri quasi sempre di una noia mortale in cui ti fanno lo spoiler dei prossimi 5 anni della tua vita. 

Poi cominciano ad arrivare gli open day, e l'ansia aumenta esponenzialmente perchè anche l'iscrizione all'open day è una prova di abilità: devi mettere una sveglia alle 7.55 del giorno tal dei tali, collegarti al sito, attendere che apra il form online e tenere pronto al click fatale il dito: naturalmente mica c'è posto per tutti, pure l'open day è roba esclusiva. La cosa bella è che il tredicenne (ignaro del presente, figuriamoci del futuro) non ha ancora neanche scelto il tipo di scuola ma tu devi già iscriverlo agli open day dei vari istituti, quindi nel dubbio rischi di farne una decina o più. 

Dopo essere riuscito sgomitando digitalmente a procurarti l'open day nella data e nell'orario desiderato, ed esserti fottuto tutti i sabati fino a Natale e oltre, scopri che l'ultima frontiera sono le "lezioni aperte", anche dette stage, in cui il povero malcapitato deve portare i suoi improbabili capelli e brufoli tutti in classe con gente di quarta superiore che finge di partecipare, e con allegria, a una lezione di fisica dove la parola d'ordine è spontaneità. 

Tra un open day e una lezione aperta, tra un interminabile powerpoint proiettato in Aula Magna a suon di trombe con l'elenco di 50 potenziamenti diversi a fasce orarie alternate (chè la scuola normale non ci basta più), capita poi di andare a eventi in cui tutte le scuole della città e dell'hinterland si presentano: una specie di fiera dell'istruzione con tanto di stand e materiale pubblicitario da cui torni con una valanga di depliant e un'incoercibile voglia di decidere del tuo futuro.

- Allora, Orlando, c'è qualche scuola che ti ha interessato più delle altre?

- Ma non posso fare altri due anni di medie?

Avrà bisogno di tempo, ti dici, deciderà quando sarà il momento. Ovviamente non è vero, e lo sai. E' già dicembre, e lo step successivo del girone sono i colloqui coi professori, che preludono al consiglio orientativo, un'invenzione geniale che magari ti rovina l'esistenza perchè non sempre si incontrano professori illuminati e perchè... com'era quella cosa sui consigli? La gente dà buoni consigli se non può dare il cattivo esempio? Comunque. Andiamo a parlare coi professori, magari ci diranno qualcosa che non avevamo capito.

Professore 1: Suo figlio è decisamente portato per le materie umanistiche, è molto colto e vedo che si sente solo perchè non sa con chi parlare delle sue letture (ma quando mai?). Però non lo vedo al classico. (ok, bene, abbiamo le idee chiare)

Professore 2: Suo figlio deve assolutamente fare il liceo linguistico, perchè poi col classico se no cosa fa, il professore? (guardi, le mie compagne di liceo classico sono tutte ingegneri e medici, io sono l'unica scioperata che insegna italiano, come dire... miopia portami via)

Professore 3: Guardi, suo figlio può fare tutto quello che vuole, quindi le consiglio di considerare un istituto tecnico. (scusi, ma dice sul serio?)

Professore 4: Non saprei, sicuramente non ha talento per il disegno. (E fu così che un ragazzino entrato alle medie con la passione del disegno ne uscì detestando la storia dell'arte. Ma forse non era vera passione, ci si dice)

Non è finita. Nel frattempo il tredicenne viene sottoposto in orario scolastico a sessioni di classe con le psicologhe del Progetto Orientamento, che gli fanno compilare test e moduli a nastro, riassumibili in "la risposta è dentro di te, e però è sbagliata". Li conservo gelosamente e ogni tanto li rileggo, li userò come faro negli anni a venire. L'unica certezza che ne emerge è la mancanza di autostima (del resto poveretto, coi due genitori che si ritrova, dagli torto), mentre il riquadro compilato in maniera più esilarante è quello dei "lavori che ti piacerebbe fare": zoologo, esperto di marketing, disegnatore di fumetti, storico, security analist, sportivo. Ah, anche poeta? Ed è subito meme della Signorina Silvani.

Qui possiamo finire la parte in cui lo trovo divertente e passare al tragico (ma io ho fatto il classico, che vuoi che sia, è un esercizio che conosco bene). Farò quello che mi dicono i professori, ha dichiarato il diretto interessato a un certo punto, causando giornate di refresh compulsivo sul registro elettronico in attesa del famoso consiglio. Bene, tutto a posto allora, l'abbiamo risolta, adesso dobbiamo solo decidere quale istituto etc etc. Eh no. Non poteva essere così semplice. Ti ricordi quel famoso test per quella famosa scuola che avevi fatto nel lontano dicembre quando ancora non sapevi nulla (o comunque meno di quello che sai oggi)? Quando ci siamo messi in coda con 700 cristi e altrettanti genitori? Chè a noi ci piace fare esperienze di vita, quindi tendenzialmente non ci sottraiamo. Ecco, quel test, lo hai passato. E adesso, che si fa? Niente, figlio, si fa quello che si fa quando bisogna scegliere: si soffre, convinti che ci siano una scelta giusta e una sbagliata. "Strana sensazione, quando ti decidi e non riesci a deciderti" dice il protagonista di uno dei romanzi meno letti di Dostoevskij, L'adolescente, guarda caso.

Non vorrei essere nei tuoi panni, ma del resto non voglio essere neanche nei miei. E a differenza dei tuoi professori non ho consigli da darti, a differenza delle psicologhe non ho test da sottoporti, a differenza dei discorsi motivazionali non ho bugie da propinarti, a differenza delle scadenze che incombono io non me ne vado. Sono sempre stata qui, siamo sempre stati qui. Non risolve il tuo dilemma, lo so, ma io "ti vedo, figlio", alla Avatar, e avere accanto qualcuno che ti vede forse è più importante che scegliere "la scuola giusta". 

 

PS: è tutto vero. Soprattutto la parte dell'Aula Magna.

 

venerdì 7 ottobre 2022

Tredici

13: il numero che nei Tarocchi è associato alla Morte e nella simbologia religiosa alla sommossa di Lucifero. La morte è quella dell'infanzia, la sommossa è tutta tua. 

Tredici come gli anni che fai oggi, ragazzino dispari e primo, che ti porti in giro questo corpo smisurato. Altissimo tu, lungherrimi i piedi, numerosi i brufoli, contati i sorrisi. Scemo come conviene esserlo a 13 anni.

- Orlando, guarda che stasera non ci sono, ho un incontro in libreria.
- Ah, ti vedi con la tua gang di poeti?
 
Ma quale gang! ribatto, e sotto i baffi rido molto, perché avverto chiaro il senso dell'ironia che cresce con te e prende corpo, e so benissimo da dove viene, come so che quelle mascelle dritte e fiere le hai prese da tuo padre. 
Poi a volte non rido per niente, e come una matta ammattisco, per le quarantamila volte in cui devo dirti di fare lo zaino, lavarti i capelli, non lasciare calzini mummificati nelle intercapedini del letto, smetterla di guardare reel di gente che cucina hamburger con salse oscene e tentare di riprodurle in mia assenza. E quando menti nonostante l'evidenza, quando fai cose assurde tipo andare a scuola indossando solamente la felpa senza niente sotto, quando fai finta di studiare geografia e intanto leggi fumetti incomprensibili tipo Kakegurui Twin, o provi a battere il tuo record personale di cubo di Rubik.
Per metà figlio del tuo tempo e per metà figlio mio, sei tutto sghembo, bello e sghembo come si può essere solo quando si comincia ad "adolescere", che vuol dire crescere ma dentro quella radice è contenuto anche un pezzettino di dolore, quello connaturato ad ogni trasformazione. Ti guardo, sono qui per guardarti diventare, prismatico e sfuggente ex bambino, e mi godo lo spettacolo: che forma prenderanno i tuoi desideri? E le tue paure? 
 
- Madre.
- Eh.
- Posso andare al parco con la mia gang?
- A fare cosa?
- Dobbiamo provare un nuovo trick.
- Ok, non voglio saperlo. Comportati bene altrimenti ti mando le Erinni.
- Fico, magari mi aiutano a fare dei nuovi trick anche loro!
- Sparisci.
- Vabbè, non ti triggerare però.

(segue: scena di madre che cerca "triggerare significato" su Google)
 
Non so cosa succederà nei prossimi mesi o anni, non credo neanche di aver capito bene cosa è successo negli ultimi tredici, per l'appunto, ma ad oggi una cosa non è mai cambiata: ti guardo e vedo bellezza. Bellezza dentro e fuori, bellezza del diventare, bellezza nonostante i giorni brutti e certi scomodi pensieri, vedo bellezza anche nella preoccupazione costante, nelle domande che quotidianamente ci facciamo. Cosa pensi davvero di te, di noi? Cosa vedi quando ti guardi allo specchio e fai le smorfie? Quanto ti scoccia che alcuni compagni non ti apprezzino? Hai davvero voglia di continuare a fare alcune cose che fai, che noi ti abbiamo imposto e/o proposto? Che farai da grande? (a questa domanda continui a rispondere "il fabbro", ma lo sai, è una cosa che non riesco a interpretare se non alla luce di una certa passiona per la Grecia antica, perdonami se puoi)

Ti guardo. Lento, perennemente scalzo, sgarrupato, preferisci il mango alla cioccolata, la storia a ogni altra materia, i gatti a ogni altra forma di essere vivente.  

- Madre.
- Eh.
- Posso farmi i capelli verdi?
- Ma no, finchè stai alle medie non si può.
- Ma neanche a Carnevale?

Quando ti dicono che in adolescenza ne vedrai di tutti i colori. Benvenuta, adolescenza.
(e auguri, Orlando, ti si ama in ogni sfumatura)
 
 

sabato 23 ottobre 2021

Foliage

È un sabato pomeriggio di fine ottobre, il sole batte caldo sulle schiene e sul sintetico: del campo, dei maglioni, della divisa giallo fluo che il portiere indossa, numero 12 sul retro. Il portiere, quello là, lontanissimo a tentare di coprire una porta gigante, è mio figlio.

È un sabato qualunque del 2021, e lo osservo da bordo campo. Era parecchio che non capitava - da qualche anno tendo a disertare in favore di mostre o mercati in compagnia del più piccino -, e mentre lo guardo penso a questa cosa che è il calcio dei bambini e poi dei ragazzini, il calcio che cresce, i ruoli che cambiano, le calze di spugna sempre più strette, i tornei infiniti nei posti brutti col puzzo delle salamelle alla brace che ti si appiccica addosso, 7 anni, i bambini che a settembre fai la conta di quelli che sono andati e venuti, 7 anni, sono 7 anni che gioca, più di metà della sua vita.

È un sabato d’autunno ma qui nessun foliage da ammirare: siamo ai confini tra la città e l'hinterland, intorno arterie di traffico, vecchi palazzoni cresciuti tra i 70 e gli 80, scheletri di fabbriche che son rimaste a produrre solo un’idea di tristezza, nuovi edifici di classe A che ospitano rapper famosi in cerca di periferie addomesticate da guardare con la prospettiva di un terrazzone a loggia e la domotica.

In questo sabato tiepido a bordo campo rivedo la sua storia di apprendista calciatore come un nastro riavvolto. Rivedo il bimbetto di 5 anni coi calzettoni arancione mezzi calati, ché la precisione non è mai stata il suo forte. Corre, ma ogni tanto si sdraia in campo e guarda verso il cielo, mentre suo padre cristona da lontano. E’ pigro, dico io. Lo attacco con una corda al motorino e lo faccio correre finché non m’implora di fermarmi, risponde lui, con la consueta pacatezza e il senso della misura che lo contraddistinguono. 

Ha fatto anche dei goal, quel bimbetto, qualche volta, in qualche partita, ma a un certo punto sceglie di fare il portiere, perché - sospetto - gli piace stare dentro le cose ma anche un po’ fuori, essere in una squadra ma con diversa divisa, adottare una prospettiva privilegiata. Privilegiata un cazzo, se ripenso a tutte le volte in cui mi sono tappata gli occhi con le mani mentre gli avversari sferravano l’attacco, lanciandosi a bomba verso la sua porta, mentre partiva una palla che poteva andare ovunque, poteva essere goal, poteva schiaffeggiargli la faccia e l’orgoglio: l’occhio della madre, direte voi, sì, ma la madre del portiere, aggiungo io. Quella che ogni sabato chiede “quanti ne ha subiti?” e mai “quanti ne ha parati?”.

Rivedo il bimbo già grandicello, 9 anni o giù di lì, dimenticarsi i pezzi in spogliatoio, uscire coi capelli fradici mezzi impiastrati di shampoo, le pelle del viso brasata in luglio perché lui non è un portiere da cappellino. Rivedo le settimane con tre allenamenti, i sabati e le domeniche ingolfati di partite, la coppa che una volta ha vinto “per fair play”. Riascolto le prediche di suo padre sull’impegno e sul carattere, la mia domanda ripetuta all’infinito “sei sicuro di voler giocare a calcio anche quest’anno?”. Quest’anno, 7 anni. 

Al sole di questo sabato ripenso alle borse sempre umide, ai guantoni con la gomma che si sventra e decade, ai pallini neri ovunque del sintetico, ai pelucchi d’erba finta che s’incastrano nella trama dei calzettoni e non se ne vanno mai. Ai tacchetti, ai parastinchi, alle convocazioni un’ora prima dell’inizio in posti improbabili della pianura tossica e nebbiosa, agli allenatori che ha avuto. Quelli bravi, appassionati e giovani; quelli disonesti e spocchiosi; quelli capaci di insegnare solo a chi è già dedito; quelli mediocri che almeno non fanno danni (o forse sì?); quelli che bastonano, alla Jeff Turner.

E nel frattempo hai 12 anni, hai cambiato squadra, divisa, compagni, orari, hai il 43 di scarpette, e lo spazio si è dilatato a dismisura: hai iniziato a giocare a calcio a 11, e il campo sembra proprio quello di Holly e Benji, dove corri, corri, e la porta non arriva mai. Tu stai lì, dove hai scelto di stare, una figurina alta e bionda tra i pali, per terra non ti sdrai più ché l’allenatore di adesso è un po’ matto, meglio non sfidarlo, ma ogni tanto lo sguardo vaga in alto lo stesso, ne sono sicura, anche se sei troppo lontano e non lo vedo, anche se non vengo a vederti quasi più. 

Tu stai lì, dove hai scelto di stare, per incoscienza o per coraggio, stretto nella tua maglia fluo col numero 12, il campo è gigante, la porta da difendere sembra sconfinata, hai paura ma non si vede: è un sabato pomeriggio di fine ottobre, il sole batte caldo sulle schiene e sul sintetico, e il foliage sei tu, con tutti quei goal subiti e parati che ti porti addosso, splendido arbusto in mutazione. E’ stato bello (ri)vederti. Però sabato prossimo vado con tuo fratello al mercato, a comprare le zucche.

giovedì 7 ottobre 2021

12

"Lolli, com'è andata con la nuova prof d'italiano?"

"Bene. Ci ha chiesto il nostro genere letterario preferito"

"E tu cos'hai detto?"

"La distopia"

"Che dici!?!? Ma lo sai cos'è una distopia?"

"E' il racconto di un futuro immaginario"

"Ah. E come fai a saperlo?"

"Lo hai detto tu quando raccontavi al papà di una cosa che hai scritto"

"Ah. Quindi ogni tanto ascolti, non sei sempre sulle nuvole"

Ma chissà dove sei, mi chiedo, anche se ti ho (quasi) sempre qui, mi cammini accanto con quei piedi spaventosamente lunghi che ormai rubano le scarpe al papà, sempre scalzo, sempre sgarrupato perché - anche se non lo vorremmo - l'entropia è uno dei tratti distintivi del brand di famiglia.

Chissà dove sei, mi sguisci via con la tua pelle trasparente e quei colori irlandesi ereditati da chissà quale desiderio, mentre a cadenza regolare rintocca la sempiterna domanda "hai fatto i compiti?". I compiti, che nel tuo iperuranio fantastico non rappresentano attualmente la priorità, perché la cosa più importante è sapere come finisce la saga dell'Attacco dei giganti o recuperare l'introvabile numero 2 di Platinum End, nonché realizzare con la carta una perfetta riproduzione dell'arma letale di non so quale eroe manga.

Quando sei nato, 12 anni fa, neanche la migliore distopia avrebbe potuto rappresentarmi questo futuro immaginario, fatto di annessi pandemici e materializzazioni di scelte che sembravano sempre perfettamente sensate, e poi invece.

"Cosa vorresti come regalo, Lolli?"

"La spada di Zenitsu Agatsuma "

"Ma che dici, ma chi è? E per farci cosa?"

"Demon Slayer! Dai, per giocare"

"Per cavare un occhio a tuo fratello, vorrai dire"

"Il pugnale di Naruto? E' più corto!"

"Non se ne parla"

"Allora posso farmi i capelli rosso carminio?"

Mi mancava solo il figlio aspirante cosplayer.

Quando sei nato, 12 anni fa, sapevo solo la tua pelle trasparente e quei colori irlandesi, il desiderio e l'entropia. Mi piace sapere, oggi, che questi tratti sono rimasti, che l'identità permane anche nello svolgersi delle storie più imprevedibili. Mi piace sapere che, proprio da dentro la mutazione, lì dove sei, sei sempre tu. Non più bruco, non ancora farfalla, ma creatura fantastica appartenente a futuri immaginari. Tanti auguri di buon compleanno, Orlando, a tutti gli Orlando che sarai.


Ps: In regalo, questa mattina, Orlando ha ricevuto la prima dose di vaccino Covid. Ché per immaginare il futuro occorre esserci, e avere fiducia.

mercoledì 3 marzo 2021

In principio fu il coniglio blu

In principio fu il coniglio blu. No, non sto per proporvi una recensione di Donnie Darko. Anzi, facciamo un passo indietro, e andiamo coi ricordi alla scuola elementare del grande di casa: cinque anni di meraviglia e scoperte condivise, mai scanditi da compiti o verifiche, solo uno zainetto leggero perchè le cose importanti stavano altrove. Cinque anni di storie, di giochi, di relazioni, di cortile, anni in cui ogni tanto mi sono addirittura chiesta come sarebbe sopravvissuto alle medie, nel mondo del controllo permanente di ciò che hai fatto o studiato. Nel caso ve lo chiedeste anche voi, ora è in prima media e sta facendo bene. Lamenta la mancanza di tempo libero, ma se la cava benone.

Poi c'è l'altro, il piccolo di casa, prima elementare, e lui non beneficia ahimè di una scuola altrettanto felice. La pandemia c'entra in minima parte, certo aggrava le cose, ma non è il quid. Torniamo al coniglio. 

Erano i primi giorni.

- Ehi, com'è andata oggi? (una domanda del cazzo che tutte le madri fanno e ancora non so esattamente perchè)

- Bene, però è successa una cosa col coniglio.

- Ma che bello, avete un coniglio a scuola? (lo so, pensate che io sia matta, ma nella scuola di Orlando i conigli li avevano davvero)

- Ma cosa dici, mamma. Dovevamo colorare nei margini un coniglio e la maestra V. mi ha strappato la pagina.

(trasecolo, non so esattamente se per i margini o per lo strappo)

- E perchè mai?

- Perchè dice che i conigli sono marroni, e io lo avevo colorato di blu.

Dalla vicenda del coniglio blu, molte cose sono accadute. Pagine e pagine di cornicette (WTF?!?) di cui neanche conoscevo l'esistenza, orribili filastrocche da imparare a memoria (non pretendevo Anne Sexton come succedeva dal grande, ma un Rodari magari sì), verifiche continue con relativa ansia da prestazione che mi raccomando a 6 anni si è abbastanza grandi per comprendere il concetto di winners e losers, intervalli saltati per recuperare una lezione persa o perchè "sei lento".

Un mesetto fa.

- Ehi, com'è andata oggi? (aridaje, 'tacci miei)

- Non tanto bene. 

- Che è successo? Ancora per quella storia che hai il quaderno con l'unicorno? (questa ve la racconto un'altra volta perchè è un tema complicatissimo)

- No, è che la maestra V. ha fatto il podio di quelli più bravi in matematica, e io non ero sul podio.

- (mentre interiormente scomodo tutti i cristi del paradiso e non) Ma te l'ho già detto, non è importante quello che fanno gli altri ma quello che impari tu.

- Ma poi ha fatto anche un secondo podio, e io non ero neanche in quello.

Niente, ho esaurito i cristi.

Ieri.

- Ehi, tutto bene, oggi? (variazione su tema, lui faccia da funerale)

- Sì...

- Dai, Enea, dimmi cos'è successo.

- Ho sbagliato la verifica di inglese, non capisco perchè le parole scritte non erano le stesse che io so dire..

- Non importa, farai meglio la prossima volta.

- Ma il maestro mi ha detto che se succede ancora mi abbassa il voto in pagella.


Vorrei dire molte cose, ma non è questa la sede, qui è solo un piccolo blog ridicolo dove si racconta un po' di vita e - per l' appunto - ci si ride su. Quindi di cose ne dirò solo due.

Una, ai maestri e alle maestre di questo tipo, che per fortuna non ce ne sono solo così ma purtroppo ce ne sono tanti, probabilmente troppi: insegnare ai bambini è un privilegio, e se non siete in grado di capire che si tratta di un'attività più complessa che inserire dati in un computer, al mondo ci sono molti altri lavori che si possono fare senza creare danni.

Un'altra al piccolo Enea: i conigli blu esistono, e continua a disegnarli perchè il mondo in cui viviamo ha un sacco bisogno di conigli blu.


mercoledì 21 ottobre 2020

La preside

Da circa un mese anche il piccolo di casa ha iniziato la scuola: l'attesa prima elementare ha preso il via e abbiamo instaurato una routine fatta di orari precisi, quaderni, zaini pesanti e amore reciproco (finchè Covid non ci separi). Fra le cose più belle annovero le cronache che il seienne fornisce quotidianamente all'uscita: cronache di una scuola molto diversa da quella che abbiamo vissuto con Orlando, una scuola diciamo più "tradizionale". In tutti questi racconti, la figura nettamente più nominata è la preside. Creatura mitologica, mezza umana mezza draghessa, dotata del potere sconfinato di cambiare le vite dei bambini che vi si imbattono, all'inizio era solo uno spauracchio:

"La preside dice che non possiamo fare la merenda per il Coronavirus"

"La preside ha detto che se piove dobbiamo rimanere fermi ai banchi a disegnare e non possiamo fare l'intervallo a giocare"

"La preside ha detto a Gianpaolo che si può fare la pipì solo fra le 10.30 e le 10.45"

Dopo la prime credibili affermazioni, ne sono seguite altre sempre più particolari, e la preside, da spauracchio, è divenuta figura in carne e ossa. E la sottoscritta si è detta che forse nelle scuole più tradizionali funziona così, che il controllo dei poteri forti è settato al massimo della potenza e quindi la preside forse era davvero onnipresente coi suoi diktat.

"Oggi Luigia è salita sul banco e l'hanno mandata dalla preside"

"Sai che Adbul si è fatto la pipì addosso ed è finito dalla preside?"

"Francesco durante l'intervallo si è tagliato un dito e la preside gli ha messo il cerotto"

"Mamma: sai cosa faccio io, quando posso andare in bagno per la pipì? Scappo in fondo al corridoio e vado a spiare la preside!!!"

"Scusa, Enea, ma questa preside che vai a spiare, che mette i cerotti, che gira per la scuola essendo presente ogni volta che c'è bisogno di lei... esattamente, dov'è che sta?"

"Nell'atrio d'ingresso, mamma, seduta su una sedia!"

"Ah. Per caso è sempre vestita uguale?"

"Sì!!! Come fai a saperlo?"

"Enea. Quella non è la preside. E' la bidella"

Creatura mitologica, mezza umana mezza draghessa, dotata del potere sconfinato di cambiare le vite dei bambini che vi si imbattono: la bidella.


mercoledì 7 ottobre 2020

Il gerundio di crescere

Volevo farti gli auguri, volevo dire un sacco di cose, ma non mi venivano le parole, perchè raccontare cos'è un bambino-ragazzo di undici anni è una cosa difficilissima, e in certi casi forse bisogna solo arrendersi, stare, e accettare la superiorità della vita sulla possibilità di descriverla. Cerco le parole per dire i capelli lunghi incasinati bellissimi. Gli occhi trasparenti con dentro molte più cose di quelle che hanno visto, gli occhi blu che però "me li hai fatti grigi da schifo". Le mani troppo grandi, che sembrano di pasta frolla, ma che all'improvviso s'innervano e parano palloni, suonano chitarre, disegnano draghi. La voce sottile, chissà per quanto ancora, vorrei il più possibile, la voce che parla poco, che si alza a scatti arrabbiata, che chiama tuo fratello ingombrante inseparabile amatissimo odiato, la voce che mi chiama "mother" pronunciato com'è scritto, ma a volte ancora "mamma", perchè a undici anni quello che si fa è stare in bilico scivolando ora da un lato ora dall'altro. Le gambe lunghissime, i piedi infiniti che promettono vette, la schiena che ha già quell'intenzione, è chiaro, diventare larga, occupare spazio. A undici anni quello che si fa è diventare: cerco le parole, e mi vengono in mente quelle della tua maestra - che non lo è più e quindi lo è per sempre -, che il tuo nome è un gerundio, e questo sì che forse sa raccontare qualcosa di quello che sei, suonando, giocando, disegnando, parando, Orlando. "Se avessi desiderato un figlio definito e strutturato" mi diceva quando mi lamentavo dei tuoi (presunti) difetti "avresti dovuto chiamarlo Orlato! Invece tuo figlio è un gerundio, e tu, da classicista che sei, dovresti conoscere la funzione straordinaria del gerundio, che sottolinea il processo dell'azione necessaria più che del risultato". Ai tuoi gerundi, al gerundio che sei, ne aggiungo un paio. Cercando, perchè le parole bisogna cercarle sempre, anche quando sembra che non ci siano, e a volte se non troviamo le nostre troviamo quelle di altri dette apposta per noi. Crescendo, perchè questo è quello che succede quando si accetta di stare insieme nei giorni e vedere cosa succede, cosa si diventa, quanto si cambia e quanto no, dove si va. E mentre ti guardo svegliarti presto e infilare la porta di casa con millemila libri e cartellette e dubbi e cose in testa, resto lì, pensando. E sognando, ignorando, avendo paura, scrivendo.

Auguri, Orlando, è un privilegio stare nei tuoi gerundi, anche e soprattutto oggi e qui, nell'attimo prima che finisca l'infanzia.