martedì 22 settembre 2015

A casa di Enea

A casa di Orlando si dorme fino alle 10, ci si sveglia stropicciati, non si fa colazione e si comincia la giornata parlando di maestri jedi o di importanti questioni calcistiche.
A casa di Orlando si è sempre in ritardo e si ripetono le cose dalle 5 alle 10 volte, il lunedì si ribadisce che il giorno preferito è la domenica e si sta spesso sdraiati per terra perchè, come ricordava qualcuno, la vita va guardata da svariati punti di vista, compreso dal basso.
A casa di Orlando non si mangiano gli spinaci, si schifa il cioccolato, e si consumano quantità invereconde di pan tranvai e formaggi d'ogni sorta.
A casa di Orlando si è sempre con la testa per aria, ci si dimentica di fare la pipì, ci si infilano le magliette e le mutande al contrario, si sogna ad occhi aperti e si parla da soli. Si leggono valanghe di libri, si cantano canzoni su un tale Massimilia-a-a-a-no l'ortolano messicano e si hanno momenti di scemite acuta e ridarella inarrestabile, intervallati a tratti da arrabbiature furiose e repentine, perchè a volte, si sa, nella vita bisogna farsi sentire e manifestare con ogni mezzo il proprio dissenso.

A casa di Enea ci si sveglia a mezzanotte, alle 3, alle 5, alle 6 ma a volte anche di più (non si sa mai che qualcuno si facesse venire in mente di fare la vita comoda), ci si alza belli tonici, si trangugia mezzo litro di latte, poi dei biscotti, i cereali e se c'è pure una fettina di torta. Si comincia la giornata lanciando il biberon perchè tanto c'è sempre un motivo valido per essere incazzati, quindi.
A casa di Enea si pronunciano solo otto parole, tra cui "mio", "paa" (palla), "tatta" (acqua e/o latte) e "Enea", che sta ad indicare qualunque essere umano sotto il metro e cinquanta, oltre che un chiaro e inequivocabile delirio di onnipotenza.
A casa di Enea si fanno scenate che Eduardo De Filippo scànsati, non si accetta il contraddittorio, tutto ciò che può rappresentare un ostacolo - umano, felino o materiale - viene rimosso senza pietà.
A casa di Enea si picchiano i fratelli, le madri, i padri, le nonne, le gatte, e qualunque ospite osi fare qualcosa di non gradito: a volte a mani nude, secondo la teoria del "questa mano pò esse fèro o po' esse piuma", a volte con oggetti contundenti di svariata natura, tra cui i libri, di cui ancora non si è ben capito il funzionamento nè perchè abbiano delle pagine con dei colori e delle parole.

Qualche volta Orlando bussa a casa di Enea, e viceversa, ma il cohousing non fila sempre liscio.
Spesso capita che mi affacci dalla finestra di casa di Enea, salutando l'Interista affacciato alla finestra di casa di Orlando, e gli chieda come va. Tutto tranquillo, mi risponde.
Poi ci guardiamo e ci chiediamo quand'è che torneremo a vivere a casa nostra, mia e dell'Interista.

Anche se, a pensarci bene, questi due ci somigliano un bel po', e quelle due case lì sono proprio le nostre case. Hanno solo fatto un gran casino coi mobili...
 

lunedì 14 settembre 2015

Davvero semplice

Io, il mio primo giorno di scuola, non me lo ricordo.
E non ho foto che possano aiutarmi a ricordare: all'epoca mia madre, incinta al nono mese di un terzo figlio non previsto, aveva altro per la testa che fotografarmi all'entrata di scuola (e probabilmente è un bene visto che mi mandava a scuola con outfit improponibili tipo 3 pattern di Naj-Oleari assemblati ad minchiam e acconciature che avrebbero saputo ispirare Asimov).
Bisogna anche dire che era il 1984, non c'erano gli smartphone e soprattutto non c'era la mania di immortalare ogni singolo momento topico della vita: detto questo, l'ingresso a scuola del Bruco stamattina l'abbiamo immortalato perchè siamo tutti figli del nostro tempo, anche quando non lo vorremmo.

Io, il suo primo giorno di scuola, me lo ricorderò.
E non perchè gli ho rubato degli scatti mentre trafficava in palestra con lo zaino più grande di lui, non perchè ci siamo fatti fotografare insieme al momento del distacco, ma perchè è stata una bella lezione di semplicità.
Il primo giorno di nido piangevi come un disperato. Il primo giorno di materna eri incazzoso come pochi. Ieri sera, alla vigilia del primo giorno di scuola elementare, era come se non dovesse succedere nulla di particolare.
- Bruco, domattina inizia la scuola, hai capito?
- Sì, mamma...
- Non sei emozionato?
- Sì, mamma...
- Ma allora perchè non mi dici niente...
- Non so cosa dire
- Ok, allora vai a nanna che domattina dobbiamo alzarci presto

Si infila sotto le coperte, lo saluto, vado di là... "mamma!"
Ecco, mi dico mentre torno verso la camera, lo sapevo che c'era qualcosa che doveva dirmi...
- Dimmi, amore
- Ma vieni a dirmi se l'Inter segna???!!

E niente, pure io me le cerco. Perchè preoccuparsi del primo giorno di scuola quando puoi preoccuparti per il derby? "Ok, Bruco". Dopo 5 minuti ha segnato Guarin.

Stamattina, finalmente libero dalle ansie calcistiche del derby, il Bruco si è vestito, ha raccattato il suo zaino, ha raggiunto i cancelli con me e l'Interista, ha preso per mano un compagno di squadra che piangeva ed è entrato nella sua nuova avventura, con quello spirito lieve che ha lui, quella leggerezza calviniana che gli muove le gambe lunghissime in un'andatura dinoccolata e un po' sghemba.

E come è entrato è uscito, raccontando cose, insegnandomi che a volte può essere davvero semplice.


giovedì 27 agosto 2015

La Grande Madre

Dalla propria madre non si può prescindere: piaccia o no, le cose stanno così, e quei mesi passati nel grembo materno sono l'unica esperienza che ci accomuna tutti, un tempo-esperienza condivisi a livello universale dall'umanità, un tempo sufficiente a mutuare un archetipo comune, quello della Madre. Non lo dico io, ne ha parlato a lungo la poetessa e femminista americana Adrienne Rich in un celebre saggio, "Nato di donna", una delle letture che hanno fornito le basi per l'ideazione di una bella e complessa mostra aperta ieri a Palazzo Reale, Milano.
"La Grande Madre" non è una mostra per il grande pubblico, non è una mostra da cui si esce con quell'idea stereotipata e conciliante della madre che molti hanno e continuano ad avere (ma non certo le madri, tranne quello che mentono a se stesse), e non è una mostra (solo) sulla maternità.
Sulla donna, piuttosto, la donna-madre, creatrice e creativa, la donna femminista che ha lottato per conquistarsi il potere negato, la donna liberata e da liberare, una mostra sul corpo femminile, incubatore di miti, di archetipi, di iconografie.
E' un percorso espositivo che richiede tempo, quello della visione e quello dell'approfondimento, perché le opere in mostra sono molte (più di 400), e non tutte di artisti/e conosciuti: c'è parecchio da scoprire, bisogna guardare e leggere, essere disponibili a lasciare che l'arte ci disturbi (ma questo dovrebbe essere scontato).
Nelle 29 sale in cui si snoda il progetto, trovate davvero di tutto: tanta fotografia (perché oltretutto la fotografia è la tecnologia madre del '900 in quanto tecnologia della memoria), scultura, video, pittura, trovate persino delle vere madri con dei veri bambini che imparano a camminare, grazie a Roman Ondàk, che ha portato alla mostra l'installazione vivente #TeachingToWalk (se avete un bimbo tra gli 8 e i 12 mesi potete anche partecipare chiamando questo numero, tel. 02760641).
Tanto per dire, tra le sale della mostra trovate una foto di Roland Barthes in braccio alla propria madre, un autoritratto di Diane Arbus incinta, trovate le disturbanti sculture di Louise Bourgeois, non-bambole che mettono in scena le fasi di una maternità; trovate il dolore su tela di Frida Khalo  e della sua maternità impossibile nella sua Cerva ferita, i volti belli e insidiati dal tempo delle quattro sorelle ritratte dal fotografo Nicholas Nixon, Umberto Boccioni e le madri di Plaza de Mayo, il machismo dei surrealisti e i parti meccanici dei Dadaisti. Ma elencare tutto è davvero inutile.
Storia, non solo dell'arte, e tanta psicoanalisi: tanti mondi quante le opere in mostra, quante le madri nel mondo.
Del resto, come scriveva Elsa Morante "Dalle altre femmine, uno può salvarsi, può scoraggiare il loro amore; ma dalla madre chi ti salva?".
Ah, manco a dirlo, c'è anche lei: la mamma di Psycho, in una foto da cui sembra echeggiare il motto del film "il miglior amico di un ragazzo è la propria madre".
Sogni e incubi per tutti, dunque: avete tempo fino al 15 novembre per visitare la mostra.


La Grande Madre 
a cura di Massimiliano Gioni
promossa dal Comune di Milano Cultura ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi 
(dal 26.8 al 15.11, al piano nobile di Palazzo Reale, Milano)

lunedì 25 maggio 2015

La scuola ai tempi di Whatsapp

Quando io andavo alla scuola materna, nei terribili anni '80, c'era molta meno attenzione di adesso a certi aspetti dell'infanzia, e senz'altro molta meno partecipazione da parte dei genitori. Non ricordo di aver mai sentito mia madre pronunciare frasi del tipo "oggi devo andare alla riunione della sezione farfalle" o "oggi usciamo prima perchè ci sono le elezioni della rappresentante d'Istituto e devo votare", piuttosto che mio padre dire "questo sabato c'è la giornata di Legambiente, andiamo a dipingere i muri scrostati della tua classe a spese nostre!". Quando mai. Certo mia madre forse non è proprio una rappresentanza corretta della madre media, ma secondo me le abitudini a quei tempi erano molto diverse.

Adesso è il 2015, e tutti hanno Whatsapp.
Su Whatsapp ci sono gruppi di qualunque sorta: c'è il gruppo "future mamme di febbraio", il gruppo "chi viene al parco oggi pomeriggio?", il gruppo "calcetto del lunedì", quello "ex colleghi simpatici"; ci sono i gruppi occasionali (tipo "Tizio compie 40 anni") e quelli perenni (tipo "Tizio ha compiuto 40 anni e siccome alla sua festa ci siamo divertiti di brutto restiamo in contatto su Whatsapp e mandiamoci video cazzoni"), e in tutto questo fiorire abbondare e straripare di gruppi non mancano quelli della scuola dei figli.
Io ho 2 figli e 5 gruppi "scolastici": la chat "Pesciolini nido classe 2014", il gruppo "Classe Verde materna", il gruppo "mamme fuori bacino" per le mamme della materna che hanno iscritto i figli a una scuola elementare in culandia, un gruppo ristretto "mamme del nido" che prende per il culo la suddetta chat "Pesciolini" e un altro gruppo che include i padri, anch'esso generato dalla follia della chat "Pesciolini", e si intitola "Uccidi una mamma".
Poi ci sarebbe il gruppo della "scuola calcio classe 2009" in cui grazie a dio non sono stata inclusa (l'Interista temeva, credo, che avrei potuto fargli fare brutte figure scrivendo cose inopportune).
Queste chat sono l'aggiornamento 3.0 del concetto di assurdo beckettiano: dialoghi infiniti composti di frasi minime o singole parole, con pochissimo senso (del reale), in grado di suscitare il riso, ma anche un profondo senso di angoscia.

Tipo.
"Aiuto, mamme! Dove trovo una maglietta bianca?"
"All'OVS!"
"Ah"
"Ma all'ovs o all'oviesse?"

(forse è su questa domanda che è nato il gruppo "Uccidi una mamma")

Tipo.
"Mamme, mio figlio sta vomitando da ieri, ma è normale?"
"Anche la mia, vomita verde!"
"Poverina! Il vomito della mia invece è giallo!"
"Il mio ha vomitato lunedì ma non ricordo il colore"

(io vi giuro che è tutto vero, e che la conversazione è durata molto ma molto di più)

Tipo.
"Mamme, per la festa di fine anno abbiamo avuto un'idea bellissima!"
(e lì mi son tremati i polsi per la paura)
"Per limitare gli sprechi portiamo il gelato!"
(no qui non posso non intervenire)
"Ma scusate il gelato si scioglie in 30 secondi, a scuola non c'è il freezer..."
"Ma è perchè così non avanzano le patatine!"
"Se ci tieni possiamo portare anche le patatine per tuo figlio"
"Mio figlio non mangia nè le patatine nè il gelato"
"Neanche il mio mangia il gelato..."
"Anche il mio!"
"Il mio nemmeno!"

(Insomma nessuno di 'sti nani mangia il gelato, ma portiamolo, il gelato, alla festa di fine anno)

Tipo.
"Mamme, aiuto, ma la scuola è chiusa per il ponte?"
"Sì, dall'1 al 5"
"Ma quindi anche il 3?"
"Scusate ma è proprio chiusa chiusa?"

(Ma perchè, esiste l'opzione chiusa-aperta?)

Potrei andare avanti. Potrei farvi crepare dal ridere a botte di screenshot. Ma non lo farò, non vorrei essere querelata da qualcuna di queste fini intelligenze che animano i gruppi whatsapp di cui faccio parte.
Dice: cancellati, abbandona il gruppo, rispondigli male, mettile alla berlina.
La verità è che provo una sottile perversione nell'assistere all'incredibile spettacolo della scemenza umana, che invece di usare un mezzo come fonte di utilità quale potrebbe e dovrebbe essere, è capace di creare dei buchi neri di deficienza. Il padre fondatore del gruppo "Uccidi una mamma" dice: non esco perchè mi piace osservare con lo sguardo dell'entomologo. E' così.
E non parliamo delle ricorrenze... lì si scatena l'inferno. Partono video musicali, foto con layout orrendi di fiori e citazioni banali, gattini che sventolano bandiere con scritto "auguri mamma" e ogni sorta di aberrazioni grafiche.
Dovesse esserci un altro diluvio universale per selezionare l'umanità meritevole da quella che no, spero che il signore del piano di sopra abbia ben in testa la cronologia della chat whatsapp dell'universo mondo.
Nel frattempo... chissà cosa mi succede l'anno prossimo, alla scuola elementare.

giovedì 26 febbraio 2015

Un anno vissuto pericolosamente

A tre mesi e mezzo stavi seduto da solo, a quattro volevi mangiare la banana, sempre da solo, a sei hai iniziato a gattonare ovunque, a nove sei finito in ospedale perchè sei un piccolo esibizionista, a dieci hai iniziato a camminare.
Oggi fa un anno che ci sei, un anno vissuto pericolosamente, un anno che mi sveglio cento volte a notte, un anno che ti propongo il ciuccio e tu me lo schifi, un anno che tuo fratello cerca di accettarti - e non è stato facile - in tutta la tua ingombrante presenza.
Tu che appena ti alzi la mattina senti il bisogno di afferrare il martello di legno giocattolo e prendere a martellate tutto ciò che ti si para davanti, dai mobili alla gatta ai biscotti della colazione. Tu che raccogli oggetti in giro per casa e vai a buttarli dentro il water, e se non chiudo la porta a chiave la apri a forza di batterci su. Tu che se mi distraggo un minuto ti sgranocchi i croccantini della gatta - e continui a rifarlo quindi suppongo ti piacciano più dei Plasmon. Tu che stai fermo solo davanti alla pentola a pressione quando fischia, e non c'è verso di tenerti in braccio a leggere un libro, e la cosa mi destabilizza perchè a tuo fratello leggo libri da quando aveva 6 mesi. Tu che sai già calciare il pallone e ridi come un matto quando ti rincorro per casa, con quella camminata alla John Wayne che ogni volta che ti guardo penso a quanta strada farai, e sorrido.
Tu che vivi col rantolo perenne e l'Augmentin è il tuo bicchiere della staffa, che per causa tua l'Interista a breve penserà che ho una relazione clandestina col pediatra.
Oggi fa un anno che ci sei, un anno faticoso e folle di cambiamenti, un anno di scardinamento delle certezze e di sbilanciamento - di nuovo - degli equilibri, un anno che ti tengo in braccio la sera per addormentarti sapendo che dopo due ore sarai di nuovo sveglio, e mi dico che sì, nonostante tutto, ne valeva la pena.
Qui te lo dico e lo penso davvero, farai tanta strada, bambino guerriero.
Auguri Enea.

lunedì 16 febbraio 2015

Figure, figuracce e figurine

A quanto pare è proprio come dicono, coi figli funziona così, che una mattina ti alzi e sono cresciuti, si muovono come i grandi, parlano come i grandi, ti criticano come i grandi.
E' passato un anno dall'arrivo di Attila Enea, e il Bruco è un quasi ragazzino altissimo, con delle gambe lunghe lunghe, tutto dinoccolato e una parlantina che a dir poco ti spiazza.
Ha iniziato a leggere, disegna esseri umani che non sembrano più alieni (a parte qualche dito in più ogni tanto) e un paio di settimane fa l'abbiamo iscritto alla scuola elementare.
La mattina, quando viene in sala ancora in pigiama con l'aria sconvolta e mi dice "Mamma ma io avevo ancora sonno" mi chiedo che fine abbia fatto quel nanerottolo morbidoso che si svegliava cento volte a notte. Poi mi ricordo che ce n'è uno identico, ancora più morbidoso e ancora più insonne, che vaga per casa, ma questa è un'altra storia.
Negli ultimi mesi, mentre io mi occupavo del figlio 2, quello che non dorme non mangia ed è sempre malato, il Bruco si è buttato sull'elemento emotivamente libero della famiglia e si è tragicamente calciofilizzato. Va agli allenamenti, gioca partite senza vincerne mai una, mi parla di compagni di spogliatoio che io non conosco e soprattutto ha iniziato a completare l'album delle figurine Panini con tutti i giocatori dell'Universo Mondo. Mi fa domande imbarazzanti tipo "qual è la tua squadra preferita" e corre su e giù per casa come un ossesso mimando azioni con un gergo tecnico che lèvati.
Contando che l'Interista è uguale e che l'unenne si emoziona solo quando vede una palla (e quando prende a martellate i muri, nda), diciamo che fra tre anni la mia vita sarà un incubo su sfondo verde, erba o sintetico non importa.
L'Interista dice di non preoccuparsi, che è solo una fase.
Poi capita che torni a casa e veda che suo figlio ha attaccato sul muro del bagno una figurina doppia della Juve e abbia un mancamento ("Ma papà, le doppie devo attaccarle da qualche parte!" "Ok, Orlando, la mamma ti compra un quaderno apposta così ci attacchi le doppie e poi lo chiudi e lo riponi in un angolino della libreria, così evitiamo al papà il ricovero coatto alla neuro del Niguarda). Ma dai, Interista, è solo una fase!
 E in effetti il Bruco è sempre il solito ragazzino curioso che resta incantato a teatro e legge i miti greci e quelli nordici e piange come una fontana quando guarda La Bella e la Bestia e la bestia sta per morire.
E' sempre il solito ragazzino spontaneo e genuino che incontra il vicino di casa e gli dice:
"Ciao Guido, sai che mi sembri uguale a Palacio? Sei pelato come lui"

E niente, chiudo la porta e mi metto a ridere. La sua simpatia non è una fase, per fortuna. Lui è proprio così.

giovedì 15 gennaio 2015

ilmattinohaloroinbocca

Ti alzi alle 6, a volte anche prima, dopo notti che durano poche ore e mille risvegli.
Con gli occhi impastati cerchi il pavimento tentando di impedire a tuo figlio di buttarsi giù dal letto.
Sollevi i suoi 11 chili di morbidezza e lo porti di là, per impedire che svegli il resto della famiglia, mentre lui cerca di depilare la gatta, di sfondare la porta del bagno, di infrangere il vetro del forno con la mazza da golf giocattolo di suo fratello.
Ti prepari un caffè e lo infili nel seggiolone (il bambino, non il caffè, di solito), ma proprio in quel momento lui caga e si lorda fino alle ascelle. Allora vai in bagno, lo lavi e lo cambi mentre lui si contorce e strepita come una delle serpi sulla testa di Medusa. Torni di là e il caffè ormai è freddo ma lo bevi lo stesso, mentre lui cerca di infilarti in bocca il suo plasmon smaciullato.
Poi arrivano le 8, e inizia la corsa per essere pronti in tempo. Sveglia questo e quello, vestili, colazionali, cerca di non inciampare sulle macchinine sparse ovunque, siediti per metterti le scarpe e scopri che sotto il tuo deretano c'è un mondo che neanche al Toys.
Urla per farti ascoltare e sentiti rimproverare perchè sei esaurita, e in effetti lo sei, cazzo se lo sei, perchè a breve devi anche andare a lavoro e produrre delle frasi di senso compiuto sulla qualità dell'aria e sui pronunciamenti del Consiglio di Stato.
Prima di uscire sentiti tirare per la giacchetta da tuo figlio grande che ti dice "Mamma, non mi piace la scuola". E lo dice con l'aria di uno che ci ha pensato molto e sa cosa sta dicendo. Va ancora alla materna, e non sa cosa sia davvero la Scuola, quella in cui peraltro alle 8.20 devi essere già in classe e non in cameretta a scegliere se portare con te i Gormiti o gli Avengers.
Ti metti in tasca un vago senso di fallimento, t'infili il cappotto, ti dimentichi il cappello proprio oggi che fa freddo ed esci. Non sei truccata, non sei pettinata, le occhiaie sono il tuo unico accessorio.
Entri al nido, per lasciare quello piccolo alla maestra.
Eviti di chiederle qualcosa, ma lei ti guarda fisso e ti dice: "Suo figlio ha un carattere un po' particolare... è un po' impositivo..."
"In che senso?"
"Nel senso che ogni volta che non faccio qualcosa che vuole lui mi guarda come se mi stesse dicendo mo' te meno!"
"Ah. Sì, lo so, è un bambino un po' fisico..."
"E' bello aggressivo"
"Ah. Ma non è che picchia gli altri bambini, vero? No perchè noi siamo gente pacifica..."
"No no, solo qualche pestone a noi maestre".

Uno ha 5 anni, e non gli piace la scuola. (materna! quella dove giochi tutto il giorno!)
L'altro ha 10 mesi, e mena le maestre.
Poi dice che per i figli fai tanti sacrifici, ma sai le soddisfazioni.
#dovehosbagliato